Lentini, gennaio 1693: straordinaria testimonianza di un tragico evento (original) (raw)

LENTINI R., Una storia per immagini, (2013)

"Dialoghi Mediterranei", bimestrale on-line dell'Istituo Euroarabo di Mazara del Vallo, n. 1, 1° aprile 2013

«… al di là di tutti i divieti o le prescrizioni, in fotografia le fotografie restano, e sono fotografie a tutti gli effetti, a prescindere da chi le ha fatte restare, perché le fotografie sono già il resto di ciò che resta, anche quando fotografie qualsiasi».(1) Queste considerazioni di Silvio Governali, tratte da una sua breve e pregevole monografia sull'argomento, sono molto più "storicizzanti" di quanto sembri a prima lettura e, forse, per questa ragione hanno sollecitato il mio subconscio a selezionare e analizzare un'istantanea reperibile nel vasto repertorio che Pino Catalano arricchisce da anni in Mazara forever, (edizione on-line del 3 maggio 2012), a beneficio della memoria collettiva della nostra città. Mi riferisco, in particolare, a una di esse, facente parte di un servizio realizzato nel 1960 da Francesco Boscarino, in occasione dell'insediamento del vescovo "ausiliare" Umberto Altomare, conseguente all'aggravarsi delle condizioni di salute del titolare della Diocesi, monsignor Gioacchino Di Leo. I più giovani e giovanissimi mazaresi non possono ricordare e, probabilmente, neppure sapere chi e quanto bravo fosse Boscarino. Nel suo studio, al n. 32 di Corso Umberto I, sono passate centinaia di famiglie per le pose da tessera o per eventi da celebrare, dalle nascite ai matrimoni, e innumerevoli sono stati i servizi esterni da lui effettuati nel corso della sua pluridecennale attività novecentesca, passando dalla stagione dei lastrini su vetro a quella dei rullini e delle reflex. In questo caso, quindi, non mi soffermo su una fotografia qualsiasi, né su un dilettante; ho scelto di ragionare sul prodotto finito di uno "scatto" di un maestro del mestiere, sul risultato visivo-dagli effetti fortemente evocativi-di una decisione presa in un millesimo di secondo. Esamino ripetutamente l'immagine a pagina piena nel mio desktop; più ne osservo i dettagli e più mi convinco che potrebbe confondersi, per qualità, con gli esemplari dell'archivio Magnum Photos o di altre rinomate agenzie internazionali e, soprattutto, ne scopro la straordinaria efficacia nel rappresentare una fase-nella storia novecentesca della città-che si potrebbe definire di transito. Gli anni difficili del dopoguerra erano ormai alle spalle e Mazara, con i suoi 36 mila abitanti, si avviava verso quella crescita tumultuosa che la ricchezza esponenziale prodotta dalla marineria da pesca stava consentendo. Il palazzo del municipio era quello sobrio e dignitoso che si ritrova nelle cartoline d'epoca, demolito dopo il terremoto del 1968 e sostituito dall'edificio-mostro che oggi sovrasta nella piazza. L'autostrada non c'era ancora-sarebbe arrivata tra il 1971 e il 1972-e solo nel 1976 la Commissione parlamentare antimafia, nella sua relazione, avrebbe evidenziato come gli interessi mafiosi si fossero ben strutturati nel territorio. In quel 1960, quindi, la città era ancora a un passo dal bivio: da una parte, una possibile evoluzione sociale ed economica in equilibrio tra marineria e agro-industria, come Mazara era riuscita a rimanere fino agli anni Cinquanta, con le sue mostre-mercato naif; una marineria affermata nel Mediterraneo e rinomata in campo nazionale, ma anche una campagna ubertosa, e un'agricoltura con un saldo attivo. E, intanto, il sindaco Francesco Safina, padre Gaspare Morello e lo storico Alberto Rizzo Marino, insieme al direttore della Biblioteca di Tunisi, Otman Kaak, costruivano ponti di cultura, di dialogo e di pace, dando vita al Centro Studi Siculo-Arabi: esperienza progettuale davvero originale e lungimirante nella politica culturale di quegli anni. L'altro ramo del bivio, invece, prospettava una fase espansiva irrefrenabile, alimentata dalla grande liquidità finanziaria che i profitti del pescato avrebbero assicurato e che in larga parte sarebbero stati destinati alla costruzione di prime e seconde case e di centinaia di villini, prevalentemente contrassegnati da un'indicibile bruttezza, tipica del fai da te o del fai fare al capomastro o del fai fare al geometra che si sente architetto. Un altro rivolo di quei flussi finanziari avrebbe alimentato la proliferazione della rete di