Der Körper in der Upgradekultur und die Grenzen des Technokonservatismus (original) (raw)
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Corpi, design, postumano, modernità ancora?
Federica Dal Falco, 2018
The contribution questions the reasons and the need for a rethinking and revaluation of the programmatic ideas of modernity that the postmodernism has rejected, without distinguishing the reasonable principles from distortions and mystifications, decreeing the end of history, progress and values of truthfulness. Recently, by several observers, in particular in the field of historical and philosophical disciplines, the theoretical insufficiency of postmodernism has been identified, whose definitive crisis is ascribable to the 11 September 2001 massacre. Postmodernism has abandoned the path of rationalism and enlightenment by proposing fragmented, disorganic, reinventions, quotations, displacements, contaminations that go in the opposite sense to the idea of the new, to the concept of new, associated in the arts, architecture, design and literature with the concept of progress. The current instability, which stands out against the backdrop of globalization and an increasingly convulsive acceleration towards the post-human, leads one to question the reality of human needs, whose perception is increasingly intercepted by technological mediation. Starting from these reflections, the paper analyses, through the critical reading of two texts written after thirty years (Maldonado, 1987; Mordacci, 2017), the principles of the modern and the antithesis of the postmodern, up to the current crisis where a neomodern condition would seem to answer the questions of contemporaneity. In this context, design, arts and architecture have a primary task: to put at the centre of the project the body experience and the sensible qualities of human, the starting point for giving back to the technologies their instrumental role in the sign of interdisciplinarity, sharing and coexistence of real and virtual. The new continent is digital, but humanity is increasingly fragile and increasingly needs to rediscover the meaning of the material and immaterial stratifications that constitute the foundation of its history.
2020
HOW LONG CAN A CULTURE PERSIST WITHOUT THE NEW? TINA AND THE RESEARCH OF A “COSMOLOGY” WORTHY OF THE ANTHROPOCENE. The essay intends to analyze the possibility of building/imagining a new cosmology in the time of the Anthropocene. This will be the path: first, deconstructing the mainstream and fashionable narrative of the Anthropocene, highlighting all the ideological aspects whose it is formed, consciously and unconsciously; secondly, showing the limits of the ability to make philosophy and to imagine the new because of “capitalist realism”, which represents an asphyxiating, pervasive and all-encompassing imagine of reality; finally, outlining the profile of a new cosmology, capable of reactivating the power to imagine and act, beyond the TINA (there is no alternative) and in order to create the radically new, the only possible way out of the suffocating atmosphere of the fashionable Anthropocene and of “capitalist realism”.
Tecniche di trascendenza, deliri culturali e deterioramento dell'Io
Il capitolo mette a fuoco gli esiti conseguenti all’uso di procedure intra ed extracanoniche di distacco dal mondo esterno. Si descrive come queste procedure possano essere messe in atto dall'individuo in maniera spontanea e individuale, oppure essere prescritte e regolate nel loro svolgersi dalle norme della cultura di appartenenza del soggetto. La letteratura psicoanalitica aveva già identificato una serie di dinamiche, generalmente connotate con i termini di detachment (Bowlby, 2000 [1980]), negazione, annullamento (Freud, 2000 [1909]) di quanto legittimamente si può chiamare realtà esterna. Tali dinamiche sono idonee a conseguire uno “stato sospeso di coscienza”, il quale può essere accompagnato sia da un sentimento d'angoscia che da sensazioni di benessere che ne facilitano l’accettazione a livello personale, sociale e culturale. La psichiatria dinamica culturale si sta dimostrando lo strumento più idoneo a interpretare e comparare le varie modalità con cui la funzione di detachment si embrica con la costruzione di credenze magico- religiose. Recentemente lo studio del fattore religioso, in seguito all’interesse di varie istituzioni deputate non solo a sviluppare il benessere individuale ma anche al mantenimento della pace e al rispetto dei diritti umani, è diventato un fulcro di grande interesse pubblico oltreché una necessità scientifica. Sempre più pressante, infatti, è diventata la richiesta di discernere come e perché i numerosi atti terroristici a cui assistiamo siano in qualche modo imbibiti da una rigida fede religiosa. La psichiatria culturale e l’antropologia sono da tempo impegnate nello studio del pensiero magico, delle superstizioni tribali, della storia della trance da estasi o possessione, della ambivalente potenza di enti numinosi non meglio qualificati e delle apparizioni miracolose. Le stesse discipline hanno indagato il modo in cui ognuno di questi fenomeni si articola a visioni del mondo che, a seconda della loro incoercibilità, possono essere avvicinate alla dizione di credenze simil-deliranti, coniata da Murphy (1967) per definire abnormità ideative di massa divenute parte integrante di singole culture. Abbiamo ritenuto utile rafforzare la proposta di Murphy riproponendo in questo capitolo la formula dei deliri culturali, introdotta da Horowitz (in: Frighi, 1984) e accettata nell'Enciclopedia Medica Francese (Bartocci, 2013) e nel corso del IV Congresso mondiale di Psichiatria Culturale (Bartocci, 2015; Daverio, 2015; Zupin, 2015). Con il termine deliri culturali, ovvero credenze indimostrabili, non convalidabili, immodificabili nonostante la scarsissima adesione alla realtà, intendiamo strutture culturali favorenti la radicalizzazione del detachment e l’insorgere dei deliri propriamente detti descritti dalla clinica psichiatrica. Le neuroscienze hanno dimostrato come il nostro cervello non sia un organo statico e immodificabile, ma risenta profondamente delle influenze ambientali e delle esperienze vissute. Dal momento in cui la cultura è una delle principali determinanti del mondo-ambiente in cui viviamo, alcuni assi portanti di una cultura vengono interiorizzati a livello psichico e influenzano la conformazione dei distretti neurali. La disposizione dei circuiti neuronali (culturalmente determinata) costituisce così una sorta di schema preformato, una lente già data attraverso la quale vengono letti i fatti della vita quotidiana. I fattori culturali, in altre parole, svolgono la funzione di una sorta di diapason che può far prendere alla rappresentazione tinte precostituite, talvolta in modo da spostare l’ideazione e il vissuto verso i registri della psicopatologia generale. Nella ricerca di cosa vi è di comune, cosa di diverso e quali sono i punti di contatto tra le forme classiche della follia e le manifestazioni più violente del fondamentalismo, gli Autori partono dalle conoscenze appena citate e indagano la relazioni tra i seguenti fenomeni, che vengono descritti nel dettaglio: distacco dal mondo-perdita dell’Io-restitutio al divenire umano. Lo schema dell’esposizione sarà il seguente: dopo una breve introduzione atta a definire gli stati di coscienza ordinari e straordinari analizzeremo l’influenza della cultura su questi stati di coscienza in quattro ambiti, riservando ad ognuno un paragrafo apposito: le tecniche di trascendenza, la fisiologia e patologia del detachment nello sviluppo della psiche, la costituzione dei deliri culturali e gli atti terroristici o simil-terroristici dietro cui non sempre è possibile rinvenire con certezza contenuti di pensiero deliranti. Nelle conclusioni il capitolo delinea sia percorsi biopsicoculturali in grado di indurre la perdita di alcuni funzioni dell’Io, sia i possibili mezzi per evitare questi processi abnormi e invertire i percorsi trascendenza in un ri-attaccamento allo stato di coscienza ordinario e al mondo dell’umano.
Vilém Flusser e l'eccedenza del corpo nella società telematica
Teoria. Rivista Di Filosofia, vol. 41, n. 2, pp. 117-136, 2021
This contribution aims to offer a perspective on the surplus of the body according to Vilém Flusser (1920-1991). It will explore the thesis according to which the bulk of the human body tends to become a surplus within the context of “postindustrial culture” and its informational apparatuses. This surplus presents an ambiguity. On one hand, the human body is conceived as a suffering and annoying surplus (as reduced to an anachronistic appendage of the “fingertips-keyboard” telematic interface). On the other hand, the human body manifests a creative potential open to biotechnological practices with emancipatory ambitions (the body as a field of possibilities to be realized in view of a full devotion to the dialogical life). In both cases, the importance of the bodily dimension of our experience as human beings is reduced, since our existential interests lie in the production of immaterial information.
La persona tra limite e potenzialità: la sfida dello “Human Enhancement”
La persona tra limite e potenzialità: la sfida dello “Human Enhancement”, in AA.VV., L’umano e le sue potenzialità tra cura e narrazione, a cura di L. Alici e P. Nicolini, Aracne, Roma 2020, , 2020
ISBN 978-88-255-3387-3 L'umano e le sue potenzialità, tra cura e narrazione In alternativa agli intenti decostruttivi tipicamente postmoderni, lo Human enhancement assume i risultati della tecnoscienza, applicandoli al mondo della salute e della vita umana, collocandosi nella prospettiva del transumanismo e del postumano, di cui rappresenta una sorta di corollario applicativo. Nasce su queste basi il sogno di una “umanità aumentata", di cui vengono esplorate alcune forme diverse, tra possibilisti e detrattori, ed esaminati alcuni nodi teorici (limite e confine, possibilità e potenzialità, fine e risultato, normale e normativo, eccedenza e carenza, natura e artificio), entro un orizzonte fondamentale, identificato dal rapporto tra persona, coscienza e libertà
Soglie dell'utopia. Umano e tecnoscienza in un tempo di transizioni
"Sociologie", 2023
Developing a theoretical core of L. Marin (1993) on utopia as a frontier and threshold, the article discusses the thesis of a utopian paradigm constituted by the relationship, constitutive of the Modern, between the state-form and technoscientific progress (Cacciari 2016). In the contemporary era, utopian thought articulates a complex and multifaceted reflection on this motif, of which an interpretative line can be traced, in an exemplary way, in the works of E.M. Forster (1909), A. Huxley (1958) and Y.N. Harari (2015). These narrative and essayistic texts attest to the process, which seems to be reaching completion today, of the complete overlap of politics and technoscience and document the passing of the thresholds of utopia on two interconnected levels. On the general historical and social one where the transcendence of the anthropological threshold and the passage from utopia to ideology are recorded. On the hermeneutic and heuristic level of the social reception of utopian thought in which, in a historically and sociologically contingent epistemic tension, the substantial indistinction between utopia and dystopia is revealed.