Fenestella. Inside Medieval Art, ISSN 2784-8663. Issue 1-2020 (original) (raw)

Review of STEVEN A. EPSTEIN, Genoa & the Genoese. 958-1528, Chapel Hill - London, The University of Carolina Press, 1996, pp. XX-396, in «Studi medievali», s. III, 47 (2006), 2, pp. 926-930.

«Studi medievali», s. III, 47 (2006), 2, pp. 926-930., 2006

medievale appartiene a quel gruppo di città italiane capeggiato da Firenze e Venezia verso cui risulta costante l'attenzione di studiosi non italiani. , solo per citare alcuni di coloro che hanno affrontato specifici aspetti della vita cittadina, lo statunitense Steven Epstein, allievo di David Herlihy. si è cimentato in questo denso volume -uscito ormai dieci anni fa -in un'ambiziosa e in buona parte riuscita sintesi della storia cittadina che abbraccia tutta la lunghissima fase coperta da documentazione scritta. Se il tratto altomedievale della città ligure risulta assai carente sotto il profilo delle fonti pervenute, la ricchezza di quelle successive, come è risaputo, rappresenta al tempo stesso una sfida e un non irrilevante ostacolo, dal momento che lo straordinario patrimonio di carte notarili rimane ancora consistentemente inesplorato e soprattutto inedito (per il periodo successivo al secolo XII). Fin dal titolo, Epstein manifesta di non sfuggire a un topos della storiografia su Genova, che ha radici antiche e che solo negli ultimi anni comincia a essere sottoposto a intensa verifica e parzialmente scalfito: quello di una storia assolutamente inconfrontabile con il percorso delle altre città italiane (si veda in particolare, a correzione di questa interpretazione, il convegno Genova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV, con atti pubblicati nel 2001) e costantemente alimentata dall'individualismo dei suoi abitanti, come se gli sviluppi delle altre città si presentassero invece a priori molto più univoci. Pur nel loro individualismo, i Genovesi risulterebbero fortemente segnati, anche nella loro disseminazione per il mondo, da un peculiare carattere, da un inconfondibile marchio cittadino, quasi già di per sé esplicativo.

L. de Fuccia, « La serie francese delle quattro eroine bibliche veronesiane (château de Versailles, musée du Louvre, musée des Beaux-Arts de Caen) : la storia della sua provenienza e commissione, dans M. Hochmann (dir.), Venise & Paris 1500-1700. La peinture vénitienne de la Renaissance et sa réception en France, actes du colloque (Bordeaux, capcMusée d’art contemporain, 24-25 février 2006 ; Caen, musée des Beaux-Arts, 6 mai 2006), Genève, Droz, 2011, p. 193-219.

D. Ciccarelli, Recensione "Le PAREMENT D’AUTEL des Cordeliers de Toulouse. Anatomie d’un chef-d’oeuvre du XIVe siècle, M. A. Bilotta et M.-P. Chaumet-Sarkissian (éds.), Paris, Toulouse, 2012, pp. 190, ill., ISBN 978-2-7572-0575-4", Schede Medievali, 55 (2017), p. 270-272

"La fortuna dell'iconografia di Pulcinella all'inizio degli anni Venti del Novecento: Pablo Picasso e Gino Severini", in Visciola S. (a cura di), "Polichinelle, patrimoine immatériel de notre temps", in "Babel. Littératures plurielles", n° 35, 2017, pp. 195-233

Nella seconda metà dell’Ottocento ed all’inizio del Novecento, quando la Commedia dell’Arte aveva esaurito il proprio ciclo dal punto di vista teatrale, maschere come Pulcinella, Arlecchino e Pierrot, insieme ai saltimbanchi, ai clown ed agli acrobati, cominceranno a perdere la loro specificità per essere racchiusi nella definizione comprensiva del cosiddetto “intrattenitore”, che in pittura verrà rappresentato in molti modi, divenendo veicolo di messaggi differenziati e spesso contraddittori. Tale versatilità sarà la caratteristica principale anche degli intrattenitori rappresentati dal 1915 in poi, quando alcuni aspetti della Commedia dell’Arte verranno riscoperti e reinterpretati in chiave moderna, portando anche ad una sorta di “revival” della maschera di Pulcinella. In pittura la caratteristica principale della sua rappresentazione sarà una certa scissione tra la sua essenza più pura e la sua interpretazione, che porterà gli artisti a concedersi diverse libertà, oscillando con disinvoltura tra processi di umanizzazione, disumanizzazione, contaminazioni iconografiche, archetipazione o snaturamento. In questo contesto Pablo Picasso e Gino Severini sono due figure chiave; in maniera diversa, entrambi utilizzarono la maschera come pretesto per la sperimentazione di nuove soluzioni formali e per entrambi tale maschera era legata all’ “italianità”, nel caso di Picasso in senso folcloristico, nel caso di Severini in chiave esistenziale di riscoperta delle proprie radici. – In the second half of the nineteenth century and in the early twentieth century, when the Art Commedia had exhausted its cycle from a theatrical point of view, masks such as Pulcinella, Arlecchino and Pierrot, together with saltimbanks, clowns and acrobats, began to lose their specificity to be enclosed in the definition of the so-called "entertainer", which in painting will be represented in many ways, becoming a vehicle of differentiated and often contradictory messages. Such versatility will also be the main feature of entertainers represented from 1915 onwards, when some aspects of the Art Commedia will be rediscovered and reinterpreted in a modern way, leading to a kind of "revival" of Pulcinella's mask. In painting, the main feature of his representation will be a certain split between its purest essence and its interpretation, which will bring artists to enjoy several freedoms, oscillating with ease between processes of humanization, dehumanization, iconographic contamination, archetypalization or distortion. In this context, Pablo Picasso and Gino Severini are two key figures; in a different way, both used the mask as a pretext for experimenting with new formal solutions, and for both of these the mask was linked to the “italian”, in the case of Picasso in the folkloric sense, in the case of Severini in the existential key of rediscovery of his roots.

Review of: Yves Chevrefils Desbiolles, Les revues d'art à Paris: 1905-1940, nouvelle édition mise à jour, Presses Universitaires de Provence, Aix-en-Provence, 2014, in Predella - Journal of visual arts, 36, 2014

The review presents the new edition of Y. Chevrefils-Desbiolles’s book dedicated to art and art history journals in Paris in the first half of the twentieth century. This is a fundamental text to understand the role played by specialized periodicals in defining the critical discourse on French and international art. All aspects the author deals with are noteworthy, as regards the evolution of art avant-gardes, the definition of art critic as a literary genre, the affirmation of art history in France. This new edition has been updated, it has useful and user-friendly apparatuses. Above all Chevrefils-Desbiolles’s census appears today an outstanding contribution to the debate on ‘art historiography’ which has animated Western scholars over the last fifteen years and which has paid a special attention to journals.