A. Serrani, Donato Vaselli: un ambizioso ecclesiastico ai tempi di Giovanni II Bentivoglio. Bologna, Complesso monumentale della Certosa, 29 maggio 2021 (original) (raw)
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S e assai nutrita risulta la letteratura critica riguardante il Martirio di San Sebastiano tuttora al di sopra del proprio altare nella quinta cappella a sinistra della basilica di San Petronio 1 ( ), molto meno interesse ha suscitato fino ad oggi la figura del suo committente, Donato Vaselli. Tale circostanza può essere dovuta alla difficoltà di reperire notizie su di lui. Basti pensare che già nel Settecento i membri del capitolo di San Pietro, di cui egli aveva fatto parte, non seppero trovare altro che la data in cui ricevette il canonicato: negli elenchi capitolari da essi stilati, infatti, mentre per la maggior parte dei nomi si forniscono alcune brevi informazioni, la voce «Donato Vaselli» è seguita unicamente dall'anno «1438» 2 .
· The stained glass window of the Vaselli Chapel in San Petronio and several clarifications regarding Cabrini · The discovery of the payment receipt for the stained glass of the Vaselli Chapel in the Basilica of San Petronio not only sheds light on the personality of its creator, Giacomo di Agostino Cabrini, but also redefines the chronology of the works carried out inside the Chapel by the canon Donato Vaselli at the end of the fifteenth century. The arrival on the scene of Giacomo di Agostino, a member of the most prestigious family of Bolognese glassmakers active in the second half of the fifteenth century, renders it essential to re-visit the authorship of the artworks that overtime have been attributed to some members of their workshop. This re-examining also permits us to clarify some of the kinship ties between members of the Cabrini family.
Quando nel 1870 Santo Varni dà alle stampe gli Appunti artistici sopra Levanto ha sessantatrè anni e diversi progetti in fieri: alcuni li elenca lui stesso in calce a quel libro, all'epoca fresco di stampa, dove, in una nota, un po' come si fa anche oggi, Varni ci informa sulle sue prossime pubblicazioni. Cinque punti -questo il promemoria di Varni -che compendiano solo una parte delle attività che ha in corso: ai punti due e tre, dice che tornerà a occuparsi fra l'altro della pieve di Gavi, del coro di San Lorenzo e dei "monumenti patrii" 1 . Scrive che tornerà sulla scultura antica, ma che intende anche affrontare argomenti per lui del tutto nuovi: prepara infatti uno studio sulla miniatura e, lo indica al primo punto, un libro "sulle pitture murali ed a grafito nella Liguria" 2 . A quest'ultimo progetto Varni lavora parecchi decenni, viaggiando e raccogliendo materiali (appunti e disegni) soprattutto tra Savona e Genova. Si accorge subito che il tema della pittura murale rinascimentale ligure è alquanto spinoso e necessita approfondimenti e referenze ben oltre i confini regionali. Per questo motivo già nel settembre del 1846 s'era messo in viaggio verso la Lombardia: un itinerario che si può seguire attraverso una sorta di diario, zibaldone lo chiama Varni stesso, che ne intitola una parte Memorie sopra le belle arti. Pavia 3 . Città dalla quale prosegue nei giorni seguenti per Milano dove visita la chiesa di San Marco e quella di Santa Maria delle Grazie. Come sempre ad attrarre la sua attenzione ci sono opere di varia natura e epoca. Naturalmente, a Milano, vede il Cenacolo di Leonardo "del quale -scrive in ordine allo stato di conservazione della pittura -non v'è che una preziosa traccia" 4 . Nell'ultimo quarto del XIX secolo, invece godono ancora di un discreto stato di conservazione le facciate dipinte rinascimentali genovesi e savonesi che tanto interessano a Varni. Su di esse però grava una nuova minaccia. Cioè l'epidemia di colera che si diffonde in tutta Europa a più ondate nel corso dell'Ottocento e che infesta Genova e la riviera con episodi significativi attorno soprattutto a due date, il 1854 e il 1866-1867 5 . Varni, "il morbo" della peste se lo ricorda bene, 2 RAFFAELLA FONTANAROSSA anche perché, come scrive, "il consiglio dell'arte fece imbiancare", scialbare, molte facciate dipinte 6 . Dove non arriva il morbo, a distruggere i "monumenti patrii" ci hanno già pensato anni addietro le soppressioni napoleoniche e i conseguenti cambi di proprietà e di destinazione d'uso. Varni vive in un'epoca cruciale anche da questo punto di vista e si dà da fare come può. Chiede di salire sui ponteggi mentre s'imbiancano le facciate di cui traccia, in extremis, rilievi e dettagli. Un giorno di fine giugno del 1875 approfitta, dice "della pioggia che mal soffrendo quel barbarismo", lo scialbo appunto, "riscoprì" alcune facciate dipinte, così che lo scultore potè, dice: "cavare l'assieme". Qualche anno prima, attorno al 1850, Santo Varni si precipita poco fuori le mura di Genova, alla certosa di Rivarolo, dove non sono il colera e le scialbature a incombere, ma l'incuria del conte Scassi, il nuovo proprietario di una delle cappelle del monastero, quella un tempo Doria 7 . La decadenza del sacello di Lazzaro Doria è nota: in seguito alle soppressioni monastiche (1789), ha inizio un'inarrestabile sequenza di cessioni degli arredi fino allo stravolgimento delle volumetrie spaziali stesse che investono, naturalmente, l'intero complesso 8 . Già creduta distrutta verso la metà del secolo XIX, la cappella Doria è invece parzialmente superstite. Come si sa, in situ resistono ancora due chiavi di volta: una con la Madonna col Bambino e una con Santo Stefano 9 . Anche una parte degli altri arredi della cappella di Lazzaro è nota: il suo portale d'ingresso in pietra nera (Victoria & Albert Museum, Londra), il gisant di Lazzaro, già posto sul pavimento (Genova, Museo di Sant'Agostino), la lastra con Sette putti reggistemma (Parigi, Musée du Louvre) 10 e tre frammenti della cornice (Genova, Villa Piaggio, dipendenze) 11 . La grande assente della cappella Doria e al tempo stesso l'alienazione più clamorosa dell'intera certosa è quella dell'ancona che fu commissionata a Vincenzo Foppa. Con quest'ultima, risulta inoltre disperso l'intero ciclo pittorico che rivestiva le pareti della cappella. Della pala è Alizeri, come sempre, a fornirci del relativo rogito del 1489 in cui il figlio del committente, di Lazzaro già defunto da alcuni anni, salda Foppa per la pittura 12 . I contatti e le opere -quest'ultime appartenenti soprattutto al catalogo di quelle perdute -di Vincenzo Foppa e quella che oggi è la Liguria furono, lo si sa, intensi, anche per l'influenza che ebbero sugli artisti attivi nella regione e, al tempo stesso, di controcanto, esigui nei materiali sopravissuti. Anche gli apporti foppeschi alla certosa di Rivarolo appartengono dunque al catalogo delle opere perdute, accanto a esempi genovesi ancora più eclatanti come il ciclo murale della cappella del Battista del duomo, il cui contratto del pittore bresciano è del gennaio 1461 e di cui, come noto, nulla ci è pervenuto 13 . Le vicende di Rivarolo mobilitano un po' tutti. Non solo Varni che si precipita alla certosa quando lo avvisano di ulteriori e irreparabili danneggiamenti in corso, ma anche agli altri eruditi del tempo come d'Andrade 14 e Belgrano, che tuttavia non ci consegnano novità di rilievo. Quando Varni arriva a Rivarolo, la pala di Foppa, purtroppo, è già sparita. Lo studioso fa a tempo però a vedere il
Gli studi ospitati in questo volume gettano nuova luce sul Forte di Sestola, il quale emerge non soltanto come elemento identitario della cultura locale ma anche quale luogo al centro di percorsi e comunicazioni tra persone, idee e culture da un versante all’altro dell’Appennino, coinvolgendo altresì tutto il ducato estense, fra l’Adriatico e la Garfagnana. Il volume “Il Forte di Sestola. Itinerari della cultura estense in Appennino” si pone dunque ai lettori come la risposta alla necessità etica e politica di restituire ai residenti e a chi frequenta Sestola la consapevolezza di una eredità culturale e ambientale di grande valore, nell’auspicio che, con interventi futuri, il Forte possa essere integralmente recuperato e restituito a una completa fruizione. Il volume è corredato di un vasto atlante fotografico, fatto eseguire per l’occasione, e di una ricca appendice in cui sono raccolte, e per la prima volta pubblicate insieme, tutte le mappe, le vedute e i disegni del Forte di Sestola conservati presso l’Archivio di Stato di Modena.
Interrogandosi sulla pala di Carlo Crivelli per San Francesco a Fabriano, dispersa fra vari musei e alla cui ricomposizione lavorò in prima istanza Federico Zeri, se ne metteranno in luce le peculiarità dal punto di vista costruttivo e compositivo. La teoria di Santi o di Apostoli ai lati di Cristo alla base di un’ancona, tipica della produzione di Crivelli e che conta una serie molto ampia di paralleli in varie zone d’Italia, trova nondimeno nelle mani del pittore veneziano le sue più audaci sperimentazioni: all’incontro, tardivo, con la pala quadra rinascimentale, egli reagisce, piuttosto che sposandone le prerogative concettuali, piegando quella formula alle proprie consuetudini di rappresentazione. Una nuova pista di lettura viene avanzata a proposito della disposizione delle tavole, differenti per altezza e venatura del supporto, lungo la predella.
This essay investigates a cycle of frescoes with the Stories of St. John the Baptist from the church dedicated to the same-named saint in Roncoscaglia, now kept in the Museo della Rocca di Sestola as a result of a detachment operation, with the strappo method, in the 1950s (which was not fully successful, since the wall paintings are now slightly reduced in their integrity). An examination of the iconography and an in-depth study of the style, which had not yet been fully focused on in the context of Late Gothic painting in the Estense dominions, is also proposed.