Plautilla Bricci, la zitella romana pittora in un ingranaggio Yourcenar. Recensione al libro "L'Architettrice" di Melania Mazzucco. Il Manifesto, Alias, 17 gennaio 2021 (original) (raw)

Melania Mazzucco, "L'Architettrice", Einaudi. Il libro dà corpo letterario, sulla base di solide ricerche, alla singolare vicenda di Plautilla Bricci, artista «virginale» nel gran teatro della Roma barocca. Al contrario della licenziosa Artemisia, coltivò il genere devozionale, sotto la guida amorosa del suo mecenate: l'abate Elpidio Benedetti Plautilla Bricci, Madonna con Bambino, Roma, Santa Maria in Montesanto Leggendo L'Architettrice di Melania Mazzucco si rivivono gli anni splendidi della Roma barocca attraverso gli occhi di una singolare figura di artista -tra le molte ingiustamente dimenticate del nostro Seicento. Quegli occhi tanto speciali sono quelli di Plautilla Bricci (1616-post 1690), pittrice di qualche talento e unico architetto donna dell'Europa pre-industriale, destinata all'empireo della mitologia artistica da un libro che segna un punto di svolta nel genere del romanzo storico contemporaneo (Einaudi «Supercoralli», pp. 560, € 22,00). L'invenzione letteraria, che restituisce carne e sangue alla vita della protagonista, poggia sull'affilata sensibilità dell'autrice e su uno studio serio, frutto di una paziente ricerca bibliografica e d'archivio: un modo di narrare già sperimentato con successo dalla Mazzucco nelle biografie storico-letterarie dedicate a Tintoretto e a sua figlia Marietta (La lunga attesa dell'angelo, Rizzoli, 2008; Jacomo Tintoretto e i suoi figli, Rizzoli, 2009). Ed ecco allora che aridi atti notarili, antichi libelli e censimenti parrocchiali -apparentemente poco significativi per gli storici dell'artediventano lo scheletro di un ingranaggio perfetto, in cui verità storica e fiction si sposano per ridare voce a protagonisti e comprimari di quel «gran teatro del mondo» che era la Roma del XVII secolo: un metodo collaudato -seppur con maggiori licenze -nei fortunati bestsellers su Artemisia Gentileschi di Anna Banti (1947) e Alexandra Lapierre (1998). Proprio a quest'ultima -e non a uno studioso di professione -spetta infatti il merito di aver rinvenuto importanti documenti sulla vita della celebre «pittora» (dall'atto di cresima a quelli relativi alla condanna di Agostino Tassi, al matrimonio riparatore con lo Stiattesi e ai contratti delle case romane prese in affitto dall'artista dopo la partenza da Firenze). L'approccio della Mazzucco alle vicende di Plautilla è del tutto analogo -spiace a questo proposito che il poderoso regesto di fonti a corredo del volume sia consultabile soltanto online (www.einaudi.it/architettrice). Ben altro comunque è il valore del libro: un piccolo capolavoro che per ampiezza di visione e ricerca linguistica si mette sulla linea dell'Opera al nero di Marguerite Yourcenar. Come l'impetuosa Artemisia, la più docile Lavinia o la devota Orsola Maddalena, Plautilla era figlia d'arte, anche se nella bottega di Giovanni Bricci (1579-1645), attivo nell'entourage del Cavalier d'Arpino, acquisì molto di più che i soli rudimenti nel disegno e nel colorire. Giovanni, infatti, oltre a dipingere insegne di botteghe e a impiastricciare muri e tele, era musicista e compositore dilettante, attore e commediante, poligrafo e poeta. La speciale educazione artistica e letteraria ricevuta in famiglia fu dunque alla base della versatilità creativa dell'architettrice, il cui successo nell'ambiente artistico romano giunse tardivamente, grazie al decisivo incontro con l'abate Elpidio Benedettiagente del cardinale Mazzarino e poi di Colbert -e con sua sorella Flavia, pittrice dilettante oblata nel convento di San Giuseppe a Capo le Case: il primo fu il suo principale committente, la seconda fu sua allieva e il suo trait-d'union con l'Ordine carmelitano. Plautilla, infatti, esordì pubblicamente con l'effigie mariana di Santa Maria in Montesanto, riscoperta da chi scrive dopo il suo restauro condotto nel 2016 da Luca Pantone. Destinata a una piccola cappella oggi non più esistente, l'icona -tutt'altro che entusiasmante dal punto di vista pittorico -conserva sul retro la firma dell'artista giovinetta assieme a un foglio vergato verso l'Anno Santo del 1700 per tramandare la memoria di un evento prodigioso: «la presente imagine fu depinta circa l'anno 1640 da Plautilla Bricci romana zitella (), che com'essa medesima più volte testificò ai nostri padri, essendosi sbagliata nell'ombreggiare alcune parti della faccia (della Madonna, ndr) per non haver mai depinto in grande, la trovò miracolosamente perfettionata». Mossa da una devozione autentica, Plautilla era all'epoca una «zitella» virtuosa e alle prime armi, destinata a vivere in odore di santità «sempre nello stato virginale» -così recita la medesima etichetta. Il voto di castità, imposto anche dal ruolo dell'abate Elpidio, non impedì la nascita di un rapporto amoroso tra i due: una relazione tanto profonda quanto segreta evocata dalla Mazzucco