Saggio finale il COVID 19 e il ritorno della geografia (original) (raw)
La geografia non è mai stata così vicina a compiersi come forma di conoscenza scientifico-positiva e così non è mai stata così prossima all'auto-soppressione come esperienza delle varietà regionali. Per un verso, la mappatura della realtà geografica è completa: il globo è appreso dalla mappa e così ogni regione. Per un altro, la distanza geografica determina sempre meno le culture, le civiltà, le immagini del mondo. A margine della più nota teoria della fine della storia, si fa strada, con la globalizzazione, l'impressione che anche per la geografia non sia più tempo. Si potrebbe pensare che l'intensificarsi degli approcci spaziali nelle scienze sociali e la riscoperta del luogo e dello spazio in filosofia siano la febbre che rende il paziente consapevole di avere una malattia. La consapevolezza che lo spazio conta è reclamata proprio quando è più forte la capacità dei processi socio-economici di governarlo. Si proclama l'importanza dei luoghi a fronte dell'irrefrenabile diffondersi del non-luoghi. La retorica delle differenze e del pluralismo delle culture traballa nella riduzione delle distanze globali e l'ombra di una crescente omologazione. Le straordinarie innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni, le conquiste scientifiche, le enormi trasformazioni del vivere civile e del volto stesso del mondo sono tutti fattori che rendono la cultura generale particolarmente sensibile al tema della fine. Il sociologo canadese Vincent Mosco ha notato: