PENSIERO E POESIA IN DANTE (original) (raw)

DANTE E IL POEMA DELL'ACQUA

Dante e il poema dell'acqua, 2021

Con Dante e il poema dell'acqua Giampiero Marano aggiunge un nuovo e decisivo tassello a un lungo lavoro di rilettura critica - condotta secondo la fertile quanto inedita prospettiva schiusa dalla philosophia perennis - della storia della letteratura italiana. Questo breve ma denso saggio muove dal presupposto che Dante, in quanto erede dell'antica sapienza mediterranea, sia da annoverare fra i "maestri di verità" di ogni tempo. Del resto, tutta la grande poesia, come quella della Commedia, non essendo riducibile a mera espressione estetica e sentimentale di una soggettività, contiene anche una rivelazione, il dono e la visione di una conoscenza profonda dell'uomo e dell'universo. Le molteplici, metamorfiche configurazioni che il simbolismo dell'acqua viene ad assumere nel poema dantesco vengono qui esplorate con estremo rigore filologico, nulla concedendo a discutibili interpretazioni modernizzanti (di tipo psicanalitico, per esempio). Esse, infatti, tendono a eludere il problema di ricostruire adeguatamente un clima e una temperie spirituale molto lontani dalla nostra mentalità, che sono quelli propri di una civiltà "tradizionale" nel senso guénoniano del termine.

DANTE POETA, TEOLOGO E MISTICO

Nel suo saggio Ritratto di Dante (1998) Nino Borsellino scrive: «Per Boccaccio Dante ha pari diritto a più titoli. Lo ricorda nella Vita ( § 2): "E di tanti e sì fatti studi non ingiustamente meritò altissimi titoli; però che alcuni il chiamarono sempre poeta, altri filosofo, e molti teolago, mentre visse". Ma è certo che dei tre solo il titolo di poeta può interamente soddisfare, e non perché ripudi gli altri, ma perché solo esso li comprende tutti., mentre gli altri non definiscono che se stessi». Da questa considerazione consegue primariamente la necessità di giustificare il senso-significato del titolo a capo di questa relazione-lezione (di questo breve scritto): un reddere rationem dell'assegnare a Dante la qualificazione di teologo e mistico. Assegnare a Dante la qualifica di teologo non significa attribuire ai suoi studi un carattere specialistico, tale da considerarlo un intellettuale di mestiere: un maestro con il prestigioso diritto di occupare un insegnamento. Dante, pur nutrendosi di filosofia, di teologia e del sapere del suo tempo, non può essere considerato theologus nel senso di un dottore-professore di discorsi teologali. In sostanza se il teologo ha come oggetto privilegiato lo studium sapientiae e assume tale studio come esercizio professionalecosí come dice Tommaso d'Aquino nella Summa contra Gentilesallora Dante non è un teologo. Dante non è un intellettuale tecnico, ma sicuramente un buon conoscitore della filosofia e della teologia, ciò anche e soprattutto a seguito della sua frequentazione, dopo la morte dell'amata Beatrice, degli studi del convento francescano di Santa Croce e di quello domenicano di Santa Maria Novella: «[…] cominciai ad andare là dov'ella si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti […]». L'ingresso in questi studi e la loro frequentazione permettono a Dante un potenziamento culturale ed un arricchimento spirituale; le letture degli Auctores, dei Padri e dei Dottori della Chiesa -Aristotele (soprattutto l'Aristotele dell'Etica, ma anche l'Aristotele mediato dagli Arabi e l'Aristotele ri-proposto dalla scolastica) -,Virgilio («maestro» e «autore» dal quale Dante trasse «lo bello stilo»), di Cicerone, di Stazio, di Boezio; il sapere sapienziale appreso dalle Sacre Scritture, le conoscenze di Agostino, Alberto Magno (il riferimento a questo grande maestro è frequente nel Convivio), di Tommaso e Bonaventura, ecc. trovano un ampliamento e completamento negli insegnamenti e nelle dispute dei più importanti e riconosciuti teologi e biblisti dell'epoca che operavano presso i due conventi fiorentini: i francescani Ubertino da Casale e Pietro di Giovanni Oliviquesto secondo acerrimo avversario dell'aristotelismo e discepolo di Bonaventura dal quale riprende il cristocentrismoe il tomista Remigio de' Girolami. Definire Dante teologo se da un canto significa attribuirgli una padronanza della teologia che si tinge dei caratteri dell'eclettismo e del sincretismonel senso che Dante non è espressione di alcuna "scuola", né aderisce ad alcun specifico indirizzo -dall'altro significa riconoscergli una posizione di libero intellettuale, di intellettuale non organico: soggetto di uno spazio culturale caratterizzato da una sapere religiosouna religiosità cristianaperò non sempre e del tutto allineato nei rigidi schematismi scolastici, o come afferma Bruno Nardi «senza settarismo di scuola» e tanto meno dipendente dalle disposizioni ecclesiastiche, dalle ingerenze chiesastiche. (1) La teologia di Dante, così come la sua filosofia, non è riconducibile-riducibile a nessun sistema codificato: «[…] sullo spirito del poetascrive G. Getto -opera il fascino di un'imponente tradizione teologica che va dalla Scrittura e dai Padri della Scolastica alla mistica […]. Come ogni teologo, pur aderendo alla teologia dogmatica definita e pur accettando nel suo insieme tutto il complesso di articoli di fede che la Chiesa propone, si presenta sempre con una personale teologia, nel senso che egli sarà tratto spontaneamente ad insistere nella sua meditazione su un dogma piuttosto che su di un altro e ad istituire fra essi nuovi rapporti». È possibile, quindi, ritenere che la qualifica di teologo -ciò vale anche per il suo essere filosofoassegnata a Dante si ispiri alla nozione del philosophus nell'accezione di Sigieri di Brabante: cioè

DANTE, MUSSOLINI E IL «PENSIERO DI DESTRA»

Treccani.it - Lingua italiana, 2023

Dante Alighieri era già schierato politicamente nella variegata partita medievale tra guelfismo, ghibellinismo e rispettive fazioni interne. È il caso di paracadutarlo, quasi 800 anni dopo, nel nostro ancor più variegato agone partitico? In teoria non sembra opportuno, per tanti motivi (storici, letterari, politici). In pratica, invece, è successo pochi giorni fa, con un giudizio che pesa molto visto il ruolo di chi lo ha emesso: la paternità del «pensiero di destra» in Italia gli è stata attribuita il 15 gennaio 2023 da Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura nel Governo Meloni.

DANTE ALIGHIERI IL SOMMO POETA CAP

La Commedia è un poema in tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso, ciascuna di trentatré canti e con numero press'a poco uguale di versi, proporzione al cui fondamento sta il numero tre. Un canto proemiale al poema forma in tutto il numero cento, multiplo di dieci, simbolo di perfezione. Metro ne è la terzina concatenata, ripresa dal sirventese popolaresco ed elaborata artisticamente. "Commedia" o "Comedia" fu originariamente il titolo generico dell'opera in rapporto al suo contenuto, che da triste principio giunge a lieto fine: "Incipit Comedia Dantis Alagherii fiorentini natione non moribus" è dichiarato nell'epistola a Cangrande della Scala. "Divina" è l'epiteto che fu aggiunto dai posteri, da Boccaccio, e che fu consacrato, come titolo dell'opera, a cominciare dall'edizione veneziana (1555) del Giolito.

LA NOBILTÀ DEL POETA. UNA PROPOSTA DI LETTURA DEL «CONVIVIO» DI DANTE IN CHIAVE POLITICA

La comunicazione partirà dall'apologia del volgare contenuta nel libro I del Convivio, intendendo principalmente identificare le ragioni per le quali Dante ritiene necesario procedere a una sorta di personificazione etica di una lingua vernacola come il toscano. Le proprietà della nobiltà di una semantica e una sintassi sigillate dalla soavità e l'amore in tanto che motori di conoscenza svolgono un importante ruolo nel progetto poetico-politico del nostro poeta. Cercheremo di segnalare, in primo luogo, che secondo il Convivio una lingua naturale più che artificiale, in grado di comunicare elevate tesi dottrinali agli uomini, non dovrebbe lasciarsi sedurre dalle trappole del guadagno e dell'avarizia, cause della rovina sociale e morale della struttura comunale. In secondo luogo, sosterremo che il poeta che si esprima abilmente in una lingua purificata dai vizi della koiné della teologia e della filosofia medievali assumerà il compito proprio di un nuovo Nembroto, il cui «coto» non sarà più la costruzione di una torre che scommetta in potere con la divinità, ma bensì un'attualizzazione delle potenze espressive insite nella lingua naturale o phùsei, cioè, quella con cui il poeta ha «tutto [suo] tempo usato». Per ultimo, ci occuperemo di determinare se Il Convivio potrebbe considerarsi un saggio germinale di un programa poetico-politico materializzato finalmente nell'opera magna che rappresenta La divina Commedia, che non a caso sovrasta per vari aspetti la prima.

Dante ed i poeti

Dante ed i poeti << Or se' tu quel Virgilio e quella fonte \ che spandi di parlar sì largo fiume?\... \ O de li altri poeti onore e lume,\ vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore \ che m'ha fatto cercar lo tuo volume. \ Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore \ tu se' solo colui da cu' io tolsi \ lo bello stilo che m'ha fatto onore\......>> (Inf. I, 79-87) Virgilio, in altri canti dell'inferno è chiamato anche " l'altissimo poeta" (Inf.IV, 80) "Il savio gentil che tutto seppe" (Inf.VII, 3), il " mar di tutto 'l senno" (Inf.VIII, 7), esprimendo così tutta la sua ammirazione, la sua riverenza, il proprio debito culturale nei confronti di Virgilio, il poeta più importante nell'economia del poema, non solo perché funge da guida nell'inferno e nel purgatorio, ma anche per la sua produzione letteraria che ebbe un ruolo importante nella formazione culturale di Dante. Ma, adesso prima di ulteriormente addentrarci nella trattazione, occorre rilevare che Dante è cattolico e che nella Commedia esprime il momento di massima consapevolezza del proprio fare poetico e da ciò sicuramente deriva il metro valutativo non solo di Virgilio, ma anche di altri poeti, presenti nel poema. Essi inoltre,"l'altissimo poeta compreso, sono considerati da un lato come auctores e, in quanto tali, Dante fa riferimento alle loro opere, che così in vario modo e misura entrano nella trama del poema, dall'altro come personaggi e, in tal caso, rivestono funzioni allegoriche più ampie e comunque connesse al luogo ultraterreno in cui li colloca. Premesso ciò, non possiamo non continuare ad occuparci di Virgilio, nei confronti del quale già nel primo canto, come si è già evidenziato, esprime tutta la sua ammirazione e il suo affetto. Tuttavia al di là dell'affetto per l'uomo Virgilio e dell'ammirazione per la sua cultura, la presenza sia del testo virgiliano che della sua figura, dopo la massiccia presenza nella prima cantica , si attenua progressivamente. A questo proposito ricordiamo che Virgilio è un poeta pagano che nonostante, secondo l'interpretazione medioevale, sia arrivato a presentire la verità del Cristianesimo nell'Egloga IV, rimane pur sempre legato alla menzogna , "al tempo degli dei falsi e bugiardi", come egli stesso sostiene nel verso 72 del canto I dell'inferno, presentandosi a Dante. Pertanto se a Virgilio viene attribuito l'aggettivo "dolce" (quattro occorrenze nell'inferno e ben dodici nel purgatorio) per diventare "dolcissimo padre" nel momento in cui Dante personaggio si accorge della sua scomparsa (purgatorio XXX, 50), Dante autore prende a varie riprese le distanze dal proprio modello sia come personaggio, sia come autore. Virgilio, in genere, come personaggio, ossia come guida e allegoria della ragione, attraverso la ripetizione di un formulario pressoché fisso, riesce con efficienza razionale e sollecitudine, ad aiutare Dante nel suo cammino, anche se non mancano le difficoltà con i demoni che negano l'entrata nella città di Dite nel canto IX dell'inferno e poi con il demone Malacorda che fornisce false indicazioni sulla via d'accesso alle bolge, dicendo: <<……\ E se l'andare avante pur vi piace \ andatevene su per questa grotta; \ presso è un altro scoglio che via face \...>> (inf. XXI,109-111), ma anche Virgilio autore viene smentito, quando, ad esempio, nell'episodio di Pier delle Vigne , dopo aver convinto Dante a staccare un ramo, così lo giustifica di fronte al dannato: <<S'elli avesse potuto creder prima.>>\ rispuose 'l savio mio,<<anima lesa,\ ciò c'ha veduto pur con la mia rima,\ non avrebbe in te la man distesa;\ ma la cosa incredibile mi fece \ indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa\....>> (Inf.XIII,46-51). Virgilio, cioè confessa che la lettura di quello stesso episodio nella sua Eneide non è sufficiente a far fede della sua veridicità, perché egli è morto pagano, pertanto deve passare obbligatoriamente per la diretta esperienza del pellegrino a dimostrare che non trattasi di favola pagana, ma di vicenda che vuole proporsi come reale.