Il Mezzogiorno d'Italia tra due imperi. 4-6 ottobre 2019, Ariano Irpino Museo della Civiltà normanna Via Camporeale (original) (raw)
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"This is to inform you" - scriveva il 30 novembre 1669 un funzionario della corte imperiale marocchina, in una lettera che, ripulita dalle formule rituali, tradiva tutta l'impazienza del sultano - "that Our Lord has ordered us to write this letter to you to assure you of your safety and to inform you of his full safe-conduct which reaches you enclosed with this. So let your mind be at rest concerning it". Il destinatario della missiva era Lord Henry Howard, l'ambasciatore che Carlo II Stuart aveva inviato ormai da mesi in Nord Africa per trattare nuovi accordi con il turbolento Taffiletta. Egli tuttavia - terrorizzato dai presunti pericoli dell'entroterra e completamente impreparato ad assolvere il delicato compito - non lasciò mai la sicurezza delle mura di Tangeri; toccò ad esperti mercanti britannici il difficile compito di colmare le distanze - fisiche e culturali - tra Londra e Marrakech. Il risultato non fu un successo, ma permise all'amministrazione coloniale tangerina - e ai signori di Whitehall - di osservare i limiti dei loro canali diplomatici istituzionali, imparando un'importante lezione sull'impiego di intermediari qualificati in Barberia. Partendo dal caso di Howard, obbiettivo di questo contributo è riflettere sulla necessità, da parte della corona britannica, di cooptare con sempre maggior frequenza attori privati - spesso uomini di negozio - all'interno del proprio corpo diplomatico nel periodo successivo alla Restaurazione Stuart. Una necessità che trovò risposta non solo a Tangeri, ma che interessò l'intero Mediterraneo meridionale, portando ad un radicale rinnovamento dell'istituto consolare in Barberia che avrebbe concorso, nell'arco di un ventennio, a rafforzare notevolmente la presenza inglese - tanto militare quanto mercantile - nel "grande mare".
Assistiamo oggi a un’enorme affluenza di stranieri che si riversano in una città che a stento basta a contenerli. Si tratta in gran parte di persone senza patria: arrivano da ogni parte del mondo, portati dall’ambizione, dalla necessità di lavoro, dal ruolo di ambasciatori; alcuni spinti dai loro vizi, altri dal desiderio di studio; alcuni attratti dagli spettacoli, altri dalle possibilità di intrecciare relazioni o sotto il peso della sfortuna... Arrivano in massa, dopo aver abbandonato le loro case e sperando di trovare un’occasione in quella che è la capitale del mondo, ma non la loro. Non sono parole di oggi: le ha scritte Seneca circa duemila anni fa, di fronte all’abnorme crescita della città di Roma. In apparenza, sembrano perfettamente attagliarsi a descrivere alcuni processi che caratterizzano il mondo contemporaneo. In realtà, dal tempo dei romani tutto o quasi è cambiato: c’è stata l’affermazione delle religioni monoteiste e il profondo riconfigurarsi delle relazioni inter-mediterranee; la scoperta di nuove terre al di là dell’oceano e il loro sistematico sfruttamento; la rivoluzione industriale e la fine (?) del colonialismo. La Riforma, la dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Seconda Guerra Mondiale. La natura stessa delle città negli ultimi secoli è profondamente mutata, sia negli assetti interni che nei rapporti con il territorio regionale e statale, oltre che con il più ampio contesto internazionale. Le relazioni centro-periferia; il tessuto economico e i percorsi dell’integrazione sociale; i dislivelli culturali e le forme della sociabilità: sono altrettanti ambiti, fra i molti, in cui il variare dei giochi di scala ha disegnato paesaggi urbani disparati e fra loro scarsamente comparabili. Pure i concetti di cittadinanza, ‘razza’, etnia sono stati scritti e riscritti più volte. In questo panorama generale, il mondo mediterraneo è sempre stato uno degli scenari in cui l’incontro/scontro di popoli e civiltà è stato più ricco, vario, intenso, andando spesso a imprimersi profondamente sul volto della città: non solo sulle coste e nelle aree di confine, ma anche all’interno di paesi comunque affacciati sul mare, e per cui il mare costituiva un ineludibile orizzonte di riferimento. A testimoniarlo non sono solo la configurazione degli spazi urbani e la circolazione di determinati modelli insediativi (porti, fiere, fondaci, ghetti), ma anche gli usi linguistici e i costumi alimentari, le pratiche sociali e giuridiche, molte delle più tipiche espressioni culturali e artistiche europee, frutto di un’antichissima – seppur non sempre pacifica – abitudine alla convivenza con lo straniero. L’incontro si propone di sollecitare i soci dell’AISU a riflettere sugli aspetti di continuità, come sui momenti di snodo e frattura, che hanno a lungo condizionato la dimensione multietnica delle nostre città. Si vorrebbe così focalizzare l’attenzione sulle specificità dei luoghi e dei periodi di una storia millenaria, che ha dato vita a un patrimonio culturale – materiale e immateriale – che pare oggi messo variamente e duramente a repentaglio. Intendiamo discuterne in una prospettiva eminentemente storica − a partire da ben documentati casi di studio, tali da offrire spunti di comparazione − senza tuttavia rinunciare a interrogarci sul senso delle nostre ricerche in uno scenario travagliato quale quello in cui viviamo. Senza facili anacronismi, ma senza neppure rifugiarci nell’alibi dello specialismo, mentre sotto i nostri occhi il Mediterraneo è più che mai teatro di ecatombi, esclusioni, sofferenze, pur non mancando progetti ed esperimenti volti a sostenere forme di coabitazione meno inique che in passato. In altre parole, vorremmo dare ai quesiti tipici delle nostre tradizioni disciplinari un orizzonte più ampio, sensibile rispetto ai problemi del tempo presente; e questo oggi non può che significare anche riflettere sulle forme della comunicazione scientifica e sul ruolo della ricerca storica nel dibattito contemporaneo, in un momento in cui le pratiche consolidate sembrano messe in crisi dal potere dei mass media, reso più pervasivo e capillare che mai dall’inarrestabile espansione delle nuove tecnologie. Poste queste premesse, l’incontro si articolerà su più binari, adottando una formula mista tale da consentire la massima flessibilità e trasversalità sia nei modi che nei contenuti della discussione. Sulla base delle proposte di intervento che perverranno al comitato scientifico, saranno organizzate alcune sessioni tematiche (o cronologiche) introdotte da discussants che avranno il compito di inquadrare storicamente e storiograficamente gli argomenti di studio, nonché di animare il dibattito fra i partecipanti. I soci sono tuttavia caldamente incoraggiati a presentare anche proposte che si avvalgano di nuovi sistemi di comunicazione, come – solo a titolo d’esempio − poster, elaborati video/fotografici, installazioni multimediali, che saranno oggetto di una mostra itinerante, inaugurata una prima volta in occasione dell’incontro a Genova (dove rimarrà aperta un mese), e che successivamente potrà circolare nelle sedi universitarie interessate a riallestirla.