E. Scarton, F. Senatore, Parlamenti generali a Napoli nell’età di Alfonso e Ferrante d’Aragona, 2013 (original) (raw)
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A prescindere dalla posizione che ciascuno ha espresso in una lunga ed accesa campagna referendaria, è impossibile negare che l’esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 segni un momento assai importante nell’evoluzione delle istituzioni italiane. Non soltanto perché il processo volto a riformare la seconda parte della carta costituzionale, avviatosi sin dagli anni Ottanta, è destinato a subire un momento di arresto, ma soprattutto perché viene meno l’alibi della mancata revisione del bicameralismo paritario rispetto ai processi di autoriforma delle due Camere e della stessa forma di governo. Come da tempo si era osservato, le difficoltà incontrate nella revisione del bicameralismo paritario – del quale pressoché tutti si dichiarano, non da oggi, insoddisfatti, ma sulle cui linee di riforma è arduo raccogliere un adeguato consenso – hanno rappresentato un ostacolo oggettivo sia rispetto a coerenti ed equilibrati percorsi riformatori di altre questioni costituzionali, al bicameralismo inestricabilmente connesse (il sistema delle autonomie; la forma di governo), sia rispetto ad altre innovazioni istituzionali relative al Parlamento (i regolamenti di Camera e Senato; le leggi elettorali). Venuto meno questo alibi, si tratta ora di operare, a Costituzione invariata, quelle innovazioni necessarie, da un lato, a rendere efficaci e funzionanti i procedimenti parlamentari, ponendo rimedio ad alcune criticità palesatesi negli ultimi decenni (per tutte, il “transfughismo” parlamentare e la crisi del procedimento legislativo ordinario), e, dall’altro, ad approntare una legge elettorale conforme a Costituzione e idonea a stabilizzarsi nel tempo. Una legge elettorale in grado di fornire al sistema partitico un quadro di riferimento non volatile e tale da consentire di recuperare il rapporto con gli elettori, dopo i danni derivanti dalla reiterata applicazione di una legge elettorale votata solo da una parte politica e poi dichiarata in contrasto con la carta fondamentale; e dopo che la Corte costituzionale ha colpito parti significative della legge elettorale approvata dalla parte politica opposta ancor prima che questa trovasse applicazione. Il compito non è facile, specie a ridosso di un nuovo appuntamento elettorale che potrebbe indurre a guardare solo ad interessi contingenti, mentre sarebbe necessario pensare ad equilibri istituzionali di lungo periodo. La sconfitta più dura per la politica, una vera e propria abdicazione, sarebbe quella di non riuscire ad elaborare un nuovo sistema elettorale e ad affidarsi supinamente agli esiti della sentenze della Corte. L’esigenza di un’autoriforma della rappresentanza parlamentare è infine rafforzata da un paio di elementi di carattere più generale: per un verso, dal profondo mutamento del sistema partitico, che si caratterizza – dopo decenni ispirati ad una sostanziale stabilità nella distribuzione dei consensi – per una forte volatilità elettorale; per altro verso, dalla stagione critica che gli istituti della democrazia rappresentativa stanno vivendo, in Italia ma non solo, di fronte alle sfide esistenziali poste da internet e dai movimenti populisti. I contributi raccolti in questo Quaderno, predisposti da studiosi – di varie provenienze e generazioni – e da consiglieri parlamentari, hanno appunto l’obiettivo di agevolare un percorso siffatto: proponendo chiavi di lettura spesso diverse, se non opposte, come è giusto che sia in momenti di svolta e di trasformazione. Alla base del Quaderno non vi è una comune linea di riforma, ma proprio questo rappresenta un elemento di ricchezza, in una fase in cui si tratta di ridefinire gli obiettivi e gli strumenti. Del resto, anche gli stessi curatori, nei loro studi e nelle vicende legate alle ultime revisioni costituzionali, hanno in più occasioni espresso, su taluni di questi nodi, opinioni tutt’altro che convergenti (e, a loro volta, non tutte necessariamente coincidenti con quelle del maestro del diritto parlamentare, che sentitamente ringraziano per aver contribuito con un denso post-scriptum). Tuttavia, entrambi si augurano che la spinta riformatrice possa ora riattivarsi, per il bene di un’istituzione parlamentare che è oggetto di attacchi spesso confusi e a volte ingiusti, ma che qualche responsabilità finisce per avere se non è in grado di stare al passo con i tempi e se elude il tema del suo rinnovamento, cercando costantemente nuovi alibi per giustificare la permanenza dello status quo.
I Parlamenti del regno di Sardegna
Sardegna Catalana, 2014
Historiographic and bibliographic review of all the initiatives promoted around the edition of the acts of Parliaments of the Kingdom of Sardinia from the 80s to today
F. Senatore, F. Montuori, Discorsi riportati alla corte di Ferrante d'Aragona, 2009
(con F. Montuori), Discorsi riportati alla corte di Ferrante d’Aragona, in Discorsi alla prova, Discorsi pronunciati, discorsi ascoltati: contesti di eloquenza tra Grecia, Roma ed Europa, a cura di G. Abbamonte, L. Miletti, L. Spina, Napoli 2009, pp. 519-577
Come parlava un sovrano italiano nel XV secolo? Come erano riferite le sue parole dagli ambasciatori, professionisti della mediazione politica e della scrittura cancelleresca? A queste domande si tenta di rispondere in questo saggio interdisciplinare, mettendo a confronto le lettere autografe (in volgare italiano) di Ferdinando o Ferrante I d’Aragona, re di Napoli (1458-94), con il testo secondario degli ambasciatori accreditati presso di lui, in particolare milanesi. Le lettere autografe del sovrano e i suoi discorsi riportati dagli ambasciatori sono stati utilizzati, con un buon margine di sicurezza, per indagare sulla sua cultura retorica. Gli enunciati di Ferrante sono risultati fortemente debitori della tradizione dettatoria. Inoltre il confronto sistematico con la corrispondenza tra Napoli e Milano ha consentito di misurare lo scarto delle scelte formulistiche e retoriche di Ferrante rispetto alla norma, misurando l’efficacia comunicativa e politica dei suoi discorsi. Sono state poi analizzate: le influenze della comunicazione diplomatica nella lingua delle lettere del re (valutando quanto l’oralità possa spiegare la persistenza di oscillazioni grafiche, fonetiche e morfologiche e del linguaggio formulare nelle lettere del sovrano); il modo in cui la situazione comunicativa viene riportata nelle lettere degli ambasciatori e in quelle del re; infine i diversi modi di composizione delle lettere in base all’esistenza o meno di una minuta stesa preliminarmente all’elaborazione conclusiva: ciò allo scopo di prevedere un’eventuale porta di accesso preferenziale a tratti propri della lingua parlata, ferma restando la persistenza di caratteristiche di una scrittura formalizzata in modo grammaticalmente, oltre che retoricamente, consapevole. Tale consapevolezza si documenta infine anche nell’importanza che veniva data all’autografia regia
Con gli occhi di Argo. La politica del cardinale Alessandro d'Este dopo la devoluzione (1599-1624) * Alessandro d'Este (1568-1624), figlio di don Alfonso duca di Montecchio e fratello ex patre del duca Cesare, fu creato cardinale da Clemente VIII il 3 marzo 1599 e vestì la porpora fino al 13 maggio 1624, quando si spense, forse a seguito di una febbre contratta durante il conclave che incoronò Urbano VIII. 1 Nel contesto delle Convenzioni di Faenza, gli accordi che regolavano la devoluzione di Ferrara alla Santa Sede e che costituivano di fatto una lacerazione della sovranità e del prestigio estense, s'inserì la nomina di Alessandro al cardinalato. Già negoziata da Alfonso II d'Este e Gregorio XIV Sfondrati, la porpora poteva risarcire solo in parte gli 2. La porpora sarebbe stata concessa allo scopo di distruggere del tutto casa d'Este; così ritiene il cronista Giovan Battista Spaccini, citato in L. von Ranke, Storia dei Papi, vol. II, Sansoni, Firenze 1965, pp. 580-581; Cremonini, Le raccolte d'arte del cardinale Alessandro d'Este, p. 91. Sulla devoluzione di Ferrara vista dalla prospettiva romana e sulla sua importanza nel quadro della politica internazionale cfr. M.T. Fattori, Clemente VIII e il Sacro Collegio. Esautoramento del concistoro ed accentramento di governo 1592-1605, tesi di dottorato, ciclo XII, Università degli Studi di Pisa, 2000, pp. 79-143; M.A. Visceglia, Il contesto internazionale della incorporazione di Ferrara nello Stato ecclesiastico (1597-1598), in Dagli Estensi al governo pontificio.
Il Parlamento napoletano nel sistema imperiale spagnolo
InStoria, 2021
L’organizzazione politica per poter affermare la concentrazione del potere aveva bisogno di gruppi, sudditi che accettassero il principio della sovranità. I sovrani, dal canto loro non potevano governare con la forza, in questo modo non si riusciva a ottenere la fedeltà. La Spagna nel suo schema di governo nel Mezzogiorno d’Italia tra il 1503 e il 1507 si pose il problema di creare consenso, di far accettare la sovranità, di limitare i conflitti, forme di resistenza e forme di integrazione attraverso le quali si è realizzato lo Stato. Il Regno di Napoli, sotto la dominazione spagnola sperimentò tale assetto. I sovrani spagnoli si posero il problema di governare questo territorio attraverso determinate strategie di governi ,legate alle specifiche condizioni del contesto locale del Regno di Napoli. Da un lato gli spagnoli cercarono di dare omogeneità al complesso sistema imperiale, dall’altro cercarono di tener conto dell’assetto politico, istituzionale, giuridico, culturale e dei soggetti o ceti rappresentativi de lterritorio. Ne nacque, un sistema di compromessi, privilegi e un equilibrio fra dominio e consenso che si ruppe solo all’inizio del ‘700.
Focusing on the prodrome stage of the most famous and significant event of the conflict between monarchy and barons in the aragonese Kingdom of Naples, the so-called Grande Congiura (1485-87), mainly with the help of unpublished diplomatic sources from the Archivio di Stato di Milano, this work aims to provide a more detailed reconstruction of the reasons that prompted the main barons to plot and then openly rebel against Ferrante I, as well as to highlight some interesting elements relating to a common political project and a common strategy, both communicative and of territorial development.