L'AUTENTICO MIMETICO SIGNIFICATO DEL CRISTIANESIMO E DELL'ESOTERISMO RELIGIOSO (original) (raw)

IL CRISTIANESIMO COME RELIGIO DIVINA NEL PENSIERO DI SANT'ILARIO DI POITIERS

Vox patrum , 2014

Sant’Ilario di Poitiers ha vissuto in un momento storico difficile in cui, la crisi nei rapporti tra il potere politico e quello ecclesiastico si era notevolmente aggravata. Da una parte il Cristianesimo era stato riconosciuto come una religione lecita e addirittura era sempre più appoggiata dagli imperatori, dall’altra si rischiava un’interferenza inammissibile del potere civile negli affari interni della Chiesa, perché l’imperatore Costanzo, si era schierato dalla parte degli ariani. Anzi, avrebbe voluto risolvere politicamente il problema teologico imponendo le soluzioni che egli stesso considerava giuste, non tenendo conto che avrebbe minato la verità divina con i compromessi teologici. Sant’Ilario di Poitiers, insieme ad altri teologi e pastori fedeli all’insegnamento della Chiesa cattolica, reagì contro gli abusi del potere imperiale, convinto che, nei confronti del cristianesimo, gli imperatori non possono comportarsi da padroni assoluti, ossia non possono trattare la Chiesa alla stregua della religione pagana di prima. Il cristianesimo che si è imposto all’età di Costantino come una religione con i pari diritti della religione pagana. Nell’arco di 30-40 anni ha imposto un nuovo modo di parlare della religione cercando di delineare i confini della rispettiva competenza. Il concetto di religio che troviamo nel pensiero di sant’Ilario testimonia i cambiamenti radicali avvenuti in questo campo. Il paganesimo non poteva essere considerato una religione seria, nonostante lo sforzo di Giuliano Apostata di restaurarlo, perché i suoi contenuti religiosi non erano fondati sulla verità e quindi, tale religione era solo un’invenzione umana. Dall’altra parte il cristianesimo era una religione voluta e fondata da Dio stesso e a buon diritto si attribuiva il titolo di religione divina. A causa di questo la religione cristiana non ammetteva manipolazioni imperiali, ma cercava il rispetto della propria autonomia religiosa anche a livello sociale. Il cristianesimo, in quanto vera religione divina non ammette la possibilità di parlare della religione a prescindere dai criteri rivelati, ossia senza seguire la retta fede della Chiesa. La Chiesa, turbata dal contrasto con gli ariani, per mezzo di personaggi di spicco quali Ilario di Poitiers, indicava all’imperatore Costanzo il criterio di ortodossia come criterio che doveva essere rispettato da chi voleva impegnarsi per risolvere la crisi divampata. Si ravvisa da tutto ciò che il comportamento dell’imperatore nei confronti della religione non poteva essere assoluto, piuttosto il Vescovo di Poitiers, fissava il limite di ciò che è lecito e di ciò che è illecito. Se il suo comportamento non era in coerenza con la verità rivelata, difesa e protetta dall’ortodossia della Chiesa, era considerato veramente illecito, ingiusto e dannoso non solo per la Chiesa ma per tutta la società. Parole chiave: Sant’Ilario di Poitiers, il Cristianesimo, religio divina, la Chiesa.

RELIGIOSITÀ ANTICA TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO

pp.56ss., 2019

Il titolo della mia relazione recita: Giulia Balbilla, dama di corte dell’imperatore 1 Adriano e autrice di epigrammi in greco come probabile sacerdotessa, ma il titolo dovrebbe essere diverso, cioè Figure di sacerdotesse tra Paganesimo e Cristianesimo: infatti vorrei affrontare il tema della religiosità antica, in quel momento in cui Paganesimo e Cristianesimo convivevano, delineando non uno ma i ritratti di due figure femminili, scarsamente conosciute anche dagli ‘addetti ai lavori’ e di cui mi sono recentemente occupata, analizzando il loro ruolo pubblico. Queste due donne facevano parte dell’élite dell’Impero Romano e proprio questo status permetteva loro di ricoprire cariche religiose molto importanti: la più recente, Appia Annia Regilla Atilia Caucidia Tertulla, moglie giovanissima di Erode Attico, fu sacerdotessa di Demetra Chamyne a Olimpia e di Tyche ad Atene nonché importante benefattrice delle città di Corinto e di Delfi e promotrice di atti di evergetismo, come ci attestano numerose epigrafi e passi di storici. L’altra, Giulia Balbilla, dama di corte dell’imperatrice Vibia Sabina, nata a Roma, si era trasferita, dopo la morte del nonno Antioco IV di Commàgene, ad Atene .

ESORCISMO ED ESORCISTA NELLA DISCIPLINA CANONICA DELLA CHIESA CATTOLICA

STUDIA UBB THEOL. CATH., LXIV, 1-2, 2019 (p. 133-160), 2019

Exorcism and exorcist in the canonical discipline of the Catholic Church. The study aims to present an overview of the reality of the exorcism and the exorcist in the Catholic Church, having as a starting point the disciplinary and canonical dimension, as it results from the canonical law, the interventions of the Magisterium and other theological studies that deal with the argument. The liturgical dimension of this reality is then evaluated on the basis of the differences presented by the different traditions of the Catholic Church, especially Latin and Byzantine. Finally, it will be presented briefly, with the clear intention to promote the deep understanding and significance of this reality, but also to mark the attention they enjoyed in the last period, some masterful interventions regarding both the exorcisms and the healing prayers. REZUMAT. Exorcism și exorcist în disciplina canonică a Bisericii Catolice. Studiul își propune să prezinte o imagine de ansamblu asupra realității exorcismului și a exorcistului în Biserica Catolică, având ca punct de plecare preponderent dimensiunea disciplinară și canonică, așa cum rezultă aceasta din legislația canonică, din intervențiile Magisteriului și din alte studii teologice care tratează argumentul. Este apoi evaluată și dimensiunea

IL CRISTIANESIMO ANTICO E LA RAFFIGURAZIONE DI DIO

2021

L’obiettivo di questa tesi è quello di ripercorrere le fasi evolutive più importanti della storia della raffigurazione del sacro nel mondo cristiano. Si partirà dalla fase iniziale della storia del cristianesimo, nella quale non vi sono testimonianze di raffigurazioni della divinità, poiché, anche se con motivazioni diverse, il cristianesimo riprendeva i dettami della religione ebraica, che prescriveva tali procedure . Verrà quindi esaminata la nascita, nel III secolo, dell’immagine cristiana. Queste prime rappresentazioni sono legate soprattutto all’ambito funerario, come nel caso delle decorazioni parietali delle catacombe e dei sarcofagi. Lo stile di queste immagini è ancora fortemente simbolico e legato ad una cultura classica e pagana: rielaborata però con significati cristiani. Per tutto il resto della tarda antichità, spingendosi fino al VIII secolo, si verifica un’esplosione nel ricorso all’immagine sacra, vista anche come potente mezzo pedagogico di insegnamento delle sacre scritture. Essa è sempre più diffusa in ambito privato come nella decorazione delle chiese e nell’ambito del culto delle reliquie dei Santi e delle loro rappresentazioni . In Oriente si diffondono quindi tra il VI e il VIII secolo le icone. Sono immagini sacre realizzate con varie tecniche (a tempera, ad affresco o a mosaico). I soggetti principali raffigurati sono Cristo, la Vergine, i santi, le feste e i misteri cristiani: queste icone vengono collocate nelle principali chiese e monasteri. La tradizione ritiene che molte di queste icone siano immagini di origine divina e che abbiano poteri miracolosi: in questi casi sono definite con l’espressione greca acheiropòiete, ossia «non fatte da mano umana» . Ma la diffusione di queste icone ha condotto nel VIII secolo alla prima importante crisi dell’immagine nel mondo cristiano, ricordata come la crisi iconoclasta. Nel 726 Leone III Isaurico (717-741), imperatore d’Oriente, diede il via alla sua politica contro l’uso dell’icona, distruggendo l’immagine del Cristo affissa sulla grande porta bronzea del palazzo imperiale di Costantinopoli. Il rigetto da parte dell’imperatore delle immagini sacre era legato alla volontà di diminuire i poteri dei monaci, che in quel momento avevano acquisito grande importanza e autorità, e alla concezione delle icone come veicolo che favoriva l’idolatria. La prima abolizione dei divieti iconoclastici venne quindi sancita con il concilio di Nicea II (787), in cui si affermava che le icone sono custodi della tradizione ecclesiastica sia scritta che orale, e in cui si ribadiva che la raffigurazione della divinità o del sacro più in generale aveva la funzione di facilitare la memoria e stimolare l’emulazione dei personaggi rappresentati. La decisone del concilio di Nicea II non è stata recepita in pieno in tutto l’Occidente. Nella parte settentrionale dell’Europa, infatti, è stata mantenuta una posizione mediana: per cui le icone sono viste come memoria dei fatti storici e ornamento della chiesa e per questo non andavano distrutte, ma allo stesso tempo non dovevano essere venerate . Nel IX secolo, con Leone V l’Armeno (813-820), si verificò una fase di ripresa delle idee iconoclastiche, che verranno totalmente debellate nell’843 con la deposizione del patriarca Giovanni VII Grammatico, iconoclasta, da parte di Teodora, reggente dell’impero d’Oriente, aiutata dal vescovo Metodio, del partito iconodulo. In Oriente la questione della raffigurazione delle immagini sacre aveva condotto a scontri violenti, mentre in Occidente l’icona godeva di grande fortuna, che sarebbe durata per tutto il resto del medioevo. Esportata dall’Oriente nelle principali città, soprattutto a Roma, era divenuta presto oggetto di culto e di venerazione. Le immagini, infatti, dato l’elevato tasso di analfabetismo medioevale, erano uno strumento più forte della parola per portare il messaggio di Cristo a tutti i fedeli senza alcuna distinzione. Nell’età moderna una tappa fondamentale per la comprensione del trattamento delle immagini nell’arte cristiana è costituita dal Concilio di Trento (1545-63), uno fra i più importanti mai celebrati per la Chiesa cattolica. Il concilio venne convocato anzitutto per reagire alla diffusione della Riforma protestante in Europa, ma nella sua ultima fase furono stabiliti alcuni criteri fondamentali per la disciplina dell’arte cristiana. In particolare, in questa tesi si prenderà in esame la figura del cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), che partecipò attivamente al Concilio di Trento e che scrisse un celebre trattato intitolato Il discorso intorno alle imagini sacre et profane, diviso in cinque libri, che ha posto con forza il problema dell’arte della nuova spiritualità tridentina. Un trattato particolarmente importante anche perché si scontrava con la posizione della Roma papale rinascimentale, avvezza agli splendori della propria autocelebrazione

L’ECUMENISMO DELLA SANTITÁ: DUE ATTI SIGNIFICATIVI

In Tempi di Unità - Periodico della Comunità di Gesù, n. 2 Febbraio 2005

Dialoghi con la Chiesa Ortodossa La Comunità di Gesù, che ha la sua sede principale a Bari, sperimenta continuamente ciò che può essere chiamato “l’Ecumenismo della Santità”. A Bari infatti vi è conservato da secoli il corpo di san Nicola, santo della Chiesa indivisa, molto venerato dai cattolici e dagli ortodossi. Soprattutto dalla Russia vengono pellegrini a pregare e a venerare san Nicola a Bari. Così Bari, in virtù della santità di san Nicola, ha acquistato una forte vocazione ecumenica, centro di incontro e di comunione tra la Chiesa cattolica e ortodossa. Ciò fa capire il grande valore unitivo, che ha la santità. E’ come il martirio. Come c’è un ecumenismo dei martiri, c’è un ecumenismo della santità. In questo articolo presentiamo due atti, nati all’insegna dell’Ecumenismo della Santità, avvenuti nel 2004: la consegna della venerata icona della Madre di Dio di Kazan alla Chiesa ortodossa russa da parte di Sua Santità Giovanni Paolo II e la consegna delle reliquie di San Giovanni Crisostomo e san Gregorio Nazianzeno a Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli da parte della Sede apostolica di Roma.

L'ESAME DI COSCIENZA NELLA PRATICA MONASTICA: L'ORIGINE DELLA CONFESSIONE CRISTIANO-CATTOLICA

Nella pratica monastica l'accesso alla verità era necessariamente subordinata a una sorta di purificazione, che assumeva due forme tra loro gemelle: la rinuncia e la mortificazione di sé. La vita del monaco non era altro che una vita di morte nel senso che egli "moriva" a questo mondo per poter rinascere a una nuova vita, quella "vera". Connessa alla rinuncia al mondo e alla mortificazione di sé vediamo ben presto comparire l'esigenza di una precisa conoscenza di sé. Una conoscenza che, però, non comportava solamente un particolare rapporto con se stessi, ma anche e soprattutto un particolare rapporto con l'"altro". È interessante notare come nelle pratiche monastiche così come le troviamo descritte nei testi, negli Apophtegmata Patrum 1 o nelle opere di Cassiano 2 ad esempio, l'obbligo di dir vero su se stessi s'inscrivesse sempre all'interno di una relazione con l'"altro"relazione considerata indispensabile alla realizzazione della vita monasticache doveva presentarsi nella forma dell'obbedienza assoluta, o meglio della totale sottomissione. Questa modalità di relazione non era del tutto nuova poiché, in fondo, l'intera Antichità pagana aveva ben conosciuto quel tipo di rapporto assai singolare che legava il discepolo al maestro, o il direttore a colui che veniva diretto. Credo, però, che esista una serie di differenze sostanziali tra il rapporto discepolo-maestro dell'Antichità e quello tra direttore e diretto nell'istituzione monastica. Nel primo, infatti, mancava assolutamente la convinzione che tale rapporto dovesse fondarsi sull'obbedienza e sulla sottomissione, cosa che invece divenne il fondamento della direzione concepita dai monaci. Nell'Antichità era ben presente l'idea secondo la quale colui che non conosceva un'arte o colui che voleva accedere alla saggezza, chi voleva imparare la filosofia e via dicendo, avesse bisogno di un direttore che lo potesse guidare, che lo conducesse, che lo prendesse per mano e gli facesse compiere il cammino, ma non si trova mai l'idea che questo dovesse essere una sorta di obbligo. Inoltre, nella direzione antica, il rapporto maestro-discepolo aveva una durata limitata nel tempo, salvo casi eccezionali. Si trattava, ad esempio, di essere guidati per tutto il tempo necessario a diventare un sophos, un saggio, ma una volta raggiunto l'obiettivo, il rapporto maestro-discepolo si dissolveva. C'era poi un altro aspetto particolare nella direzione dell'Antichità e che, come vedremo tra breve, sarà del tutto assente in quella monastica, e precisamente che la pratica di direzione dovesse rispondere a un principio di competenza, ossia che la guida, il maestro, dovesse necessariamente essere più competente di colui che veniva guidato. Certo, esisteva anche l'esempio di Socrate che praticava la direzione pretendendo di non sapere, ma a ben vedere si trattava solo di un rovesciamento speculare del rapporto maestrodiscepolo. Si trattava, insomma, di condurre l'individuo sino al punto in cui avrebbe saputo, o