Contadini artisti, puttane tristi. Da alcune lettere parigine di Ubaldo Oppi (original) (raw)
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Me ne ero proprio dimenticato. Se ne stava lì, sul lato destro di uno scaffale alto, da 25 anni. È proprio vero, la lettura di un libro non sai di quante sorprese può farti dono. Il libro in questione è Un volgo disperso di Adriano Prosperi 1. Parla dei contadini, che non ci sono più, volgo disperso, dannati della terra. Ma il paradosso è che il primo rigo inizia così: «Nelle campagne italiane abbiamo visto di recente tornare i contadini» 2. Allora, non sono morti i dannati della terra? Perché mai, poi, chi materialmente lavora nelle campagne e contribuisce notevolmente a dare cibo alle pance affamate, debba sempre essere trattato da schiavo? Ma questo è un altro discorso. Nelle prime pagine dell'ottimo lavoro dello storico, leggo:
Il pittore, lo scultore e il maestro. Vittore Grubicy, Leonardo Bistolfi e Arturo Toscanini
Vittore Grubicy De Dragon. Un intellettuale-artista e la sua eredità. Aperture internazionali tra divisionismo e simbolismo, a cura di S. Rebora e A. Scotti, catalogo della mostra (Livorno, 8 aprile - 10 luglio 2022), Pacini 2022, pp. 89-99
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Verso una breve storia della convivenza tra artisti.pdf
Nel corso degli anni è esistita una lunga tradizione di convivenza tra creatori. Costituendo un arcipelago di pratiche ed esperienze, la coabitazione ha preso diverse forme, tutte, in un modo o nell’altro, collegate all’ambizione di fondere arte e vita. Cercando di avanzare verso l’abbozzo di una storia in attesa di essere scritta, possiamo cominciare a concepirla partendo dall’idea dei diversi prototipi dell’abitare.
L’ARTISTA E IL SUO DOPPIO. RITRATTI DI PITTORI DEL SEICENTO VENEZIANO
Artibus et Historiae, n. 70, pp. 61-82, 2014
La mostra, e il relativo catalogo, della pittura veneziana del Seicento tenutasi a Ca' Pesaro nel 1959, si apriva con l'Autoritratto di Jacopo Palma il Giovane [ ] 1 : una scelta in armonia con l'impianto dell' esposizione, progettata quale antologia per illustrare protagonisti e generi della cultura artistica del XVII secolo, dominato nei primi due decenni da un tenace 'tardomanierismo' che a fatica lasciò spazio a nuove esperienze e idee. Sino alla sua scomparsa nel 1628, Palma, cresciuto nella temperie del manierismo riformato con un bagaglio arricchito da esperienze romane, ne è il principe; dotato di un forte senso della personalità contribuisce in maniera decisiva al fenomeno oggetto di questo saggio, cioè la rappresentazione dell'artista nel Seicento veneziano. Il suo spiccato interesse, quasi 'ossessivo' (oltre una decina i suoi autoritratti, tra dipinti e disegni), per l'esplorazione di sé sia come pittore sia come individuo, vuoi per assicurarsi memoria eterna vuoi per esprimere la sua autostima, ha fornito un modello per le generazioni successive, anticipando pure taluni orientamenti settecenteschi (si pensi a Giambattista Piazzetta).
Il tempo del possibile: l'attualità della comune di Parigi, 2018
Saggio sul rapporto tra gli artisti e la Comune, con particolare riferimento all'idea del lusso comune, all'interno del volume collettivo "Il tempo dell possibile: l'attualità della Comune di Parigi", a cura di Francesco Biagi, Massimo Cappitti, Mario Pezzella, 2018
Mogli o buoi? Lo scontro tra Tindaridi e Afaretidi da Pindaro ai poeti alessandrini
Rhysmos. Studi di poesia, metrica e musica greca offerti dagli allievi a Luigi Enrico Rossi per i suoi settant'anni, 2003
Castore «dalla mitra di bronzo» ansima moribondo sotto gli occhi piangenti del fratello nella valle di Terapne, ai piedi del monte Taigeto; e, sommo esempio di affetto fraterno, Polluce, che dei due figli nati da Leda è l'unico ad esser stato concepito dal seme divino di Zeus, accetta di condividere col suo gemello umano, questo sì sangue di Tindareo, un alterno destino post mor tem: metameibov menoi d∆ ej nalla; x aJ mev ran ta; n me; n para; patri; fiv lw/ Di; nev montai, ta; n d∆ uJ po; keuv qesi gaiv a" ej n guav loi" Qerav pna", pov tmon aj mpiplav nte" oJ moi' on: ej peiv tou' ton, h] pav mpan qeo; " e[ mmenai oij kei' n t∆ ouj ranw/ ' , ei{ let∆ aij w' na fqimev nou Poludeuv kh" Kav storo" ej n polev mw/. Così Pindaro ai vv. 55-59 della decima Nemea, che costituiscono l'esordio di una bella pars epica-mi si perdoni la nota di apprezzamento esteticonella quale, dopo la concisa narrazione dello scontro armato tra Tindaridi ed Afaretidi (vv. 61-72), ampio spazio viene riservato proprio alla descrizione della morte di Castore e al colloquio, che l'accompagna, tra Polluce e suo padre Zeus (vv. 73-90) 1. A colpire mortalmente Castore, scatenando così un-* Questo lavoro, che dedico con affetto a chi mi ha insegnato non solo a leggere e ad analizzare i testi, è stato oggetto di una relazione seminariale tenuta il 5/12/2002 presso l'Università "Ro ma Tre" su invito del prof. A. Martina e della dott.ssa A.-T. Cozzoli. Sono grato a tutti coloro che hanno partecipato a quella seduta di seminario, docenti, ricercatori e studenti per il contributo dato, attraverso la discussione, al miglioramento del lavoro stesso. Ringrazio inoltre, per i loro preziosi suggerimenti, Franco Ferrari e Roberto Pretagostini. 1 Non è mia intenzione entrare qui nel merito delle complesse questioni mitico-cultuali poste, in generale, dall'identificazione tra Dioscuri e Tindaridi e, più in particolare, da due aspetti centrali della narrazione pindarica, quello della paternità attribuita a Castore e Polluce e quello del loro destino post mortem. Quanto al primo aspetto, basti ricordare che non c'è pieno accordo tra LIvIO SBARDELLA Mogli o buoi? Lo scontro tra Tindaridi ed Afaretidi da Pindaro ai poeti alessandrini
ARTE RUPESTRE E COPPELLE IN CANAVESE: UNA LUNGA STORIA PREISTORICA
La possibilità di andare a ritroso nel tempo è uno degli aspetti più affascinanti che la ricerca storica ed archeologica possono offrirci: ogni traccia del passato ci dà la possibilità di compiere un viaggio nel tempo, un lungo percorso dove il Presente rappresenta il "capolinea". Un treno dove la forza motrice, cioè la locomotiva, siamo noi, alla quale sono attaccati tutti i vagoni del passato, secolo dopo secolo, civiltà dopo civiltà. Il fascino è proprio lì: la storia ci permette di camminare all'interno di questo treno, passando da un vagone a quello successivo, dandoci l'incredibile facoltà di dare uno sguardo intorno, come una serie di flash, esattamente come nella realtà, quando percorriamo velocemente le carrozze nella speranza di trovare un posto, mentre i viaggiatori seduti ci guardano distrattamente, e noi vediamo una serie infinita di facce e di visi sconosciuti, ma di sicuro ognuno con una propria storia, ciascuno con la propria identità. Gli stessi vagoni del treno non sono uguali: i più recenti sono definiti con chiarezza, le storie qui contenute sono ben delineate e ricostruite con dovizia di particolari. Ma continuando ad attraversare il nostro lunghissimo (ma non infinito) treno incontreremo via via scomparti meno illuminati, al cui interno molte parti sono buie e sconosciute, e delle persone qui presenti non si riescono più a vedere né i volti né la forma (continuando nella metafora neanche i colori..) degli abiti. Dopo molti vagoni, ad un certo punto, troviamo un angolino molto luminoso dove c'è un viso che gli archeologi moderni hanno ricostruito con una fedeltà inimmaginabile: lo riconosciamo è Otzi, alias l'Uomo del Similaun, insieme a tutto il suo abbigliamento ed accessori, che con i suoi 5.500 anni circa è diventato ormai un'icona degli "italiani" di quel tempo (Immagine 1). Ma, al contrario della realtà, il nostro treno immaginario non si muove da un luogo all'altro, anzi sta fermo ed è sempre, più o meno, nello stesso posto. Di conseguenza dovremmo immaginare molti altri treni, ognuno con i suoi vagoni e con le sue vicende particolari. Ogni territorio ha un "suo" treno con il suo bagaglio di storia; ogni locomotiva ha la sua unica ed originale "genesi". Naturalmente anche il territorio canavesano possiede il suo "treno" con la sua singolare storia: i vagoni più vicini sono pieni di personaggi illustri ed importanti (l'industrializzazione del territorio ad opera di Olivetti è l'episodio più recente) che hanno conferito al Canavese di oggi una storia unica e particolare, ma dove i suoi abitanti erano fino a non molto tempo fa legati da tradizioni e manifestazioni secolari, quando il dialetto era ancora largamente diffuso, quando la cultura canavesana era una cultura contadina, semplice e fiera di esserlo. Da qui, andando a ritroso nel tempo, ci attacchiamo gli altri "vagoni", ognuno con le sue storie, tutti sicuramente dotati di una buone dose di originalità, e continuiamo a percorrerli, cercando di cogliere qua e là qualche dettaglio, fino ad arrivare alla fine del convoglio, immerso nei ghiacciai dell'ultima glaciazione. Anche se il paragone "ferroviario" è forse un po' banale (e qui chiedo scusa ai lettori), è con questa ottica che dobbiamo pensare incontrando le tracce lasciate sulla pietra, il cui significato si perde nei vagoni del treno e che tratteremo in questo articolo.