Lu puésce di lu muare nóštre: l’ittionimia dialettale di Vasto (original) (raw)

La metafonia nel dialetto di Verbicaro (Cs)

L'Italia Dialettale, 2009

a Pisa nell'ottobre del 2009, ha seguito costantemente la composizione di questo lavoro sin dalla sua fase embrionale: per la preziosità dei suoi suggerimenti, per la ricchezza delle discussioni a lui sono particolarmente riconoscente.

«Mó ve raccónte»: linguistica e dialettalità nei versi di Antonio Pitoni di LUCIA BONANNI

Antonio Pitoni (Avezzano, AQ, 1906 – Differdange, Lussemburgo, 1975), pure avendo iniziato a comporre in lingua, si dedica alla scrittura in dialetto attraverso cui riesce a dare la parte migliore di sé e ad essere incisivo nelle descrizioni, nelle note umoristiche e nelle rappresentazioni dell’intimo pudore di ciascuno. Nato ad Avezzano nel 1906 da genitori che si erano trasferiti dal paese di Sante Marie, abitava tra le “case sparse” di una strada di campagna, oggi via Corradini, in prossimità del canto con via Montello.Autodidatta e appassionato di poesia, musica e storia, negli anni ’30 i suoi componimenti furono inseriti in varie antologie come Fascino azzurro, Il giornalino, Il faro e La vita e il libro. In collaborazione col poeta veneziano Enzo Marcato nel 1937 diede alle stampe il volume Prose e poesie e fu anche collaboratore di riviste culturali. «Guardo i nidi e le gronde/deserti, come la casa/mia, dal silenzio invasa;/chiamo e nessuno risponde»

«Littera allu dimuonu»: versi dialettali calabresi al tempo della crisi postunitaria

Nell’ambito del complesso e caotico quadro storico che seguì l’Unità d’Italia nei territori che furono del Regno delle Due Sicilie, l’attenzione viene focalizzata sui fenomeni inerenti alla poesia di protesta sociale e civile che si diffuse in Calabria; una terra che si presenta martoriata dalla piemontesizzazione, dalle tasse, dalla leva obbligatoria ecc., ma ricca di versi dialettali di denuncia, che non di rado lasciano trapelare un’antica vocazione alla rinuncia e al fatalismo. Vengono presi in esame quattro autori di differente estrazione sociale e culturale, accomunati dall’aver avversato i Borbone perché credevano nel progresso morale e civile che sarebbe derivato dall’unificazione dell’Italia e, dopo l’unificazione, dall’aver subìto una struggente delusione. Bruno Pelaggi detto Mastru Brunu, poeta semicolto, di professione scalpellino. E’ suo il testo poetico «Littera allu dimuonu, a cui si deve il titolo del presente intervento e che esprime al massimo grado il disincanto e la rassegnazione attraverso un disperato e paradossale appello al demonio. Questa scelta si inscrive nella tendenza (che si manifesta nel deserto della società civile) a rivolgere le istanze di giustizia molto in alto: al ministro, al re o, addirittura, al padreterno e, per contrappunto al principe del male. L’abate Antonio Martino, a differenza di Bruno Pelaggi, è un autore colto e discende da una agiata famiglia borghese. Vincenzo Ammirà, considerato il maggiore poeta dialettale calabrese dell’Ottocento, partecipò ai moti del 1848, e nel 1860 seguì Garibaldi a Soveria Mannelli. Dopo essere stato perseguitato dal governo borbonico, sarà emarginato anche del nuovo Stato italiano, che gli negherà una cattedra nel liceo del suo paese. Giuseppe Monaldo, poeta colto, autore di versi in lingua e in dialetto, sacerdote liberale, per le sue idee politiche fu inviso alla curia e all’autorità borbonica. Malauguratamente, i loro versi ancora oggi non cessano, per molti aspetti, di rivelarsi attuali nei contenuti, al di là delle qualità specificamente culturali e letterarie. Ciò spiega il successo che tali componimenti poetici riscuotono tra giovani e meno giovani meridionali dei nostri giorni, che si riappropriano con orgoglio e rinnovata consapevolezza della poesia dialettale di protesta civile elaborata dai loro antenati.

Il dialetto di Decima (La Ciṡanôva)

Ezio Scagliarini, Poemétt. Poemetti in dialetto bolognese con testo italiano a fronte, Decima : Marefosca, 2022

2 Circa questo concetto (ben consolidato dagli studi dialettologici ma forse un po' sorprendente per chi davvero crede che sul Sillaro, o sul Panaro, ci possa essere una specie di linea Maginot) cfr. il secondo volume di Daniele VITALI,

Michele Vocino: nel nóstos il segreto di uno scrittore a tutto tondo

Breve saggio sulla figura del deputato della Repubblica Michele Vocino che, vivendo nella Capitale, seppe trasformare la nostalgia per Peschici, dove nacque nel 1881, in molteplici interessi e curiosità abilmente trasfusi nella sua vasta opera di scrittore eclettico, i cui libri interessarono anche un lettore come Gabriele D'Annunzio. Il saggio è tratto dalla rivista «Ipogei 06», Quaderni dell'Istituto d'Istruzione Superiore Statale «S. Staffa» di Trinitapoli (Fg), n. 11, dicembre 2012, pp. 73-77