Alessio Decaria / Claudio Lagomarsini (ed.), I confini della lirica. Tempi, luoghi, tradizione della poesia romanza, Firenze 2017 (original) (raw)
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2019
I confini della lirica. Tempi, luoghi, tradizione della poesia romanza
2017
A cura di Alessio Decaria e Claudio Lagomarsini. Il concetto di confine, da intendersi nelle molteplici implicazioni geografiche, cronologiche e inerenti al genere letterario, può costituire un’utile chiave di lettura per la lirica romanza del Medioevo e per le complesse vicende della sua trasmissione. A questo tema è dedicato il volume che conclude i lavori del progetto di ricerca ±«TraLiRO. Repertorio ipertestuale della tradizione lirica romanza delle Origini», finanziato nell’ambito del programma di ricerca FIRB Futuro in ricerca 2010. Tutti gli interventi, dedicati ai vari ambiti linguistici considerati nel progetto (italiano, francese, provenzale, galego-portoghese, castigliano), si confrontano in vario modo con l’idea di limite, confine, frontiera, e, muovendo da una prospettiva contemporaneamente filologica e storiografica, toccano almeno uno dei tre punti evidenziati nel sottotitolo del volume: tempi, luoghi, tradizione della lirica romanza del Medioevo. Tale impostazione si fonda sulla convinzione che la tradizione dei testi costituisce un fattore di primaria importanza tanto per definire l’identità del genere lirico, quanto per affrontare le questioni di ambito critico e storiografico. The multiple implications of the concept of boundary, from a geographical and chronological point of view, also dealing with the problem of the literary genre, can be an useful key for the medieval Romance lyric and the complex ways of its transmission. This volume as a conclusion of the project «TraLiRO. Repertorio ipertestuale della tradizione lirica romanza delle Origini», financed by the Italian Ministry of Education, University and Research in the context of the FIRB research program, was dedicated to this topic. All the papers are devoted to the various linguistic areas considered in the project (Italian, French, Provençal, Galician-Portuguese, Castilian), and all of them differently deal with the idea of limit, border, frontier, moving from a perspective that is at the same time philological and historiographical. Each contribution touches at least one of the three points that the subheading of the volume hints at: times, places, tradition of medieval Romance lyric. This approach is based on the belief that the tradition of texts is a major factor in defining the identity of the lyrical genre, as well as in dealing with critical issues.
Nell’Europa di fine Settecento Paul et Virginie di Bernardin de Saint Pierre ottiene un successo sorprendente e il rousseauismo problematico di questo romanzo pastorale costituisce, in molte opere che ad esso si ispirano, un cruciale punto di avvio per lo sviluppo delle idealità romantiche. Gli adattamenti teatrali ed operistici di area francese ( Favières 1791; Dubreuil 1794) assolutizzano il contrasto scenico fra personaggi positivi e negativi ma al tempo stesso spostano l’asse concettuale del discorso dal tragico dissidio uomo/ natura al recupero dell’armonia, veicolata da un happy end che esalta la ‘moralità trionfante’ di Virginie. Il mio lavoro intende indagare il quadro, più mosso e conflittuale, delle riscritture di Paul et Virginie per il teatro musicale siciliano, ed in particolare messinese. Si tratta di un’area geografica periferica, ma proprio per questo altamente ricettiva, ed in grado di rielaborare le proposte culturali europee per fornire un contributo originale al dibattito letterario: il libretto “Gli amori di Paolo e Virginia” (1833) di Felice Bisazza riprende i modelli teatrali francesi in relazione alla trama di eventi ma riformula la “geometria drammatica” (Ginestier 1961) del testo, esaltando la tensione emotiva inerente alle relazioni fra personaggi e potenziando l’atmosfera elegiaca, anche tramite puntuali riferimenti a snodi patetici del romanzo originario. La fonte narrativa, della quale si mantengono lo spessore culturale, la stratificazione mitologica, ma anche il complesso e contraddittorio cronotopo dell’isola – paradiso perduto, luogo di fuga (Guglielmi 2002), – ispira dunque al librettista un testo drammaturgico nel quale interagiscono istanze classiche e romantiche, tradizione ed innovazione, in un insieme dinamico e problematico . Nel successivo “Paolo e Virginia” (1843), musicato dal messinese Mario Aspa su parole di Iacopo Ferretti, si ripropone invece il finale tragico, segno di un Romanticismo più maturo, che focalizza il contrasto io/ realtà e non permette più soluzioni ‘facili’. Ritengo sia di sicuro interesse analizzare questo momento di contatto fra cultura francese e siciliana nell’ambito, ancora poco indagato ma oggetto di recenti ricerche, degli ipotesti operistici: la ripresa dei modelli d’oltralpe costituisce infatti, per i due scrittori e musicisti messinesi, un’occasione per agganciarsi alle correnti innovative europee. Si tratta di una tappa significativa nell’evoluzione del pensiero romantico siciliano che darà, pochi decenni dopo, esiti di grande rilevanza.
Ledizioni, Milano, 2020
L’articolo propone un confronto tra The Return of the Native (1878) di Thomas Hardy e The Lowland (2013) di Jhumpa Lahiri. Nonostante gli autori siano distanti per contesto storico e vicende biografiche, l’analisi intende esplorare il significato profondo dello spazio liminale che in entrambi i romanzi sembra stagliarsi al di sopra dei personaggi. Il confronto tra Egdon Heath, la brughiera del Wessex in cui lo scrittore tardo-vittoriano ambienta la vicenda, e la spianata (lowland) della periferia di Calcutta, attorno alla quale gli eventi del romanzo di Lahiri si intrecciano, testimonia il significato dello spazio liminale come metafora di sconfinamento di confini locali e transnazionali. Luoghi ambivalenti, attraversati da immagini di vita e morte, la brughiera e la spianata sono come caratterizzati da un linguaggio naturale (landguage), che non tutti i personaggi sembrano comprendere. La brughiera si configura come spazio in movimento, capace di regolare il tempo cronologico che procede dalle tracce profonde della geologia ai segni che la civiltà celtica ha lasciato in eredità agli abitanti locali. Egdon Heath, pertanto, con la sua vegetazione dalle tinte scure e la sua vastità, comprende una temporalità ampia. Alternando superstizione e magia pagana in uno scenario sublime, dove l’immagine dell’uccello migratore rimanda ai paesaggi freddi del Nord, Hardy sovverte l’ideale idillico del tropo pastorale, raffigurando la brughiera come un luogo di alienazione e distruzione del sé. Il paesaggio, però, sembra sottrarsi alle novità che l’imperialismo e il capitalismo avevano introdotto in Inghilterra alla fine del XIX secolo, attestandosi come territorio di passaggio che rifiuta le contaminazioni e rende il ritorno a casa traumatico. Se in The Return of the Native l’attraversamento dei confini suggerisce ansia nei confronti del nuovo, Lahiri, che ha tratto ispirazione dal romanziere vittoriano per l’elaborazione del paesaggio naturale, costruisce uno spazio liminale altrettanto ambiguo e problematico che, tuttavia, lascia intravedere possibilità di connessioni extraterritoriali. L’acquitrino melmoso del Bengala, residuo delle bonifiche che gli inglesi condussero nel XVIII secolo, è uno spazio liminale in cui aridità e umidità, evaporazione e pioggia si alternano in modo incessante. Un palinsesto in cui sono incorporati traumi collettivi, come la Partition, e ferite personali, la lowland è un cronotopo di natura eonica che conferisce temporalità allo spazio e spazialità al tempo. Lahiri arricchisce il già stratificato suolo indiano attraverso connessioni rizomatiche con le dune paludose del Rhode Island, lungo la costa nord-orientale dell’Atlantico, dove la seconda parte di The Lowland è ambientata. Il romanzo, in conclusione, riprende da Hardy il tema del ritorno a casa, facendo emergere il valore rigenerativo dell’immaginazione topopoetica, in linea con gli studi sulla nomadologia di Deleuze e Guattari e la poétique de la relation di Glissant. Intersecando la fragilità dell’ambiente con la sofferenza umana, Lahiri dipinge spazi liminali in grado di illuminare non solo il senso di perdita, ma anche il desiderio di contatto e ibridazione.