Una foto in Via De Amicis. L’immagine icona degli «anni di Piombo» (recensione a Storia di una foto. Milano, via De Amicis, 14 maggio 1977. La costruzione dell’immagine icona degli «anni di piombo». Contesti e retroscena, a cura di Sergio Bianchi, Derive Approdi, Roma, 2011) (original) (raw)

Una foto in via De Amicis. Frammenti per rileggere la storia italiana

2013

I testi compresi in questo volumetto devono essere considerati solo come piccoli contributi volti a una rilettura della nostra storia più recente. Perché la convinzione che li sostiene è che le spiegazioni del declino italiano – un declino ormai innegabile persino anche per i più inguaribili ottimisti – vadano ricercate anche (se non soltanto) nella trasformazione politica, culturale, economica che, nell’ultimo trentennio, ha modificato il panorana del nostro Paese. Indice: I. Il trionfo dell’edonismo di massa - II. Una foto in Via De Amicis. L’immagine icona degli «anni di Piombo» - III. La democrazia del dolore. A partire da un libro di Giovanni De Luna - IV. La tragedia rimossa. L’immaginario della rivoluzione italiana in «Vogliamo tutto!» di Angelo Ventrone - V. Il lungo riflusso. La mutazione culturale italiana nel “Paese leggero” di Fausto Colombo - VI. Le grandi bugie della Seconda Repubblica. Intorno a «La tela di Penelope» di Simona Colarizi e Marco Gervasoni - VII. I vizi di una democrazia bloccata. La «Prima Repubblica» secondo Giuseppe Bedeschi - VIII. La festa perduta. La storia delle feste dell’Unità in un libro di Anna Tonelli

Ritratti dell'amata. L'amore dipinto nella polifonia del XVI secolo, a cura di Marco Berrini e Claudia Terribile, BMM, 2017.

Il titolo di questa antologia si ispira al libro di Ingeborg Walter e Roberto Zapperi, Il ritratto dell’amata (Donzelli, 2006), che racconta della nascita e dello sviluppo di questo raffinato rituale letterario e sociale che ha intrecciato per secoli arte e letteratura. Gli autori si sono chiesti se in questo stretto rapporto tra arti sorelle non potesse rientrare anche la musica e hanno provato a verificare l’esistenza delle intonazioni musicali delle liriche che nel Cinquecento furono specificamente composte e dedicate al ritratto di una nobildonna. I risultati di quella che si è rivelata una fruttuosa ricerca vengono presentati qui per la prima volta. L’antologia raccoglie tutti brani inediti: dieci madrigali rinascimentali, trascritti dalle originali edizioni a stampa rintracciate in diverse biblioteche italiane ed europee, e due brani contemporanei espressamente commissionati per questo progetto editoriale. I profili di sei dame scandiscono le diverse sezioni del volume, che come in un gioco di scatole cinesi, dà conto della loro straordinaria e sofisticata celebrazione per accumulo - ritratto dipinto, ritratto in versi, ritratto musicale - che a nostra conoscenza non ha mai più avuto un riscontro altrettanto cogente nella storia della cultura occidentale. In tal senso, il ritrovamento e la pubblicazione di queste musiche restituisce la misura della stretta interconnessione di quelli che oggi consideriamo ambiti disciplinari diversi, seppur affini e ci auguriamo che possa promuovere la conoscenza e l’esecuzione di autori quali Perissone Cambio, Paolo Clerico, Rinaldo Del Mel, Nicolò Dorati, Biagio Pesciolini, Orazio Faà, che coprono l’intero arco cronologico del XVI secolo e una vasta area geografica. Claudia Terribile ha curato la ricerca musicologica, iconografica e letteraria e la stesura dei testi; Marco Berrini la selezione, la trascrizione e la revisione delle musiche.

Marco FRATI, La Piazza del Duomo di Pisa: un millennio di miracoli, in Il Duomo di Pisa, a cura di Antonino Caleca, Marco Collareta e Gabriella Garzella, foto di Irene Taddei, Pacini, Ospedaletto 2014, pp. 47-59

I processi di formazione e trasformazione di una piazza del duomo appaiono sovente assai complessi perché su di essa convergono solitamente gli interessi di molti attori. E, quanto più essi tendono a conservare posizioni di prestigio e di rendita, tanto più resistono a una progettazione unitaria sia negli intenti sia nella forma. Pertanto, una piazza monumentale come quella di Pisa va letta come l’esito di un lungo processo dialettico e diacronico i cui protagonisti si esprimono a diverse scale (territoriale, urbanistica, architettonica, decorativa), intrecciandole. Foris Pisa prope ecclesiam Sancte Marie : Prima di tutto Procul haud est edes ab urbe: il Duomo di Guido e Buscheto Assumitur Pisa in locum Rome: il Foro di Villano e Rainaldo Ut arringum et platea ibi sit et fiat: la Piazza di Federico e Giovanni Verso e versus la cristallizzazione

Ritratti dell'amata. L'amore dipinto nella polifonia del XVI secolo, a cura di Marco Berrini e Claudia Terribile, BMM, 2017 (in stampa)

Il titolo di questa antologia si ispira al libro di Ingeborg Walter e Roberto Zapperi, Il ritratto dell’amata (Donzelli, 2006), che racconta della nascita e dello sviluppo di questo raffinato rituale letterario e sociale che ha intrecciato per secoli arte e letteratura. Gli autori si sono chiesti se in questo stretto rapporto tra arti sorelle non potesse rientrare anche la musica e hanno provato a verificare l’esistenza delle intonazioni musicali delle liriche che nel Cinquecento furono specificamente composte e dedicate al ritratto di una nobildonna. I risultati di quella che si è rivelata una fruttuosa ricerca vengono presentati qui per la prima volta. L’antologia raccoglie tutti brani inediti: dieci madrigali rinascimentali, trascritti dalle originali edizioni a stampa rintracciate in diverse biblioteche italiane ed europee, e due brani contemporanei espressamente commissionati per questo progetto editoriale. I profili di sei dame scandiscono le diverse sezioni del volume, che come in un gioco di scatole cinesi, dà conto della loro straordinaria e sofisticata celebrazione per accumulo - ritratto dipinto, ritratto in versi, ritratto musicale - che a nostra conoscenza non ha mai più avuto un riscontro altrettanto cogente nella storia della cultura occidentale. In tal senso, il ritrovamento e la pubblicazione di queste musiche restituisce la misura della stretta interconnessione di quelli che oggi consideriamo ambiti disciplinari diversi, seppur affini e ci auguriamo che possa promuovere la conoscenza e l’esecuzione di autori quali Perissone Cambio, Paolo Clerico, Rinaldo Del Mel, Nicolò Dorati, Biagio Pesciolini, Orazio Faà, che coprono l’intero arco cronologico del XVI secolo e una vasta area geografica. Claudia Terribile ha curato la ricerca musicologica, iconografica e letteraria e la stesura dei testi; a Marco Berrini spettano la selezione, la trascrizione e la revisione delle musiche.

"La settimana del mondo su un metro quadrato di carta": la fotografia in "Il secolo Illustrato" tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta in G.P. Brunetta, C. A. Zotti Minici ( a cura di), " La Fotografia come fonte di storia, Istituto Veneto di ScienzeLettere ed Arti, 2014.

Il settimanale «Il Secolo Illustrato» del 30 luglio 1932 pubblica un lungo articolo di Luigi A. Garrone dal titolo Un giornale in "roto". (La settimana del mondo su un metro quadrato di carta), corredato da numerose fotografie che illustrano il processo di realizzazione del periodico nella tipografia Rizzoli di Milano, dove questo viene stampato. L'articolo, dopo una premessa generale sul processo detto di 'rotocalco' o di 'rotogravure' o di 'rotoincisione' e sul suo uso nei quotidiani e nelle riviste in Europa e in America, chiarisce molto bene i processi di costruzione del settimanale, e più in generale di un rotocalco, e l'importanza che viene data alla fotografia, elemento centrale su cui si costruisce tutto l'impaginato: Il quotidiano deve "informare" il pubblico; il settimanale illustrato lo deve interessare e divertire, documentando e commentando l'attualità con l'immagine fotografica.

Il madorbo. Estratto da Medium Urbis. Duemila anni di storia in riva alla Piave, Sismondi, Treviso 2010.

L'ambiente del Madorbo si delineò più o meno definitivamente all'inizio dell'Età del ferro, e venne abitato per la prima volta presumibilmente dai popoli venetici, giunti dalla Paftagonia, una regione dell'Asia Minore. Essi infatti, attestatisi a Oderzo, solevano piantumare un olmo come gesto bene augurante a ogni nascituro maschio presso i santuari dedicati alle dee dell'acqua, siti secondo i recenti rilevamenti archeologici, nella zona di Ronacadelle e del Madorbo dal fiume Negrisia alla Piave., Tuttavia la zona si sviluppò principalmente in Età Romana, e la componente essenziale di questo sviluppo fu la costruzione di una rete stradale adeguata, che rese i trasporti e le comunicazioni più comode e veloci, efficienti e sicure. La prima strada costruita nel Veneto, e per l'argomento di nostra trattazione la più interessante, fu la via Postumia, realizzata nel 148 a. C. dal console Spurio Postumio Albino, che congiungeva Genova ad Aquileia, passando per Verona e Oderzo. Essa, provenendo da Verona, attraversava la Piave nel punto in cui il greto si restringeva a causa della riunione dei due rami, la cui scissione poco più sopra ha dato origine alle odierne "Grave di Papadopoli". Il guado in quel tratto doveva essere probabilmente agevolato dalla presenza di un traghetto, e proprio nel punto in cui le genti dovevano sbarcare sulla Sinistra Piave, Gino Gaiotto ebbe la fortuna di rinvenire pali e assi di legno, riaffiorati durante i lavori di consolidamento degli argini nel 1990. La tabula Peutingeriana è un apografo di un originale risalente al 222 d. C., al tempo cioè dell'Imperatore Alessandro Severo. Secondo il De Bon, la Postumia "arriva a Postioma (…) vien tagliata a Oriente di Villorba dalla Ongaresca. Siamo già al Piave. Il tracciato si arresta tra Case Folina (che sarà centro focale durante la Grande Guerra, come vedremo) e Case Ferrari (siamo a Candelù). Lo sorpassa (la Piave), a Borgo del Molino, continua la sua corsa in direzione di Oderzo, la romana Opitergium". Borgo del Molino è una località posta tra il Madorbo e Roncadelle, di cui odiernamente si lega il nome al bar omonimo. Ma vediamo altri studiosi, come il Bosio ad esempio: "la via Postumia perveniva quindi al corso del Brenta, l'antico Meduacus, da dove ha inizio il lunghissimo rettifilo che, attraverso l'alta pianura del Veneto centrale, raggiunge il Piave ai Ronchi di Maserada, presso Roncadelle, per continuare poi verso Oderzo". Dopo questa citazione (errata visto che Roncadelle e Maserada sono su due sponde opposte del fiume, ci soccorre il Rosada, che concorda sostanzialmente con il Bosio nel ritenere un errore di calcolo il computo delle miglia sulla Tabula: "passato il Piave (attraversato secondo il Rosada ai Ronchi di Maserada), la strada continua con buona evidenza sul terreno fino a Roncadelle e Faè a sud ovest di Oderzo". Ho sottolineato la frase "…fino a Roncadelle" perché essa significa che già da prima di entrare nella frazione ormellese il tracciato della Postumia è evidente, e noi sappiamo, che prima di entrare a Roncadelle arrivando dal grande fiume, c'è proprio il Madorbo. Ma com'era esso all'epoca? Con certezza, ormai lo abbiamo visto tutti concordano nell'individuare in questa zona il guado che collegava i due tratti della Postumia romana, ma ancora non sappiamo com'erano questi luoghi nel periodo della costruzione della strada. Secondo Jacopo Bonetto, la strada fu portata a "raggiungere e guadare i due principali fiumi, Brenta e piave, in punti strategici del loro corso, dove l'alveo ancor oggi, perde la sua fisionomia a bracci anastomizzati e le acque si riuniscono in un unico braccio che mantiene ancora una modesta profondità", e ritenendo che questa fosse la situazione del tratto plavense tra Candelù e il Madorbo, propone il tracciato, che la Regione Veneto con la legge-vincolo 8 agosto 1985 n. 431, ha vincolato in quanto il tratto dell'attuale strada provinciale ricalca il tracciato dell'antica Postumia dal guado del Madorbo alla località Tre Piere di Oderzo, e più precisamente dal "tratto Fornace di Calce-Ponte Tre Piere (cioè dalla fornace Bortot al ponticello che segnala l'ingresso in Faè arrivando costeggiando la Bidoggia). Il percorso è testimoniato dalla strada provinciale nel tratto Fornace di Calce-C.S. Sirnone e dal letto del canale Bidoggia nel tratto C.S. Sirnone fino al Ponte Tre Piere." Il tracciato appena descritto, lo si può vedere nella figura che segue, con le doppie frecce a indicare il punto di passaggio del traghetto:

Luca Beltrami, Maura Ponti Dal Pozzo d’Annone e la statua di Sant'Ambrogio sulla torre del Filarete, in "Annuario dell'Archivio di Stato di Milano" 2016, pp. 235-247

Annuario dell'Archivio di Stato di Milano, 2016

L'articolo ricostruisce le vicende che portarono la marchesa Maura Ponti Dal Pozzo d’Annone a finanziare la realizzazione della nicchia, della statua di S. Ambrogio e degli stemmi viscontei dipinti sulla torre del Filarete del castello sforzesco di Milano. Luca Beltrami fu contattato dalla marchesa per una visita alla villa di Oleggio Castello, dove lei ed il primo marito Claudio Dal Pozzo avevano raccolto frammenti lapidei viscontei per abbellire la dimora che avevano ricostruito in stile gotico inglese. La nobildonna voleva donare un pezzo della collezione per contribuire all’opera benemerita intrapresa da Beltrami e dare un segno tangibile della partecipazione della famiglia Dal Pozzo in occasione del matrimonio del figlio Bonifacio con Antonietta Lurani Cernuschi. Beltrami rimase colpito da una testa che riconobbe come quella della statua quattrocentesca di S. Ambrogio che un tempo era posta sulla torre del Filarete, e la famiglia Dal Pozzo decise di offrirla per la torre «sia per ridonare alla torre un pezzo autentico, sia per fare cosa grata a Lei [Luca Beltrami], a cui, come tutti i milanesi, dobbiamo una riconoscenza illimitata». A seguito di una attenta riflessione, Beltrami preferì optare per un rifacimento e la marchesa Dal Pozzo si offrì di pagare interamente l’opera, costata 9500 lire. La documentazione relativa è conservata ancor oggi nell’Archivio Dal Pozzo d’Annone, comprese le ricevute delle maestranze che lavorarono: dallo scultore Luigi Secchi, al modellatore Carlo Campi, dalla fabbrica di arredi sacri Andreoni e Franceschini al pittore Ernesto Rusca.