Tracce femminili negli archivi scolastici (original) (raw)
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Analisi delle figure femminili presenti nel patrimonio epigrafico di Atina
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in: G. Ciappelli, S. Luzzi, M. Rospocher (edd.), Famiglia e religione in Europa nell’età moderna. Studi in onore di Silvana Seidel Menchi, Roma, 2011, pp. 233-248
ArCHIVI FEMMINILI NEGLI ArCHIVI DI FAMIGLIA. IL CASO DELL'ArCHIVIO tHUN DI CAStEL tHUN Castel thun, un prezioso maniero situato all'imbocco della Valle di Non, è dal XIII secolo sede dell'omonima famiglia, una delle più consistenti della grande nobiltà feudale trentino-tirolese, protagonista per almeno cinque secoli della storia trentina e mitteleuropea. Dal 1595 al 1926 il castello è appartenuto alla linea thun di Castel thun, prodotta dalla grande divisione patrimoniale di fine Cinquecento. Altre linee fiorirono nei vicini castelli anauni di Bragher, di Castelfondo e di Castel Caldes e nelle ricche signorie boeme, acquisite a inizio Seicento. Dal 1926 al 1982 Castel thun è stato proprietà di una famiglia thun di Boemia e nel 1992 è stato infine ceduto alla Provincia autonoma di trento che lo ha recentemente aperto come museo dopo lunghi restauri 1 .
Tracce di donne nel primo Trecento
Abstracts: Il saggio passa in rassegna alcune "tracce" di volgare femminile nell'Italia del primo Trecento, in Veneto e in Toscana; si sofferma in particolare sulle condizioni di produzione e trasmissione delle poche testimonianze identificabili e sulla precarietà documentale del "segno" qualificabile al femminile (serie rimanti, scritture avventizie o sopravvivenze orali).
La scuola femminile a Bolsena.Dalle Maestre Pie alla suore francesi: più di 200 anni di attività educativa e didattica, 2015
Copertina del catalogo della mostra Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIV al XVIII secolo, a cura di Benedetta Montevecchi, Gangemi editore L oggetta L la gen-mar 2015 te nella cattedrale di San Donato della contrada di Civita. Sette giorni dopo la reliquia fu portata-alla presenza del Ministro generale dell'ordine-all'interno della chiesa di San Francesco. In seguito, la semplice urna che conteneva la reliquia per volontà e spesa della Comunità di Bagnoregio fu sostituita dal reliquiario che ancora oggi si conserva. Intorno al 1534 i frati minori conventuali lasciarono tempora-neamente il convento di Bagnoregio, in quell'occasione il con-siglio comunale deliberò di assegnare la custodia della reliquia ad alcuni nobili cittadini bagnoresi che erano di volta in volta eletti dal consiglio stesso. Nel 1543 ca. il consiglio comunale decide di custodire la reli-quia nella chiesa collegiata di San Nicola nella contrada di Rota, affidandone la custodia ai canonici della collegiata; inca-ricò inoltre la compagnia del Corpus Domini della stessa chie-sa di far realizzare a proprie spese una nicchia in pietra protet-ta da un'inferriata con tre serrature all'interno dell'altare mag-giore (una chiave al governatore della compagnia del Corpo di Cristo, una al governatore della compagnia della Misericordia, una al governatore della compagnia di San Bonaventura). La reliquia fu inserita in una cassetta lignea con due serrature (una chiave consegnata al priore della collegiata, una al guar-diano del convento dei francescani). Nacquero aspre controversie tra minori conventuali, canonici della cattedrale e membri del consiglio comunale, sulla pro-prietà della reliquia. Per tale ragione l'8 agosto 1586 fu istruito un processo. In un interrogatorio del 1 settembre del 1586 (Archivio Vescovile di Bagnoregio, Atti Civili) il priore della col-legiata di San Nicola, don Panfilo Brancazi, afferma: … Magnifi-ca Communitate Balneroregien, de cuius interesse personaliter agitur, quia dictum Sanctum Brachium de Gallia fuit transmissum dicte Magnificae Communitati, que pro illius cura et manutentio-ne elegit Ecclesiam S.ti Nicolai et illius Priorem et Canonicos quod patet ex clavibus capse in qua est repositum dictum Bra-chium solitis dari a dicti cives claves dicte capse retinet quod con-stat ex actis precedentibus in quibus tenores dictarum clavium fuerunt citati... Altro interessante riferimento alla proprietà della reliquia si evince dalle conseguenze della richiesta del cardinale Zela-da (2 luglio 1796) circa la requisizione di ori e argenti di chie-se, monasteri, conventi etc., utili per soddisfare le richieste imposte dagli accordi tra Pio VI e Napoleone. Seppure le insigni reliquie e gli oggetti di particolare valore liturgi-co/devozionale non rientravano tra i materiali da requisire, il consiglio comunale si affrettò a sottolineare come la pro-prietà comunale della reliquia bonaventuriana ne escludeva ex-officio subito una inclusione tra i beni ecclesiali (ed dun-que soggetti ad una eventuale requisizione). Ribadita dunque, ancora una volta, l'appartenenza della reliquia alla Comunità bagnorese, è forse giunto il momen-to di fare dei cittadini di Bagnoregio degli intransigenti custodi della figura di San Bonventura, e della preziosa reliquia. Nel totale e generale disinteresse da parte delle autorità ecclesiali, tale azione dovrebbe animare con ancor più vigore gli spiriti dei devo-ti bagnoresi. Per rendere il meritato onore al nostro illu-stre concittadino. pesanteluca@gmail.com F in dalla prima metà del XVIII secolo, quando ancora l'educazione era impartita nei monasteri o era privile-gio dei nobili, a Bolsena le autorità civili avevano preso in seria considerazione l'educazione e l'istruzione delle bambine, tanto che nel 1735 esisteva nella nostra cittadina una scuola elementare femminile ammini-strata dal Comune, che provvedeva alla retribuzione delle maestre grazie alle rendite del Pio Ospedale dei Pellegrini. Tale istituzione apparteneva al genere delle Scuole Pie che già in precedenza erano sorte a Viterbo e poi a Montefiasco-ne ad opera, rispettivamente, di Rosa Venerini e Lucia Filip-pini Falzacappa di Corneto, e godevano di una loro autono-mia organizzativa e amministrativa. Alla scuola di Bolsena aderì la signora Cecilia Cocchi che ne venne poi considerata la vera fondatrice, in quanto ebbe a destinarvi, oltre a tutta la sua energia spirituale, tutte le pro-prie sostanze materiali: la donna infatti accolse in un primo momento le bambine nella propria abitazione, supportata in questo da modesti sussidi del Comune e da rare donazio-ni di privati, finché la stessa, nel 1763, non entrò in posses-dalla Tuscia La scuola femminile a Bolsena Dalle maestre pie alle suore francesi: più di duecento anni di attività educativa e didattica