Call for Papers. Convegno FAR 2020 - Forme dell’Abitare a Roma. Echi dell’Antico nell’Architettura del Primo Novecento. (original) (raw)
The quest for suitable exhibition spaces to accommodate the artworks discovered in Ostia Antica has been a constant concern in the modern history of the archaeological area, since the establishment of the first antiquarium in 1912. The situation worsened with the excavations for the Universal Exhibition of 1942 and the discovery of about 200 new sculptures, which needed an adequate accommodation. The Director of the Excavations Guido Calza and the architect Italo Gismondi proposed the renovation of the Casone del Sale, seat of the newly inaugurated Museum (1934), but the project wasn’t appreciated by Marcello Piacentini, who imposed the construction of a new complex designed by the engineer Enrico Lenti. The new building would fit harmoniously the old museum, the Cardine Massimo and the bank of the Tiber, with an succession of open and closed spaces recalling the Roman domus. Here we will show the graphic documentation of both projects, filed in the Archivio Disegni of the Parco Archeologico di Ostia Antica and partially published: in addition, we will also show the administrative and project documentation found in the Fondo Ente Eur, filed in the Archivio Centrale dello Stato. Due to the war, the project was abandoned in favor of a modest enlargement of the existing museum, inaugurated in 1945. In the 1960s, Italo Gismondi proposed the realization of a new building, in which the opus sectile of Porta Marina would be exhibited: this project, too, was never realized, but its graphic documentation is presented here. The search for exhibition spaces continued in the 1980s, when the architect Vanni Mannucci proposed the reconversion of the building of the ex-Meccanica Romana into a museum; a project supported by the superintendent Anna Gallina Zevi, not be realized due to the failure of the expropriation.
Nuovi temi e metodi del progetto a cura di Gioconda Cafiero, Nicola Flora, Paolo Giardiello INTERNI / 04 Le prime due edizioni del Convegno Nazionale di Architettura degli Interni si sono tenute a Venezia nel 2005 e nel 2007 grazie all'impegno di Adriano Cornoldi, artefice e reale ispiratore di tali eventi. La sua scomparsa nel 2009 interrompe una tradizione di confronto e approfondimento sulle materie del settore disciplinare degli Interni e sulle ricerche ad esso connesse. Il terzo Convegno Nazionale di Architettura degli Interni è dedicato, nel decennale della scomparsa, proprio ad Adriano Cornoldi, riferimento scientifico e culturale, guida per molte generazioni di studiosi, ricercatori e docenti. Riproporre tale tradizione, dopo quindici anni dal primo evento, vuole essere un omaggio a quei docenti che, con il loro impegno costante, hanno contribuito a definire i contenuti della disciplina degli Interni, l'hanno saputa promuovere con convinzione e dedizione e l'hanno lasciata nelle mani di chi da loro è stato attentamente formato, anche nell'ambito delle attività del Dottorato di ricerca in Interni, dove si è elaborato, discusso e attualizzato lo statuto di teorie, conoscenze e metodi del settore. Con la stessa modalità dei primi due convegni di Venezia, questo terzo è frutto della proficua collaborazione tra i membri del nuovo Comitato scientifico che vede l'Università di Napoli Federico II, il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, la Sapienza Università di Roma e l'Università Iuav di Venezia uniti nel comune intento di incentivare il dibattito intorno alle discipline degli Interni. Un dibattito non esclusivo o limitato al solo corpo docente del settore Architettura degli Interni, ma che intende coinvolgere tutte le discipline che concorrono alla formazione di una figura intellettuale e professionale capace di promuovere il progetto nella sua totalità. I contributi presenti in questo volume offrono un approfondimento sui modi e sulle ragioni dell'abitare contemporaneo e definiscono i principi e le prospettive che comportano un adeguamento delle linee teoriche. Costruire l'abitare contemporaneo intende promuovere una riflessione sull'evoluzione e sulla definizione dei nuovi temi e metodi della teoria, della storia e del progetto dei luoghi destinati all'insediamento e alla vita dell'uomo. COSTRUIRE L'ABITARE CONTEMPORANEO Gioconda Cafiero è ricercatore di Architettura degli Interni e Allestimento presso il Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Presso lo stesso ateneo, dal 2010 è membro del collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Composizione architettonica e dal 2011 è membro del collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Scienze filosofiche-Filosofia dell'Interno architettonico. La sua attività di ricerca si concentra sulla piccola scala dell'architettura, sullo spazio domestico e l'exhibit design, ambito nel quale partecipa a concorsi e convegni e pubblica monografie, saggi e articoli, in Italia e all'estero. Nicola Flora è professore associato di Architettura degli Interni e Allestimento presso il Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal 2006 al 2013 ha insegnato la stessa disciplina presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno (Università di Camerino). Dopo la laurea si è dedicato all'architettura del Nord Europa, soffermandosi in particolare sulle figure di Sverre Fehn e Sigurd Lewerentz, sui quali ha pubblicato due monografie per i tipi Electa, tradotte in diverse edizioni straniere. Dal 2006 ha condotto studi su arredi mobili, fondando il gruppo di ricerca Mobilarch. Paolo Giardiello è professore associato di Architettura degli Interni e Allestimento presso il Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. È membro del collegio del Doctorado en Ciencias en Arquitectura y Urbanismo dell'IPN-Instituto Politécnico Nacional, Ciudad de México, del Dottorato di ricerca in Scienze filosofiche-Filosofia dell'Interno architettonico, del Master in Restauro e progetto per l'Archeologia, della Scuola di Specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. È promotore e organizzatore di convegni e conferenze e autore di numerose monografie, saggi e articoli su rivista. ilpoligrafo
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2023
The revival of archaeological investigations in the so-called Insula Volusiana – carried out by “Sapienza” Università degli Studi di Roma in collaboration with the Sovrintendenza Capitolina – has shed new light on the remains preserved in the courtyard of Via Petroselli 45, now the headquarters of the SIMU Department of Roma Capitale. The complex, characterised by a road flanked by rooms and structures of various types, mainly in brickwork, preserves ancient and post-antique contexts and phases of a sector of primary importance in the city. Careful research on the historical and photographic archives of the Sovrintendenza Capitolina has provided unpublished information which represents a fundamental tool for analysis and interpretation. Particularly important were the plans drawn up at the time of the discovery, often annotated in the margins by the contractors, and the images relating to the excavations that unexpectedly brought the archaeological complex to light in the 1930s. The work then focused on the examination of the remains present, framed within the general topography of the area – with particular attention to the adjacent sacred area of S. Omobono – and subjected to a direct survey and photogrammetric reconstruction of the elevations. The creation of phase plans, based on an accurate differentiation between the various construction activities and integrated with archive material and period images of the fascist demolitions, has thus made it possible to advance new interpretations of the entire complex, the first results of which are presented here.
Nel 1582 vennero dati alle stampe i primi due volumi del Discorso intorno alle immagini sacre e profane di Gabriele Paleotti, opera che, sulla scorta del De picturis et imaginibus sacris di Molano e delle Instructiones di Carlo Borromeo, si poneva l'obiettivo di istruire pittori, scultori e relativi committenti sulle norme sancite dal Concilio Tridentino in materia d'arte 1 . Si trattava, in una concezione pedagogica delle immagini, di eliminare tutti quegli abusi che avrebbero potuto distorcere o rendere incomprensibile, se non addirittura fuorviante, il messaggio divino 2 . D'altro canto, per quanto fossero trascorsi quasi vent'anni dalla chiusura del Concilio e quasi dieci dal processo che a Venezia aveva visto coinvolto in prima persona Paolo Caliari, reo di aver disposto attorno alla tavola di Cristo «buffoni, imbriachi, Thodeschi, nani et simili scurrilità», le raffigurazioni sacre continuavano ad essere assoggettate all'interpretazione e alla fantasia dei pittori. La questione, che poteva sembrare facilmente liquidabile con l'imposizione di una serie di norme, era in realtà molto più complessa e radicata: infatti, tolte le scelte puramente compositive, il conflitto riguardava due diversi modi di tradurre il medesimo messaggio e, se la Chiesa anteponeva alla forma la correttezza dei contenuti, l'artista invece era maggiormente preoccupato dal rendere la scena comprensibile ai più, trasponendola in una dimensione attuale e dotandola di chiavi di lettura immediatamente riconoscibili 3 . Tale operazione -che, come vedremo in seguito, portò alla sovrapposizione di due diversi linguaggi simbolici -è particolarmente evidente proprio nelle raffigurazioni dell'Ultima Cena, laddove uno dei temi più complessi dal punto di vista teologico necessitava di essere ricondotto alle forme di un rituale laico all'epoca perfettamente codificato.
Abiti di pietra. La memoria architettonica tra indici, impronte e “invenzioni” del passato
Moving from the assumption that cultural memory can be connected to the Peircean notion of habit, the article proposes the application of some Peircean categories to the study of spatialization of cultural memory and the process of heritagization with regard to “war heritage”. Drawing on Patrizia Violi’s notion of “trauma sites”, the article proposes to consider spatial traces left on architectures by some historical events both as indexes (Peirce) and imprints (Eco); and then focuses on architectural restoration as a practice of monumentalization and eventually “manipulation” of such traces. Following a discussion of some examples, the argument proposed is that restoration of architectures which have been damaged by war events, in case it is inspired by an intention of monumentalizion, in some cases may operate a sort of amplification of the iconic character of the trace/index (which nevertheless usually do not nullify, in fact sometimes even amplify, the indexical character), in order to make the trace/index easier to recognize according to cultural codes. Eventually, an interpretation is proposed which considers the operation of spatial monumentalization of a trace as coincident with the process of constitution of an “iconic memory sign” able to fix and communicate the indexicality that generated the trace; in other words: the conversion of a material trace in a “sign of memory” passes through an iconization of the index.
COSTRUIRE L'ABITARE CONTEMPORANEO Nuovi temi e metodi del progetto, 2020
L’uomo conosce lo spazio attraverso l’abitare, azione imprescindibile capace di definire i confini stessi della Terra. I greci utilizzavano il termine “ecumene” per designare la porzione di terra abitata e nota all’uomo. Il termine ecumene starebbe a indicare “la casa dove abitiamo”. Nel tempo con questa parola si sono indicate parti sempre più ampie senza perdere, tuttavia, l’idea di unità. La caratterizzazione degli spazi necessari alla vita avviene per mezzo della cultura di chi li abita. In questo modo, l’ecumene si differenzia in tanti luoghi, diversi e unici. Ognuno di essi è una dimora, un ambito esistenziale in cui l’uomo raduna i significati delle cose che lo circondano. Da un’unica casa, l’uomo ne abita diverse e molteplici. È il mito della distruzione di Babele che si realizza nei modi in cui l’uomo concepisce gli spazi tanto della vita in comunità che della propria intimità. Ciò che ha sempre legato queste differenti declinazioni culturali, è il processo stesso dell’abitare. Qualunque sia la forma che ne consegue, questo si riconosce come la costruzione di un legame tra essere umano e spazio, attraverso azioni di identificazione e orientamento. A partire dagli anni Ottanta del XX secolo, il complesso fenomeno della globalizzazione contribuisce a definire una cultura globale; laddove «una cultura nasce e si sviluppa sempre [...] localmente, in una prossimità e in un contesto», la cultura globale mette in crisi questa proprietà affermandosi in un’area estesa al mondo intero. Ciò che accade con la globalizzazione è l’ampliamento dei confini della casa dell’uomo, un’immagine che si concretizza in una «prospettiva di urbanizzazione destinata ad abbracciare il pianeta, perdendo il senso sia della città che del globo. Un mondo come immensa città». Se il mondo si riconosce come lo spazio di azione naturale dell’uomo, allora si può affermare che esso diventa, nella sua totalità, noto e abitabile. Si tratta di un allargamento della sfera intima, per cui l’uomo riconosce se stesso attraverso il confronto con il mondo intero. Nell’espansione massima dell’ecumene, egli trasforma la Terra in un’unica casa. Ma mentre conosce il mondo, il luogo viene perduto.