LA STORIA DI SETTIMIA SPIZZICHINO (original) (raw)
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IL SUMERO E L' ACCADICO DI SITCHIN
Breve saggio che analizza 16 termini come tradotti da Zecharia Sitchin nei suoi libri, con riferimenti ai dizionari e contenuto cuneiforme.
Sicché dal fatto il dir non sia diverso (Dante) La Religione per la terra natale in me crebbe cogli anni, attraversò le sventure, superò gli ostacoli della mia vita travagliata, e sempre, invariabilmente, si assise al mio fianco, nei rosei sogni della gioventù, nelle lunghe veglie della virilità.
LA STRAORDINARIA E TORMENTATA STORIA DEI SETTE ARCANGELI
Da secoli il mondo cattolico conosce una verità escatologica e soteriologica straordinaria ed unica nel suo genere, presente nel "Deposito" ma non ufficialmente confermata e predicata dal Magistero Ufficiale, che resta sospesa e in bilico, tra visione e interpretazione, tra speculazione e percezione, tra esegesi ed intuizione. Stiamo parlando del c.d. culto dei Sette Angeli Assistenti, o dei Sette Spiriti, ovvero ancora dei Sette Arcangeli, dei Sette Principi, dei Sette Capi Celesti: una devozione contraddistinta da una pluralità di appellativi che sembrerebbero individuare sette grandi personalità in perenne lode dell'Eterno. In realtà già la parola "culto" (dal latino cultus, p. pass. di colĕre , che significa coltivare), è utilizzata per loro in modo assolutamente improprio perché presupporrebbe che qualcuno se ne occupasse, adoperandosi per l'attivazione, la stabilità e/o la continuità liturgica della loro devozione, affinché essa non cessi, ma progredisca di secolo in secolo. Eppure di ciò non vi è traccia nel mondo cattolico; non esistono infatti a tutt' oggi preghiere dedicate ai Sette Arcangeli, né liturgie, né riti, né devozioni, né chiese o monasteri loro assegnati! La Chiesa non ammette ufficialmente, infatti, alcun culto di dulia e devozione nei loro confronti; né, ha predisposto per loro alcun esercizio di pietà ! Seppur non proibisca una preghiera generica, personale all'intero gruppo di Tb 12,15 o di Ap 8,2, tuttavia, non ha formalizzato su di essi né riflessioni, né dottrina e né fonti di magistero. Essa non si esprime su questo culto: rimane silente. Poiché su di essi, non si è raggiunta una conoscenza uniforme, la secolare prudenza del Papato, non consente al momento di definire con certezza questa verità. Forze contrarie e oscure, che i moderni teologi potrebbero ricondurre anche a satana, foriero di ignoranza, confusione, impostura, hanno nei secoli ottenebrato il culto degli Arcangeli, impedendone ogni predicabilità o invocazione. Come infatti asserì il Santo Papa Pio V° : «Infima aevi conditio saepe efficit ut res vel maxime conspicuae & memorabiles, perplexi erroris caligine sensim abductae, in
IL PERCORSO STORICO DEL CONCETTO DI SPECIE
In questa ricerca si è cercato di mostrare in che modo si è evoluto il concetto di specie, descrivendo le sue definizioni nella storia, fino alla formulazione moderna, denominata concetto biologico di specie.
LA MAIOLICA AL TEMPO DEGLI SFORZA DI PESARO STORIE DEGLI SFORZA PESARESI
2019
ringraziamo, in particolare Paride Berardi il quale, per primo, definì già nel 1980 l'importanza delle maioliche quattrocentesche di Pesaro). Questo libro, dunque, può sembrare superfluo, in realtà, mossi soltanto da grande amore per la nostra città e per la sua storia, in particolare per quella degli Sforza, pensiamo di avere fatto cosa utile e gradita per il lettore che troverà così un testo agevole, scevro da disquisizioni tecniche, con un ricco apparato iconografico e una nutrita bibliografia. È noto da secoli che gli Arabi appresero dai Bizantini, e forse anche direttamente dai Cinesi (o attraverso i Persiani), la tecnica della ceramica invetriata o maiolica, cosiddetta dall'isola di Maiorca, anticamente Maiòrica o Maiòlica, dai cui porti le navi trasportavano in tutto il Mediterraneo la preziosa mercanzia, prodotta principalmente nelle città arabe dell'Andalusia: Valencia, Granada (vasi Alhambra), Murcia, Almeria e Malaga, che diffusero poi in tutto il mondo arabo. Le terrecotte, prima di una seconda cottura, venivano verniciate con un impasto liquido di polvere silicea finissima e di ossido di stagno (terrecotte smaltate) che conferiva alla superficie un bel colore bianco, sul quale erano dipinti motivi ornamentali con colori resistenti al fuoco a base dei già noti ossidi metallici di manganese, rame, ferro, cobalto, antimonio. La cottura nel forno conferiva al prodotto un rivestimento vitreo smagliante, nel quale erano incorporati i colori che, alla magia del fuoco, assumevano nuove e accese tonalità. Dai centri più antichi dell'Iran e della Siria (Damasco) la produzione di ceramica araba, dal tipico "lustro" color oro cangiante in giallo e in verde ottenuto con tecniche a lungo segrete, si diffuse ad Alessandria d'Egitto e al Cairo, dove fiorì sotto le dinastie dei Tulunidi (868-905) e dei Fatimidi (969-1171). Caratterizzate dal divieto di rappresentare figure umane o animali, per non cadere nel rischio dell'idolatria, le ceramiche arabe erano per lo più decorate con "arabeschi", cioè con girali e tralci di foglie e fiori oppure con figure geometriche o con penne di pavone sovrapposte. In alcuni casi il decoro era graffito, cioè inciso sulla stesura del colore in modo di fare emergere l'argilla sottostante. L'incisione veniva poi riempita di colore e il vaso era verniciato al piombo e cotto. In altri casi era usata la tecnica del graffito sotto vernice, cioè le incisioni decorative venivano fatte sul vaso già cotto una prima volta, seguiva un'invetriatura con vernice piombifera trasparente o eventualmente colorata in turchese, blu, bruno, giallo o verde, poi una seconda cottura (bis-cotto) che produceva una vernice vetrosa sopra ai graffiti. Con la conquista araba della Spagna le ceramiche invetriate si diffusero a Granada e Valencia, poi, nel sec. XV, nelle province cristiane confinanti dell'Aragona e della Catalogna (Barcellona). Le maioliche ispano-moresche invetriate e con i riflessi metallici degli ossidi, resi luminescenti e rigenerati dal fuoco, conquistarono il gusto raffinato degli Italiani del primo Rinascimento, dapprima nelle Repubbliche marinare di Venezia, Genova e Pisa poi nel resto della penisola. In particolare dalla Spagna moresca l'arte della maiolica passò, a partire dal '400, in Toscana (Siena, Pisa), in Umbria (Orvieto), in Romagna (Faenza, Forlì, Ravenna, Rimini) e nelle Marche (Pesaro), diffondendosi in seguito nei vari centri della penisola e assumendo caratteristiche diverse secondo i luoghi. La città di Pesaro, quindi, nella seconda metà del Quattrocento, durante il felice governo degli Sforza, fu coinvolta dal "miracolo" della maiolica e divenne ben presto uno dei centri di produzione più prestigiosi. Decisivo fu il ruolo di patrocinio operato dai Signori del luogo (Alessandro, Costanzo e Giovanni Sforza), per questo ne parliamo in questo volume della collana "Storie degli Sforza pesaresi", inserendo la maiolica nel più ampio quadro del mecenatismo sforzesco e nella loro opera illuminata di promozione dell'economia di una cittadina di 10.000 abitanti come la Pesaro di allora.
an short and historical view of istrioto language in the rovignese variant with a little section of linguistic example in rovignese with italian translation