Un uccellino una gabbia Prove di Pasqua (original) (raw)
Un uccellino, una gabbia Prove di Pasqua Un uccellino davanti alla porta aperta della gabbia svolazza via: potrebbe essere un'immagine appropriata per Pasqua. E' abbastanza suggestiva da riconnettere con quel cosmo che siamo soliti chiamare natura. Altrettanto naturale sembra quel movimento delle ali, quell'uscita verso lo spazio aperto. Ma è proprio così? La gabbia evoca la prigionia, il limite, la costrizione. Nessuno vorrebbe rimanere confinato in una ristrettezza simile. Che succede, però, se si nasce in cattività, se, giorno dopo giorno, si riconosce quella gabbia come il proprio mondo? Forse una tale condizione mentale rappresenta la gabbia ancor meglio della gabbia stessa, perché trasmette l'illusione che sia quella la normalità o addirittura la libertà. Lo scrittore Alejandro Jodorowsky ha scritto che gli uccelli nati in una gabbia pensano che volare sia una malattia (in Daniele Reale, Viaggio nel paese di domani, 2014, sez. 17). I volatili, che sfidano l'aere, devono apparire come i tipi ribelli, inquieti o semplicemente strani, se non borderline, afflitti da preoccupanti turbe psichiche. La gabbia, del resto, è assai più prevedibile degli spazi aperti, più confortevole, diventa familiare. Eleggerla a prospettiva dominante del modo di pensare e di comportarsi è facile, in taluni casi può rappresentare persino la sopravvivenza. Ci pone dinanzi a una simile difficoltà il pensare e lo sperimentare il Cristo crocifisso, morto e risorto, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio (1Cor 1, 23-24). E' l'eterno paradosso, con cui i cristiani fanno da sempre i conti. In qualunque modo si riesca a intendere, l'evento della passione, morte e risurrezione rappresenta una vistosa discontinuità rispetto a ogni zona confortevole di concetto e di movimento. La tomba, che appare aperta, svelando il sepolcro vuoto, la forza che ha spostato il macigno, che occludeva il passaggio, manteneva separate e non comunicanti la morte e la vita, è luogo e tempo di rottura. E' paragonabile alla porticina della gabbia, che all'improvviso si apre e tutto cambia. Il rischio Il rischio più grande della schiavitù è quello di ogni altro male, coincide con il passare inosservata, con il lento, graduale, inesorabile combaciare con la normale routine di tutti i giorni. Nel suo Le ali spezzate Kahlil Gibran scrive della ritrosia del canarino ad allestire il nido in gabbia, per non lasciare in eredità ai suoi piccoli la schiavitù. In altre parole può avvenire che quella porta aperta rimanga ignorata e che gli abitanti della gabbia mantengano le zampette ben ancorate al trespolo artificiale. Ripetere, più o meno in circolo, gli stessi esigui movimenti, offre la parvenza di una protezione. Ignorare la porta aperta diventa così l'opzione più a buon mercato, l'unica in grado di tutelarsi dal rischio dello spazio altro, che, in quanto altro, è anche ignoto. Trasponendo i medesimi principi alla Pasqua, possiamo esaminare se sia facile ignorarla, esattamente come la porta all'improvviso spalancata di una gabbia, conosciuta sempre come uno spazio circoscritto. Il rischio maggiore è vivere, come se la risurrezione non esistesse, evitando così le vertigini che le dimensioni, che implica, comportano. La porta aperta La porticina spalancata della gabbia assomiglia molto al macigno spostato dinanzi al sepolcro. Qual è la reazione che suscita? Infonde paura, non c'è da meravigliarsi!