Immigrati e autoctoni nel lavoro autonomo. Una comparazione tra paesi Europei (paper presentato convegno AIS ELO 2012) (original) (raw)

Cosenza, 27-28 settembre 2012 1. Introduzione: tre dimensioni di analisi poco esplorate La letteratura internazionale sulla diffusione del lavoro autonomo tra gli immigrati è vastissima e il tema è stato oggetto di studio anche in Italia, dove negli ultimi anni si è verificato un aumento molto rapido del numero di titolari d'impresa nati all'estero. Tuttavia, come mettono in luce alcuni autori (Rath e Kloosterman 2000; Codagnone 2003; Jones e Ram 2007), raramente le analisi sul lavoro autonomo degli immigrati mettono a confronto le loro caratteristiche con quelle dei lavoratori autonomi autoctoni, in alcuni casi rifacendosi in modo a-problematico a supposti caratteri "etnici" delle attività dei primi (Zanfrini 2008). D'altra parte gli studi sul lavoro autonomo spesso tendono a trascurare del tutto o considerare solo marginalmente le differenze esistenti tra autoctoni e immigrati, sebbene in molti paesi questi ultimi rappresentino una quota consistente dei lavoratori indipendenti. Questo paper si propone di cominciare a colmare questo vuoto, muovendosi tra due filoni di letteratura molto ampi e con pochissimi punti di contatto e utilizzando i dati Eurostat per mettere a confronto le caratteristiche dei lavoratori autonomi immigrati e autoctoni in cinque paesi europei. Accanto al confronto tra stranieri e nativi, le differenze tra contesti nazionali, pertanto, rappresenteranno la seconda dimensione comparativa di analisi. Anche questa risulta ad oggi poco esplorata. Come è noto, l'incidenza del lavoro indipendente sul totale dell'occupazione non è eguale in tutti i paesi dell'Europa a 15 ma è particolarmente elevata in Italia, dove nel 2008 poco meno di un quarto dell'occupazione extra-agricola si concentrava nel lavoro indipendente, e registra valori sopra la media OECD (14%) anche in Grecia, Spagna e Portogallo, mentre in Francia e Danimarca è sotto il 10% (Pedersini e Coletto, 2010). Si tratta di differenze ampie che tuttavia non vengono praticamente mai prese in considerazione dagli studi sull'ethnic business, i quali si concentrano