“Sappi che non son torri, ma giganti” (Inferno, canto XXXI) (original) (raw)
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La corda e i suoi «groppi». Un'interpretazione di Inferno XVI 106-117
This essay attempts a new interpretation of a very controversial crux in Dante’s Inferno. By means of comparisons between different issues in the fields of philology and art history (Orcagna, Ambrogio Lorenzetti) the essay aims to demonstrate that the complex ‘rite’ performed by Vergil in order to bring the monstrous Gerion up from Malebolge’s abyss has, besides a religious meaning, a strong ethical and political one: the rope is deciphered as a symbol of the vinculum concordiae binding together those citizens who act under the aegis of justice in order to attain the common welfare. On this bound Dante used to lay his hopes, but it will prove itself ineffective to capture that lonza-envy which symbolizes partisan hate: concord among citizens will be assured only in a world governed by the only king whose auctority is sanctioned by God’s will.
1. Secondo una tecnica di raccordo narrativo usuale nel poema, l'esordio del canto xxxi si riallaccia direttamente alla conclusione del canto precedente, prolungando la situazione psicologica ivi descritta. È opportuno perciò richiamare brevemente gli ultimi versi del canto xxx, nei quali è raffi gurata una vicenda emotiva complessa, scandita in tre momenti: il rimprovero di Virgilio (« uno dei suoi interventi piú pedagogici e severi », cosí Contini) 1 per « la bassa voglia » che ha tenuto il pellegrino « tutto fi sso » alla zuffa tra Sinone e maestro Adamo (vv. 130-32); quindi la confusione e la vergogna di Dante (ammutolito e incapace di trovare una scusa adeguata e al tempo stesso trovandola, senza saperlo, proprio in questa incapacità, vv. 133-41); infi ne l'assoluzione e il conforto impartiti da Virgilio medesimo (vv. 142-44), seguíti da parole in cui la durezza dell'accusa -necessaria a compiere « le vendette del contenutismo sul calligrafi smo » (sono ancora parole di Contini, l. cit.) -si stempera nella raccomandazione a far sí che a spettacoli di tal genere il pellegrino si sottoponga in futuro, se mai gli capiterà ancora di assistervi, tenendosi la guida « sempre allato » (vv. 145-48); ebbene, questa articolata (e tortuosa) vicenda psicologica è ripresa, si diceva, nell'esordio del nostro canto, e lapidariamente riassunta in una terzina (xxxi 1-3):
Quaderns d’Italià
La lettura del XXX dell'Inferno mostra i legami stilistici e tematici tra questo canto e i precedenti VII e VIII (in particolare l'episodio di Filippo Argenti). Mostra l'importanza del contesto «canino» e generalmente bestiale entro il quale va collocato il latrato di Ecuba e l'importanza della sua funzione demitizzante nel momento che immette l'eredità classica nel mondo moderno. Del discorso di maestro Adamo, si rilevano gli echi complessi impliciti nel suo biblico esordio, e se ne analizzano le parole in chiave di «discours de la mauvaise foi» (seguendo una precisa indicazione della studiosa francese Claude Perrus). Dante si serve della zuffa tra i due personaggi per condannare lo sterile e pericoloso esercizio di falsificazione verbale costituito dall a tenzone.
Piccola nota al canto XXVI° dell'Inferno
Flavio Cremasco, 2023
Là dove Dante e Virgilio incontrano Ulisse e Diomede) "O voi che siete due dentro ad un foco" (Inf. XXVI; 79) "Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza." INF. XXVI; versetti 118-120
Centauri e dannati nel canto XII dell’Inferno
this study aims to look at least partially into the intricate network of meanings implied in the text of dante's twelfth canto of the Inferno. the article analyzes particularly the Centaurs and the damned, it stresses the fact that dante seems to conceive the sin of violence against one's neighbor (punished in this very circle) as political-military violence. the Centaurs in fact seem to be "allegories" of armies and warfare, and the damned, actually cooking in the boiling blood of the river Phlegethon, are commanders punished by means of retaliation law (something very well known by the first interpreters and then forgotten). they are now darted by the Centaurs representing the armies they led when they were alive to satisfy their "blind greed" and their "mad fury".
Discorso di Dante: un’«operina» cinquecentesca inedita sull’Inferno
Discorso di Dante: un’«operina» cinquecentesca inedita sull’Inferno, 2019
Il codice Rediano 38 della biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, integralmente inedito, include un’opera cinquecentesca intitolata Discorso di Dante, un compendio dell’Inferno con brevi note di commento, dedicato al Duca Cosimo dei Medici. Autore ne fu, con ogni evidenza, Giovan Girolamo De Rossi, cugino di Cosimo, vescovo di Pavia oltre che letterato p
in Avventure, itinerari e viaggi letterari. Studi per Roberto Fedi, a cura di Giovanni Capecchi, Toni Marino e Franco Vitelli, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2018, pp. 13-29.
Letto a Firenze, nell’ambito della “Lectura Dantis” organizzata dalla Società Dantesca Italiana, nell’aprile del 2017, questo studio affronta in modo nuovo alcuni nodi critici del celeberrimo canto dantesco: indica alcune fruttuose contraddizioni interne (buio/possibilità di vedere; animalizzazione dei lussuriosi/capacità di soffrire) illuminandole, nelle loro ragioni, con riferimenti alla cultura filosofico-teologica coeva; indaga il significato delle prime due similitudini derivate dal mondo degli uccelli (con, ancora, contraddizione tra il vagare senza direzione degli storni e la direzionalità del percorso delle gru), criticando l’interpretazione recente che distinguerebbe tra due diversi gruppi di lussuriosi; evidenzia la “sospensione” della pena infernale legata alla terza similitudine, quella delle colombe, che per la prima volta riporta, aldilà del rimando a Virgilio, alla fonte biblica (il salmo 54 della Vulgata); interpreta le celebri terzine di Francesca relative all’azione di Amore facendo tra l'altro riferimento al De catechizandis rudibus di Agostino; ricorda, sempre in relazione alla cultura coeva e al resto dell’opera dantesca, l’importanza della virtù della castità, di cui precisa la natura rispetto a banalizzazioni contemporanee; sottolinea la centralità della riflessione sulla responsabilità della letteratura; indica infine come non solo la letteratura possa indurre al peccato d’amore ma che il peccato d’amore e la passione possono abilmente costruirsi giustificazioni letterarie, come fa Francesca, asservendo il “logos” al “talento”.