CALL FOR PAPERS: “Stato della Chiesa e Patrimonio di San Pietro in Tuscia: un territorio e una storia da riscoprire” (original) (raw)
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Il proposito della III Riunione Scientifica della Società Tarquiniense d’Arte e Storia è quello di costituire un luogo di riflessione interdisciplinare volto ad arricchire le conoscenze che si possiedono sul territorio della Tuscia, non solo in merito alla sua storia ricchissima e gloriosa, ma anche rispetto al suo cospicuo e prezioso patrimonio artistico e culturale. Le terre sottoposte al dominio pontifico dislocate nei vecchi possedimenti toscani a nord di Roma, più o meno riconducibili all’attuale provincia di Viterbo e al comprensorio di Civitavecchia, vennero comprese alla fine del XII secolo in una delle divisioni amministrative istituite da papa Innocenzo III (1198-1216) come ripartizione dello Stato Ecclesiastico. Questo distretto fu denominato ‘Patrimonio di San Pietro in Tuscia’, proprio ad indicarne la specifica connotazione territoriale. Rispetto alle altre province che formeranno lo Stato pontificio, però, quella del ‘Patrimonio di San Pietro in Tuscia’ risulta essere la meno indagata e l’intento di questo convegno vuol esser proprio quello di incrementare e dar nuovo impulso agli studi che possono essere condotti al riguardo. La storia di questo territorio, infatti, nonché quella dei vari ordinamenti giuridici e politici, più o meno ampi, che vennero in esso formandosi, può essere analizzata da molteplici punti di vista, non soltanto rispetto a quello prettamente storico, ma anche rispetto alla storia giuridica, istituzionale, economica etc. Il periodo storico di riferimento si individua nell’epoca medievale e moderna, ma non si preclude la possibilità agli studiosi che presentino lavori particolarmente rilevanti, di indagare anche epoche antecedenti o successive; ciò anche in coerenza con il fine perseguito dal congresso che vuol essere quello di riportare all’attenzione di studiosi ed esperti la Tuscia, la sua storia e le sue bellezze artistiche, nella convinzione che la promozione e valorizzazione di un territorio passi anche attraverso l’organizzazione di eventi scientifici di questo tipo. Incontri che sarebbe auspicabile ripetere con cadenza regolare, al fine di dar luogo ad un vero e proprio circuito virtuoso con generali benefici comuni.
Lazio settentrionale: Patrimonio di San Pietro in Tuscia
Lazio settentrionale : Patrimonio di San Pietro in Tuscia, in La signoria rurale nell'Italia del tardo medioevo, 5. censimento e quadri regionali, 2021
L'ambito spaziale studiato è quello della provincia pontificia del Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Nel corso dei secoli e per il mutare delle circostanze storiche, i confini di questa provincia furono continuamente rimodellati, tanto da far dire che «fra tutte le province dello Stato Pontificio …[è] quella le cui frontiere furono le più varie, ampliandosi e restringendosi nel corso del tempo» 1. Comunque sia, tra XIV e XV secolo, i confini del Patrimonio di San Pietro possono essere approssimativamente compresi dal corso del fiume Fiora, dalle pendici occidentali dell'Amiata, e dal corso di altri due fiumi, il Paglia e il Tevere 2 : sostanzialmente comprendeva tutto il Lazio settentrionale. Per gran parte del periodo preso in considerazione da questo Prin ricaddero sotto l'amministrazione del Rettore del Patrimonio anche Orvieto e altri comuni più piccoli dell'Umbria (Amelia, Narni, Terni e Todi). Fra Tre e Quattrocento, nella regione erano presenti articolate e, in alcuni casi, concorrenziali strutture signorili, ognuna con una propria fisionomia. Accanto alle maggiori entità territoriali coesistevano le grandi città della regione (Viterbo, Corneto, Tuscania e Orvieto), con i rispettivi
The subject matter of this text – much debated in mediaeval historiography – lies in the striking occurrence of forms of heterodox religiosity and contestation of the pontifical power which characterised the region of the Patrimonium of Saint Peter in Tuscia, above all between the 12th and 13th centuries. The considerations here are developed mainly on the basis of certain elements: records regarding the tomb of the antipope Clement III – Guibert (1080-1100), who was buried at Civita Castellana; the episode of the “martyrdom” of Pietro Parenzo at Orvieto (1199); the actions taken by the popes to eradicate the Cathar heresy from the Patrimonium, in terms of both legislation (e.g. the decree Vergentis in senium and constitution Ad abolendam) and liturgical reform (introduction of the feast of Corpus Domini subsequent to the miracle of Bolsena); the activity of courts of the Inquisition and trials against heretics in the Patrimonium during the 13th century – including the mass trial that saw the conviction of five hundred citizens of Viterbo; the convergence of interests between the Curia and the city of Rome in condemning heresy and, finally, the symbol of the bell known as «Paterina».
Stato della Chiesa e Patrimonio di San Pietro in Tuscia: un territorio e una storia da riscoprire, Atti del IIIº Riunione Scientifica, Tarquinia, 16–17 ottobre 2021, edited by Tiziana Ferreri, Bollettino della Società Tarquiniense d’Arte e Storia, Supp. 48, 2024
Discussion of the monastic church of Sant'Elia at Castel Sant'Elia (Lazio), focusing on visual and material culture. Presents a previously unpublished fragment of a 12th-c. Giant Bible (Bibbia atlantica) and a little-known 13th-c. cloister fountain. In Italian.
Cultura Economia Territorio. La Storia come mestiere. Studi in onore di Fabio Bettoni, a cura di A. Ciuffetti, R. Tavazzi, Bollettino storico della città di Foligno, 2020
Questo contributo nasce dalla segnalazione della presenza di un vitello accovacciato ai piedi di un sant’Antonio Abate, al posto dell’usuale porcello, in un dipinto realizzato nella prima metà del XVI secolo in una cappella viaria annessa alla chiesa di santa Maria Infraportas a Foligno. L’analisi dell’opera attribuita a un pittore in cui è ben riconoscibile l’influenza operata da Bernardino di Betto detto il Pinturicchio ha rappresentato l’occasione per esaminare con un approccio interdisciplinare questa iconografia così poco usuale nel panorama della storia dell’arte e di approfondire quali possano essere i motivi che hanno portato i committenti a tale scelta. “Ulteriore motivo d’interesse della raffigurazione di Sant’Antonio con il vitello scaturisce dalla possibile appartenenza dell’animale alla razza chianina, la monumentale specie di buoi dal manto bianco porcellana, che negli individui di meno di 6 mesi di età si presenta di colore fromentino, come nel nostro esemplare, e dalla suggestione che la sua raffigurazione voglia testimoniare il legame che unisce la valle Umbra a questa particolare varietà bovina. È noto come la bellezza e l’imponenza dei buoi di Bevagna, l’antica Mevania, costituiscano un topos letterario dell’antica Roma che prende avvio dai versi del secondo libro delle Georgiche, nei quali Virgilio, decantando le glorie italiche, ricorda il candore delle greggi e dei buoi lavati nelle sacre acque del Clitunno e il loro impiego nel trionfo dei condottieri vittoriosi, chiaro riferimento ai sacrifici che avvenivano a Roma sul Campidoglio, presso il tempio di Giove Ottimo Massimo, dove le cerimonie terminavano...”.
IX Ciclo di Studi Medievali, 2023
Nel 1923 la società Imprese Idrauliche ed Elettriche del Tirso si accingeva a completare la realizzazione del più grande bacino artificiale d’Europa, il lago Omodeo. Per far ciò una intera comunità, composta da poco più di duecento abitanti, si dovette rassegnare a perdere la propria casa, i propri pascoli, i propri campi, presto sommersi dall’acqua. Gli abitanti del piccolo centro di Zuri, vicino a Ghilarza (Oristano), videro dunque il loro paese scomparire, e lo ricostruirono a monte, intorno alla chiesa di San Pietro, smontata sotto la direzione di Carlo Aru, responsabile della Sezione Monumenti della Soprintendenza per la Sardegna, in una ardita operazione di anastilosi. Il simbolo della comunità, la chiesa medievale, fu dunque salvata dalla distruzione ed intorno ad essa fu ricostruito il nuovo abitato, tutt’ora custode delle antiche vestigia. Nell’intervento che si propone si partirà dal racconto che lo stesso Carlo Aru fece, nel 1926, delle operazioni di ‘trasloco’ della comunità di Zuri, da questi definito “paesello” o “abitato”. Anche attraverso l’esame della documentazione fotografica e d’archivio si cercherà di comprendere come la collettività visse gli eventi che portarono all’anastilosi dell’edificio medievale, se e come cambiò il rapporto dell’abitato rispetto alla chiesa, nella nuova configurazione urbanistica, quali furono le valutazioni delle istituzioni preposte alla tutela in tale circostanza.