Materialismo Storico 2-2020 (IX): Pensare la pandemia (original) (raw)
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Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane afferente al Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino e con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx fuer dialektisches Denken, 2017
Cento anni dalla Rivoluzione d’ottobre: un convegno di studi Stefano G. Azzarà e Stefano Visentin (Università di Urbino) Anche dalla pubblicistica più indulgente, la Rivoluzione d’ottobre viene per lo più rappresentata oggi come un incidente della storia e cioè come una diabolica deviazione del corso del mondo dalla normale modernizzazione liberale: una sorta di Sonderweg russo di estrema sinistra. Ancor più spesso viene presentata però come una catastrofe politica originaria, ovvero come un’eruzione di fanatismo demagogico tardo-giacobino dalla quale sarebbero scaturite tutte le correnti totalitarie che hanno poi attraversato il Ventesimo secolo. È la celebre tesi di Ernst Nolte, convinto, sulla scorta di Heidegger e Schmitt, che il nazismo e il suo «genocidio di razza» fossero un semplice «contromovimento» reattivo nei confronti del «genocidio di classe» bolscevico. Nonostante i grandi cambiamenti che sul piano materiale come su quello culturale ci separano irreversibilmente dall’epoca e dal clima del dopoguerra – e nonostante cento anni siano ormai passati – quell’evento è però tutt’ora ricordato e studiato in tutto il mondo. E molte tra le maggiori Università, comprese quelle italiane, hanno cercato di affrontarne la memoria e le ripercussioni come esse meritano e cioè su un piano che deve essere anzitutto storiografico e filosofico-politico e non certamente ideologico e propagandistico. Pur avendo scandalizzato anche quella parte – minoritaria – della storiografia liberale che era rimasta fedele al paradigma democratico e antifascista, le tesi di Nolte non sono, a guardar bene, troppo distanti da quella «teoria del totalitarismo» che dai tempi della Dottrina Truman definisce gli assi interpretativi fondamentali della visione del mondo liberaldemocratica occidentale. Non stupisce perciò che esse continuino ad avere un notevole seguito, tanto più che il modello interpretativo che semplifica la storia universale sulla base della coppia libertà/totalitarismo si presta ad essere traslato e variato con la medesima leggerezza nelle più diverse epoche. Non a caso, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa, è proprio quell’idealtipo storiografico prêt-à-porter l’ipotesi di lavoro prevalente che guida oggi le ricerche sull’islamismo radicale (considerato da Daniel Pipes come da numerosi altri autori come la «terza ondata» di una sorta di totalitarismo ideale eterno pervicacemente impegnato a cancellare il Mondo Libero) e persino sul cosiddetto “populismo”. Tuttavia, la nostra impressione è che questo straordinario consensus che accomuna ormai le più diverse posizioni culturali e politiche – incluse alcune tra le tendenze intellettuali che erano state eredi della tradizione del marxismo novecentesco ma che hanno mutato i loro riferimenti culturali senza dilungarsi troppo nell’elaborazione concettuale di questo spostamento –, ben poco abbia di scientifico ma sia in gran parte determinato e corroborato dalla vittoria di sistema conseguita da una delle due parti in lotta al termine della Guerra Fredda. E pensiamo, in questa prospettiva, che il compito di una storiografia e di una riflessione filosofico-politica rigorose e autonome sia in primo luogo esattamente il contrario ovvero quello di sottoporre ad analisi critica il punto di vista dei vincitori: quell’interpretazione che troppo facilmente tracima nel senso comune fino a diventare verità indiscussa e indiscutibile, quasi ideologia che ridiventa natura. In realtà, anche a uno sguardo superficiale non è possibile negare che almeno due delle caratteristiche fondamentali del nostro tempo e della democrazia moderna intesa come democrazia progressiva sarebbero letteralmente impensabili senza la rottura che la Rivoluzione russa, in particolare quella d’ottobre, ha rappresentato nella storia contemporanea. In primo luogo, gli eventi russi – i quali di per sé contribuiscono in maniera esemplare a illuminare i nessi che sussistono tra conflitto politico-sociale, democrazia e guerra – rappresentano l’avvio di quel più ampio e complessivo processo di rivoluzionamento del mondo contemporaneo che è costituito dalla decolonizzazione e i cui effetti non sono ancora conclusi. La messa in discussione dell’ordinamento eurocentrico della Terra inizia certamente già nel XIX secolo, a partire dalle prime sollevazioni in America Latina, in Medio Oriente, in Asia, e soprattutto a partire da quella guerra ispano-americana che ha dato avvio al progetto egemonico globale statunitense. E però è solo con l’impulso della Rivoluzione d’ottobre che – grazie alle intuizioni politiche di Lenin e al tentativo di universalizzare le conseguenze del marxismo costruendo un ponte politico tra Occidente e Oriente, Città e Campagna, Centro e Periferia – la rottura dell’ordine coloniale diventa un fenomeno di portata planetaria e significativo sul piano politico. Un fenomeno che condizionerà gli sviluppi interni agli stessi Stati nazionali euro-occidentali e che darà vita a uno dei presupposti fondamentali della democrazia moderna: l’idea di un diritto internazionale basato sul principio di eguaglianza (gli stessi 14 punti di Wilson sono successivi al 1917). In secondo luogo – e non è possibile qui più di un accenno –, va ribadito come anche gli storiografi di orientamento liberal-conservatore (ma Hayek e Popper lo avevano fatto notare con sdegno già molti decenni prima...) siano ormai dell’idea che la deterrenza costituita dalla presenza di un competitore politico, economico e ideologico su scala globale abbia svolto un ruolo determinante nello sviluppo dei sistemi di Welfare ai quali la democrazia occidentale e persino lo stesso capitalismo consumeristico devono gran parte del proprio sviluppo. Non è un caso che la fine della Guerra Fredda abbia coinciso con l’inizio dello smantellamento di questi sistemi ovvero con l’espunzione dal mercato capitalistico di ogni elemento di responsabilità sociale e intervento pubblico e con l’apertura di un’epoca politica e economica completamente nuova, tutta all’insegna dell’individualismo proprietario ma anche della crisi permanente. Le grandi trasformazioni iniziate con il periodo 1989-91 non sono ancora terminate. All’esplosione della globalizzazione (che ha fatto gridare alcuni frettolosi interpreti ad una ormai compiuta «fine della storia») sono in realtà seguiti imponenti sconvolgimenti in tutti i settori della vita sociale, dall’economia alla scienza-tecnologia alle tecniche di governo; trasformazioni che a loro volta hanno innescato nuove contraddizioni e nuovi conflitti interni ai singoli paesi come su scala planetaria. È possibile leggere queste trasformazioni e le tensioni che esse hanno generato senza metterle a confronto con la categoria di rivoluzione? E cosa rimane oggi di quelle ulteriori tracce della Rivoluzione russa che tanto in profondità hanno scavato nella democrazia moderna e nelle sue forme di coscienza, a partire dalla costituzione delle identità politiche che hanno animato la fenomenologia del conflitto per oltre un cinquantennio? Cosa è rimasto, infine, dell’esperienza politica e della riflessione di un uomo, Lenin, il cui nome oggi sconosciuto ai più ha rappresentato uno spartiacque per quasi un secolo? A queste e ad altre domande abbiamo cercato di dare, se non una risposta, almeno uno spazio di riflessione e una giusta risonanza in un recente convegno. Un momento di confronto che ha ospitato punti di vista anche molto distanti tra loro – pensiamo alla questione del rapporto tra socialismo e principio nazionale oppure al tema dello sviluppo delle forze produttive e della NEP – e del quale riportiamo qui la prima parte degli atti, affiancandola ad altri contributi. Il convegno, promosso dal Dipartimento di studi umanistici e dal Dipartimento di economia, società e politica dell’Università di Urbino, ha avuto il patrocinio dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx für dialektisches Denken, che qui ringraziamo. Completano questo numero di “Materialismo Storico” – dedicato più in generale a «rivoluzioni e restaurazioni, guerre e grandi crisi storiche» – un saggio di Venanzio Raspa su Meinong e la Prima guerra mondiale, un’intervista sulla crisi capitalistica all’economista dell’Università di Siena Ernesto Screpanti, una lettura decisamente controcorrente dell’ultimo Foucault e la traduzione italiana di un assai dibattuto intervento di Gianni Vattimo e Santiago Zabala sul «comunismo ermeneutico». Di particolare rilievo è infine per noi l’intervista di Gianfranco Rebucini ad Andrè Tosel, probabilmente l’ultima che sia stata rilasciata dal nostro compianto collega, amico, maestro (pubblichiamo su questo numero la prima parte e sul prossimo, previsto per luglio, la seconda).
""Materialismo Storico" 1-2/2016 (I): Questioni e metodo del materialismo storico
2016
Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane afferente al Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino e con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx fuer dialektisches Denken. Historical materialism occupied for a long time a central position in Italian philosophical debate: on the contrary, it seems to be neglected today in academic studies. Whereas in other countries there are a lot of publications and cultural enterprises that follow the profile of this tendency, in Italy it seems to be banished as a memory of a closed political and intellectual season. Our review is an attempt to rediscover and renew the most innovative Italian version of Marxism, strengthening pluralism in Italian cultural debate and inside university. Keywords: Italian marxism; Historical materialism; Gramsci; Academic magazines.
Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane afferente al Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino e con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx fuer dialektisches Denken., 2019
Il dossier raccoglie la quasi totalità degli interventi letti al seminario Egemonia dopo Gramsci: una riconsiderazione, che si è svolto il 22-24 ottobre 2018 presso l’Università di Urbino Carlo Bo su iniziativa di Fabio Frosini e di Giuseppe Cospito, e grazie al patrocinio e all’appoggio della Fondazione Gramsci (Roma) e del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Ateneo urbinate. Quell’incontro era il quarto di una serie avviata nel 2014 e articolatasi con cadenza annuale, con l’eccezione del 2017, in cui il seminario è confluito nel convegno organizzato dalla Fondazione Gramsci e dalla IGS Italia in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte di Gramsci . L’obbiettivo del seminario consiste nel ricostruire le intricate modalità di interpretazione e arricchimento della nozione di “egemonia” nel periodo che coincide con la diffusione via via più ampia del pensiero di Gramsci, in particolare di quello consegnato ai Quaderni del carcere.
"Materialismo Storico" 1/2017 (II): L'egemonia dopo Gramsci: una riconsiderazione
Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane afferente al Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino e con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx fuer dialektisches Denken, 2017
Il volume contiene gli atti del seminario di Pavia della International Gramsci Society del settembre 2016 e altri testi.
Materialismo Storico. Rivista semestrale di filosofia, storia e scienze umane
Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane è una pubblicazione semestrale dell'Università di Urbino con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. La pubblicazione degli articoli è sottoposta a procedimento di revisione tra pari e risponde ai criteri dell'art. 4, lett. a) e b), dell'allegato D del DM 7 giugno 2016. Lo sviluppo e la manutenzione di questa installazione di OJS sono forniti da UniURB Open Journals, gestito dal Servizio Sistema Bibliotecario di Ateneo.