VENERE NERA E TOURNÉE: COMPRESSIONE ED ESPANSIONE DELL’INGAGGIO SOMATICO (original) (raw)

Venere nera e Tournée: compressione ed espansione dell'ingaggio somatico TYSM LITERARY REVIEW -1 marzo 2012 Il confronto tra le due opere come Venere Nera (Venus noire, 2010) di Abdellatif Kechiche e Tournée (id., 2010) di Mathieu Amalric restituisce il valore di quell'escursione esperienziale che il cinema può dare del corpo e che rende attuabile attraverso il corpo (dello spettatore), formulando ipotesi sui margini di una fruizione o meglio designando i limiti sostenibili dell'atto scopico. Entrambe le messe in scena tracciano dunque due ritmi diegetici, due andamenti discorsivi che, sulla scia di una codifica somatica 1 , marcano opposte portate enunciative della mostrazione corporea, ne rilevano gli impatti responsivo-emotivi, onde verificare le tenute percettive all'interno delle rispettive dimensioni di consumo spettacolare. Un'accurata ispezione delle due pellicole conduce all'individuazione di una divergenza emblematica nel trattamento dello statuto corporeo che consente di esaminarne condizioni estreme dell'esplorazione filmica, verificando, su un versante, una prensione che per quanto abietta sostenga la fatica di un vincolo e sull'altro l'ebbrezza di una carezza che non allenti troppo il contatto. Scrutando e forzando le pareti dermiche di un'aberranza rappresentativa, la pellicola del regista tunisino assottiglia la distanza focale con un radicalismo tanto deprecabile quanto efficace, l'altra, all'opposto, sonda la viva persistenza di uno show protesizzato, le cui figure pur nella loro nitidezza appena abbozzata non eludono l'ingaggio estesico/estetico. Se Venus noire si aggrappa dunque allo sviluppo di una narrazione ben scandita e stringente è per sedimentare nell'esperienza filmica gli insidiosi carcami di un'ostinazione visuale smisurata quale testimonianza dell'apicale eccedenza di un evento, mentre Tournée sceglie consapevolmente la formula di un racconto più debole e frammentato, dall'andamento ondivago e svagato, come un viaggio che intenda recuperare il senso di un passaggio radente declinando i mood della fabula verso impressioni affettive sfuggenti. La focalizzazione sull'uso/abuso dell'istanza carnale denota, metavisivamente, come il grado del confronto prossemico con l'istanza attanziale costituisca la stima della sua duttilità espressiva. L'iper-permeabilità dello schermo/parete si fa pertanto strumento teso a calibrare gli orientamenti e le fluttuazioni fenomeniche del corpo sulla scena. Laddove la venere ottentotta è invischiata in un processo di accumulo e appesantimento di contiguità con il dispositivo, che proietta sul piano dell'immagine una gravità e una pregnanza accusatoria proprio in ragione di uno sfibramento della risposta senso-motoria, che ottunde e perturba la sensibilità dello spettatore/osservatore, diametralmente opposta e in qualche modo specularmente inverso si profila il margine di coinvolgimento alla performance delle ballerine di burlesque, sollecitate a proseguire le loro prove ben oltre i confini della messa in scena, ove la composizione si disperde in quadri sgangherati e semidecadenti che allentano la presa dell'occhio e ne disimpegnano la carica (in)tensiva così come l'adiacenza relazionale. Nel primo film la mdp è costretta a inquieti, continui movimenti (anche quando dovrebbe essere ferma sembra fibrillare) per approcciare la protagonista, alternando stacchi convulsi sugli spettatori a piani in cui questo fa da sfondo. L'instabilità dinamica che trasmette l'immagine della pellicola di Kechiche è pura tensione centripeta che soffoca il respiro della visione, in quanto è represso il gesto di estroflessione che il guardante espleta in risposta al guardato 2 . Nell'altro, si delinea invece quell'esitazione visiva che è pura forza centrifuga e di evasione, dispiegamento tonico di istintualità epurate di qualsivoglia risvolto offensivo, in cui il moto di emanazione scaturito dalla ricezione ottiene tutto lo spazio espressivo desiderabile, anzi acquista una notevole libertà di