E. Venturelli, Costantino Baroni, studioso di ceramica, “Rassegna di Studi e Notizie delle Civiche Raccolte d’Arte Applicata ed Incisioni del Castello Sforzesco di Milano", 2020-2021, pp. 293-301. (original) (raw)

E. Venturelli, La collezione di ceramiche graffite di Carlo e Giano Loretz: storia accidentata di un’acquisizione, “Rassegna di Studi e Notizie, Civiche Raccolte d’Arte Applicata ed Incisioni del Castello Sforzesco di Milano" 2007-2008, pp. 185-220.

U n collezionista è spesso apprezzato per l'intuizione che lo spinge ad acquistare manufatti pregevoli quando sono ancora facilmente reperibili e poco costosi. La sua, per certi versi, è una scommessa sulla direzione che prenderà la cultura negli anni a venire; un azzardo che in seguito potrà riservare all'appassionato d'arte un doppio riconoscimento, intellettuale ed economico. A fronte però di numerosi casi in cui il collezionista gode in vita dell'esito felice della sua scommessa, in molti altri il riconoscimento sopraggiunge più tardi del previsto, quando, magari, la raccolta si è ormai dissolta nelle mani degli eredi. Ma può anche capitare che il riconoscimento intellettuale preceda di anni quello economico, che divenga cioè chiaro a tutti il valore storico e culturale della collezione, mentre le quotazioni dei manufatti, pur apprezzati, rimangono basse e deludenti. Quest'ultimo è il caso della collezione di ceramiche graffite di Carlo Loretz: una ragguardevole raccolta costituita soprattutto da frammenti di scavo, in gran parte rinvenuti tra Lombardia e Veneto negli ultimi tre decenni dell'Ottocento. Per quasi trent'anni Carlo Loretz raccolse e studiò tali reperti pressoché in solitudine e in controtendenza rispetto agli interessi del tempo. Solo al volgere del secolo la collezione cominciò ad attirare l'attenzione degli esperti; come si vedrà, fu premiata all'Esposizione di Lodi del 1901, e ne venne raccomandato l'acquisto ai musei. Tuttavia, il figlio, Giano Loretz, riuscì a cedere la collezione paterna al Museo Municipale del Castello Sforzesco solo nel 1917, dopo ben quattro tentativi di vendita andati a vuoto e un intero quindicennio speso a convincere commissioni e direttori del valore di quei manufatti. Carlo Loretz (1) , pittore lodigiano ma residente a Milano, cominciò a collezionare frammenti di ceramiche tra il 1871 e il 1872, mentre era al lavoro nella sua città d'origine, incaricato di decorare le dimore di alcune figure di spicco della società lodigiana. Uno dei committenti era Antonio Dossena (2) , proprietario della maggiore fab-

L. Pesante, Luca Baldi «da Urbino», in C. Giardini, C. Paolinelli (a cura di), La ceramica nello scaffale. Scritti di storia dell'arte ceramica per l'apertura della Biblioteca "G. Bojani" a Fano, Fano 2018, pp. 147-152.

Uno dei documenti più noti nella storia della maiolica italiana è conservato a Roma nell'Archivio storico capitolino. Fu pubblicato per la prima volta da Antonino Bertolotti nel 1881 e poi ripreso pressoché in ogni libro degli anni successivi come testimone della diffusione del gusto per la maiolica istoriata ( 1 . Si tratta della ricevuta di un pagamento datata «in Roma […] 27 gennaro 1550» probabilmente autografa del vasaio Luca da Urbino che dichiara di aver avuto 20 scudi per una «credenza di vasi hystoriati di terra» commissionatagli dal cardinale Lenoncourt. Fino ad oggi sono noti due soli pezzi di maiolica istoriata riferibile stilisticamente agli anni '40/'50 del Cinquecento segnati con le armi di Robert de Lenoncourt (d'argento alla croce dentata di rosso) cardinale dal 1538 fino al 1561, anno della sua morte (fig. 2): una fiasca decorata con storie d'Europa, a Londra nel Victoria & Albert Museum già collezione Fountaine 2 (figg , e un piatto in passato nella collezione Paul Dean poi Pannwitz, con scena di storia biblica, di cui si erano perse le tracce per oltre un secolo fino alla ricomparsa sul mercato antiquario nel novembre 2016 3 (figg. 5-6). Entrambi sono decorati con uno stile individuale e distintivo dal medesimo vasaio, cioè quel «Luca vasar da Urbino» che ci ha lasciato dettagliata ricevuta autografa proprio di questo suo lavoro. I caratteri principali della pittura di Luca sono evidenti anche ad un'analisi sommaria: in generale egli costruisce le scene secondo una corretta e puntuale successione dei piani prospettici, disponendo le figure in ordine regolare rispetto agli assi principali delle superfici da decorare. I concitati gesti di molti personaggi conferiscono una singolare tensione alla scena, ricorrente in ogni sua opera. Nel particolare ricorrono i profili dalla fronte alta e sfuggente, le folte capigliature e barbe degli uomini puntualmente dipinte ciocca per ciocca, le complesse pettinature femminili con trecce legate da nastri ai lati del capo, e quel vezzo del dito indice alzato quasi a rappresentare il segno di paternità dell'autore.

La donazione di ceramiche di Francesco Ponti. All'origine del Museo Artistico Municipale al Castello Sforzesco, in "Rassegna di Studi e Notizie" vol. XLIII -anno XLVII, 2022, pp.147-173

Rassegna di Studi e Notizie, 2022

La donazione di ceramiche di Francesco Ponti. All'origine del Museo Artistico Municipale al Castello Sforzesco Raffaella Ausenda L a ricca collezione di oggetti d'arte di Francesco Ponti entrò a far parte del Museo Artistico Municipale di Milano dal 24 febbraio 1896, nel periodo aurorale del museo della città. Le raccolte artistiche donate da Francesco Ponti erano accompagnate da due «Rubriche» con i margini scalettati e denominati per tipologie: cataloghi compilati con estrema cura, oggi conservati nell'Archivio delle Raccolte Artistiche al Castello Sforzesco0! Il primo registro presenta 12 raggruppamenti (fig. 17), a cominciare dai dipinti: 18 quadri antichi, 66 moderni e 58 acquerelli contemporanei. La sezione dei moderni si apre con due opere dell'amico Giuseppe Bertini: il «Ritratto a figura inte ra, grandezza naturale del Sig. Francesco Ponti» (fig. 1) e un «Grande quadro stori co rappresentante il Pittore Francesco Guardi di Venezia in Piazza San Marco che sta esibendo i suoi dipinti» a cui segue un «Grande quadro Rimembranze della Campagna 1859» e altri dodici dipinti di minori dimensioni. Poi sono citate le opere degli amici pittori, Girolamo Induno, Mosè Bianchi, Federico Faruffini e gli altri artisti di Brera. Seguono le pagine dedicate a Mobili, Armi, Smalti e Avori, Stoffe, Vetri e Marmi(2). Ma la collezione più ricca e importante è quella ceramica a cui è dedicata un'intera rubrica, col margine scalettato in 24 voci: vi sono elencati ben 985 pezzi, di cui 130 porcellane. La straordinaria collezione, che decorava le sale di un palazzo storico di Corso Venezia, venne costituita in competizione con le raccolte artistiche dell'alta nobiltà milanese, come quelle dei Belgioioso Trivulzio e Visconti Venosta, come espressio ne dell'ambizione sociale della famiglia Ponti. Questa possedeva un'importante impresa industriale tessile in provincia di Varese, diretta dai fratelli di Francesco, Andrea e Antonio(3). I Ponti, attraverso un'intensa rete matrimoniale intessuta con le altre famiglie industriali varesine (Cantoni, Turati, Borghi), crearono un vero e pro prio 'clan'-così viene definito dagli storici-per la gestione dei maggiori affari bancari e finanziari lombardi00 Trasferitisi a Milano, in via Bigli, in Palazzo

L. Pesante, Il lavoro della ceramica a Roma dal 1600 al 1613, in G. Anversa, C. Maritano (a cura di), Il collezionismo fa grande i musei. Atti delle giornate di studio in onore di Luciano Franchi, "Faenza", CVI, 2-2020, pp. 209-222-

Nell'Anno santo del 1600, una grande riforma monetaria colpì il taglio più piccolo e più usato nello Stato pontificio. Papa Clemente VIII, per porre rimedio alla svalutazione e alla perdita di valore del quattrino, composto da una lega con bassissimo contenuto d'argento, anche su richiesta delle Corporazioni delle Arti, decretò la soppressione della debole moneta-di sovente falsificata-e l'emissione di un nuovo conio più pesante in puro rame. A partire dal mese di settembre, i vecchi quattrini scomparvero dal circuito monetario, furono rimborsati a ragione di 9 giuli per scudo con una conseguente perdita del 10% del valore. Ma lo stesso Tesoro avrebbe subito gravi perdite con tale tasso, essendo il valore reale delle monete di molto inferiore a quello per il quale erano cambiate. Il governo decise pertanto di istituire una tassa provvisoria destinata a compensare la perdita subita dalla Camera apostolica ovvero, come era chiamata in quegli anni, la tassa del quattrino...