Padre Bernardo della Torre architetto della Congregazione della Missione (1715-1749) (original) (raw)
2016, Tesi di dottorato in Storia dell'Architettura, tutor prof.ssa Simona Benedetti, Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell'Architettura, Sapienza Università di Roma
La ricerca analizza l’attività architettonica di padre Bernardo Della Torre (Genova 1676 – Tivoli 1749), sacerdote appartenente alla Congregazione della Missione, che per il proprio Ordine religioso ricoprì varie cariche di governo e, soprattutto, il ruolo di architetto. Si tratta di un nome quasi del tutto sconosciuto ai repertori artistici, principalmente legato alla chiesa romana della SS. Trinità in Montecitorio, consacrata nel 1743 e demolita nel 1914 per “motivi di pubblica utilità”. Altra opera a lui riferita è la chiesa dell’Annunziata a Tivoli, consacrata nel 1741, le cui fattezze compositivo-tipologiche, rare in area romana e laziale, e l’alta qualità architettonica hanno fornito l’input iniziale per una ricerca preliminare che ha fornito dati di estremo interesse. Lo studio della bibliografia storico-religiosa della Congregazione della Missione, fondata a Parigi nel 1625 da san Vincenzo de Paoli e detta anche dei “padri lazzaristi” o “vincenziani”, ha portato all’attenzione dell'autore numerose altre fabbriche progettate e realizzate dal Della Torre; tali costruzioni, destinate alle attività dei padri – conventi, collegi, casini per villeggiatura estiva – sono situate in varie località della Provincia Romana dell’Ordine, un vasto territorio (i cui confini coincidono con quelli dello Stato Pontificio) governato tra il 1722 e il 1742 dallo stesso sacerdote genovese. Quest'ultimo è apparso, dalla lettura delle fonti, come una figura estremamente versatile e dinamica, in grado di amministrare un'ampia area in una fase delicata della storia dell’Ordine: negli anni Venti – Quaranta del XVIII secolo, infatti, si registrò una crescita iperbolica per i lazzaristi, che vide l’apertura di un gran numero di nuove case in tutta Europa e l’affidamento di numerose missioni estere. Tra i motivi di tanta popolarità, la beatificazione (1729) e la successiva canonizzazione (1737) del fondatore Vincenzo de Paoli, eventi in cui Bernardo Della Torre ebbe un ruolo di primo piano, mettendo al servizio della propria comunità la stima di cui godeva presso la corte pontificia, per accelerare quanto possibile il processo di canonizzazione. L’affluenza sempre maggiore di aristocratici e prelati nelle case della Missione, desiderosi di praticarvi gli esercizi spirituali, determinò l’esigenza di edificare nuove residenze per i vincenziani e di ampliare o ristrutturare quelle già esistenti, spesso ricavate in case di abitazione civile o ex-conventi appartenuti ad altri Ordini. A tale esigenza abitativa era possibile far fronte, grazie alle generose donazione degli esercitandi e di vari protettori della congregazione vincenziana. Identificate le fabbriche lazzariste di quegli anni, è stato possibile rintracciarvi formule compositive, distributive e linguistiche comuni, codificate da padre Bernardo assieme a due confratelli dotati di cognizioni ed esperienza tecnica, che si alternarono con lui nella supervisione dei cantieri. Tali schemi e stilemi sono stati “messi a sistema”, per tracciare le linee generali di quella che, a questo punto, è definibile come "architettura vincenziana": un’architettura nata con Della Torre, le cui linee guida furono seguite dall'Ordine sino all’inizio del Novecento. Lo scandaglio dei carteggi, custoditi principalmente presso l’Archivio del Collegio Leoniano di Roma, ma anche negli archivi diocesani, comunali e di Stato di molte città italiane, ha consentito di confermare le attribuzioni al Della Torre già esistenti e di aggiungerne di nuove. L’analisi dei documenti raccolti, confluiti nella corposa appendice allegata alla tesi, è stata affiancata da uno studio diretto dei manufatti architettonici, rilevati dall'autore al fine di distinguere l’apporto progettuale del sacerdote rispetto ai numerosi interventi successivi, spesso subiti dai fabbricati. Per quanto concerne l’opera più nota, la distrutta chiesa della Trinità in Montecitorio a Roma, lo studio delle vicende costruttive è stato integrato dall’elaborazione di grafici ricostruttivi, sulla scorta delle descrizioni, delle piante e delle fotografie d’epoca rinvenute, al fine di comprenderne meglio – e, al tempo stesso, di metterne in risalto - i caratteri tipologici e linguistici. Una parte consistente della ricerca ha riguardato le origini di Bernardo Della Torre, per rintracciare notizie sulla sua formazione architettonica. Nonostante la quasi totale mancanza, tra i documenti, di menzioni sul suo trascorso secolare, è stato possibile identificare con precisione il suo nucleo familiare d'origine all’interno dell’albero genealogico dei Della Torre, un'antica casata ligure che nella seconda metà del Seicento era ramificata in varie linee che occupavano posizioni di rilievo nel contesto socio-politico della Repubblica di Genova. L’individuazione del background in cui il Della Torre è stato educato ed istruito, unita alle poche informazioni rintracciate circa la sua formazione architettonica, ha consentito di comprendere aspetti che ricorreranno costantemente nella sua successiva carriera di sacerdote-architetto, sia nei rapporti umani e lavorativi, sia in alcune determinate scelte progettuali. L’indagine ha riguardato anche la personalità umana e sacerdotale di Bernardo Della Torre, figura, come detto, ben vista nell’ambiente ecclesiastico romano. È stato studiato approfonditamente il suo rapporto col cardinale Giulio Alberoni: ne è emerso che il Della Torre, vero e proprio uomo di fiducia del porporato nell’amministrazione dei suoi beni romani, svolgeva per lui anche attività di consulenza architettonica; in tal modo è stato possibile chiarire la questione dell’attribuzione, finora irrisolta, della fabbrica del Collegio Alberoni presso Piacenza. Il riconoscimento di alcune peculiarità nei progetti studiati ha consentito inoltre all'autore di proporre nuove attribuzioni al Della Torre, riconoscendone la mano anche nelle chiese di San Vincenzo de Paoli a Genova e in quella dei Santi Severo e Carlo Borromeo (oggi San Pére Nolasc) a Barcellona; tali ipotesi attributive, non confermabili con certezza a causa della perdita di numerosi fondi documentari, sono avvalorate dalle vicende biografiche del sacerdote-architetto, presente nelle due città, ligure e catalana, negli anni in cui le chiese citate venivano erette. È stata infine dedicata grande attenzione ad ogni menzione, nei carteggi, ai rapporti di Bernardo Della Torre con alcuni architetti e artisti di rilievo attivi a Roma nella prima metà del Settecento. È stato possibile delineare la figura di un uomo ben inserito nel suo ambiente artistico-culturale, come confermato da numerose assonanze, rilevabili tra le sue opere e quelle di molti suoi colleghi laici, vicini da un lato alla figura-guida di Carlo Fontana, dall’altro all’ambiente ecclesiastico corsiniano, di cui lo stesso Della Torre faceva parte. Si tratta infatti di composizioni lineari, basate su schemi modulari che derivano dalla rilettura del patrimonio barocco, in una chiave semplificata che offre un ruolo primario alle esigenze funzionali, statiche, igieniche; tale reinterpretazione della lezione dei grandi maestri è resa esplicita grazie alla sintassi adottata per tali nuove fabbriche: un linguaggio elegante, in cui si riscontrano rimandi ai capolavori tanto del Bernini, quanto del Borromini. Il lavoro costituisce la prima opera dedicata all’architettura lazzarista e approfondisce in modo analitico la carriera del suo progettista principale. La personalità di Bernardo Della Torre, finora inedita, è ben collocabile tra le differenti tendenze architettoniche che si contrastano e affiancano nel panorama culturale del primo Settecento romano, tra istanze progettuali funzionaliste e richiami, nella decorazione, alla grande stagione barocca che volgeva al termine. Tale studio si colloca in un clima critico caratterizzato, da un lato, dalla rivalutazione di tanta produzione architettonica, oggi definita “dell’Arcadia”, e dall’altro dalla riscoperta di figure professionali interessanti, finora sottovalutate, come quelle degli architetti interni alle congregazioni religiose.