Marco Andreani, Italy Advances. Photographic documents, documentaries and techniques of manipulation in Fascist propaganda, in "Photography as Power: Dominance and Resistance through Italian Lens." Eds Marco Andreani and Nicoletta Pazzaglia (Cambridge Scholars Publishing, 2019), pp.133-173 (original) (raw)
Detentore di un potere conquistato con la violenza, il regime fascista aveva un intrinseco bisogno di legittimazione popolare e allargamento del consenso. Ma come vincere lo scetticismo di milioni di italiani e convincerli della buona fede dell'azione fascista, in particolare dopo la crisi scatenata dal delitto Matteotti? Come accreditare l'immagine di un'inarrestabile rivoluzione, sullo sfondo di una crisi economica strisciante e quando la stessa azione rivoluzionaria fascista era comunque condizionata da un delicato gioco di compromessi con le principali forze economiche, sociali e politiche del paese? In questa situazione, per il regime era decisivo diffondere rappresentazioni di sé e del proprio operato tanto credibili quanto edulcorate, attraverso una 'iperproduzione estetica' dietro cui nascondere i limiti della propria azione e le reali, precarie condizioni del paese. Tra i mezzi di comunicazione di massa disponbili per raggiungere tale obiettivo, fotografia e cinema di nonfiction furono quelli utilizzati dal fascismo con maggiore lungimiranza, anticipo, continuità e dispendio di risorse. Perché proprio questi? Per capirlo, abbiamo innanzitutto cercato di ricostruire la retorica con la quale il regime giustificava agli occhi del popolo l'utilizzo di immagini fotografiche e filmiche, passando in rassegna articoli di giornale e redazionali di riviste illustrate, relazioni dell'Istituto Luce e documentari, testi introduttivi a libri fotografici e ai cataloghi delle grandi mostre del fascismo degli anni Trenta. Ne emerge una ripetuta esaltazione - lungo tutto il ventennio - del dispositivo fotografico inteso come produttore di "documenti di inconfutabile realtà" (come li definì Manlio Morgagni già nel 1923), fedeli, imparziali, immediatamente comprensibili da chiunque, privi di orpelli retorici e dell'arbitrarietà di testi scritti e disegni. La fotografia, infatti, aveva il potere di mostrare incontestabilmente il reale, essendone un'emanazione diretta. Ma se si analizzano le tecniche di costruzione narrativa utilizzate effettivamente per comporre l'immagine dell'Italia fascista, emerge una concezione della fotografia molto meno ingenua che consentì al regime di sfruttarne le costitutive ambiguità per dare vita a rappresentazioni illusorie straordinariamente credibili. Nel momento in cui attesta il reale, infatti, l'immagine fotografica può occultarlo e mistificarlo, distogliendo l'attenzione dell'osservatore dal tutto per dirigerla su quello che in realtà è un frammento di reale arbitrariamente selezionato attraverso il taglio operato dall'inquadratura. Tali caratteristiche, combinate con le potenzialità narrative e mistificatorie dischiuse dal montaggio in sequenza di più immagini, permisero al regime - attraverso un continuo processo di scomposizione e ricomposizione del reale - di plasmare un'immagine di sé e della realtà del paese tanto contraffatta e parziale, quanto apparentemente incontestabile e onnicomprensiva. Una volta individuate le immagini più spettacolari e di maggiore impatto - veri e propri collage di frammenti esaltanti che facevano appello alla parte emotiva degli spettatori più che alle loro facoltà di analisi - il regime continuò a ripeterle nelle più diverse forme e combinazioni, raggiungendo ogni angolo del territorio nazionale e decine di milioni di persone di ogni estrazione sociale. https://www.cambridgescholars.com/photography-as-power