Rituali di corte. Il Triclinio dei XIX Letti del Grande Palazzo di Costantinopoli (original) (raw)

Alla tavola di Ippolito II d'Este : Il "sontuoso convivio" in una corte cardinalizia del XVI secolo

Marina Cogotti, June di Schino (a cura di), Magnificenze a tavola : le arti del banchetto rinascimentale, 2012

Si ringrazi:r inolrre jl personale della Soprìntenclerza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per 1e province di Roma, Frosilrone, Latina, Rieti e Viterbo e cli Villa ci'Flste che, a vario titolo, ha contribuito :rlla rcalzzazione della mostra. in copertintt Cont,ito di Giuseppe con i fratelli, panno istori,rto, p::Lrticolare, Palazzct del Quirinale

Modelli filoasburgici, celebrazione dinastica e pietas gonzaghesca nella Pala della Trinità

Ricostruendo Rubens: la famiglia Gonzaga in adorazione della Trinità, atti della giornata di studi (Mantova, Palazzo Ducale, 12 ottobre 2016), Mantova 2017, pp. 29-40

ringrazia vivamente il Comune di Mantova per l'adesione e il sostegno all'iniziativa Il gruppo del Progetto di ricerca ringrazia per la fattiva collaborazione e la squisita accoglienza la Fondazione Magnani Rocca (Mamiano di Traversetolo, Parma) che ha consentito lo studio e la realizzazione della campagna documentaria e diagnostica sul frammento della Pala della Trinità di loro possesso © 2017 Fotografie e fotoriproduzioni su gentile concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova © 2017 Riflettografie Centro Laniac, Dipartimento Culture e Civiltà, Università di Verona Diritti di riproduzione e traduzione riservati © Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova © Universitas Studiorum S.r.l., Mantova A norma della legge sul diritto d'autore e del codice civile, è vietata la riproduzione, totale o parziale, di questo volume in qualsiasi forma, originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa, elettronico, digitale, meccanico per mezzo di fotocopie, microfilm, film o altro, senza il permesso scritto dell'Editore

‘Storia e analisi di un codice di lusso per la corte estense: Belbello da Pavia, Iacopino d’Arezzo e il Barb. lat. 613’, in ‘Forme e storia. Scritti di arte medievale e moderna per Francesco Gandolfo’, a cura di Walter Angelelli e Francesca Pomarici, Roma 2011, pp. 463-477 (Artemide Edizioni)

seconda missiva in cui la rassicura, essendo i fascicoli miniati ormai al sicuro presso di lui: «el messale suo è como el mi fue mandato zioè quella parte l'ho in casa, sì perché la mi comandoe non mi fidasse del Belbello». Subito dopo ne spiega il motivo: «sì perché se doveva mandare quella parte havea uminiato per potere seguire l'opera ad uno modo et mai non fue mandata» 2 . Belbello insiste per avere la parte del Messale già miniata («disse sempre era necessario haverlo tutto, perché vedendo il principiato sapesse como seguitare») 3 . In altre tre lettere indirizzate alla marchesa, Scalona spiega che Belbello ci tiene a miniare il Messale 4 . Tuttavia l'artista non riesce nell'intento e, poco tempo dopo, arriva la fatale notizia della sostituzione con un altro miniatore, Girolamo da Cremona, «un zovene di questa terra el qual minia molto bene» 5 . Che Belbello ritenesse la coerenza stilistica di un'opera un punto di grande importanza si ricava da una lettera inviata nel 1462 alla marchesa di Mantova, nella quale scrive a proposito del lavoro perduto: «haveria habuto caro fusse stato compito tuto de una mano» 6 .

Episodi del tardo barocco “estense” nel Palazzo Bassoli Rangoni Vicini di Modena

Episodi del tardo barocco “estense” nel Palazzo Bassoli Rangoni Vicini di Modena, approfondimento della conferenza tenuta presso UTE, Università della Terza Età di Modena, a.a. 2015-2016

A Modena, Palazzo Bassoli, noto anche come Palazzo Vicini (rua Muro n. 96) possiede sotto vari aspetti spunti di acuto interesse. Intanto, la famiglia da cui prende la denominazione. Colui che lo possiede almeno dal secondo decennio del Settecento è Cesare Bassoli (1649-1719). Non appartiene ai ranghi dell’aristocrazia, ma è un borghese dalle grandi disponibilità finanziarie, imprenditore e mercante di stoffe, sete e granaglie. Ma il suo modello di vita è senz’altro quello aristocratico, a cui mireranno anche i suoi discendenti, e che proprio di questo palazzo faranno uno strumento per la loro ambiziosa e riuscita scalata sociale. Intanto, Cesare senior, ben comprendendo il valore dimostrativo che assume un’importante sepoltura, acquista nel 1689 il patrocinio della cappella del Crocifisso nella chiesa comunale del Voto, rilevandola dai nobili Bellincini eredi dei conti Molza. Cesare si assume l’onere del suo completamento, o meglio del suo rifacimento ex novo, in forma di un monumentale apparato marmoreo, sorta di trasposizione lapidea di una “macchina” effimera. Su suggerimento di Sigismondo Caula (1637-1724), pittore che assieme a Stringa domina all’epoca la scena artistica modenese, Bassoli si affida a due maestri carraresi - Girolamo Vannucci per la parte architettonica e Andrea Baratta, artista assiduo a commissioni ducali, per la parte statuaria e dei rilievi – per erigere il più fastoso altare barocco dell’ultimo Seicento in Modena. Il suo palazzo tuttora conserva episodi di grande interesse per la cultura barocca "estense". Nel piccolo cortile, un fondale di artificiosa natura è dominato da una statua, di grandezza di poco maggiore del naturale, raffigurante Nettuno, il dio marino dal capo coronato e, si presume, un tempo con il tridente nella mano destra; presso di lui, ai lati, due tritoni. Antistante, in origine vi era una fontana di cui rimane il vacuo, circondato da un’antica ringhiera ad aste lanceolate: quasi un piccolo ninfeo in una sorta di giardinetto segreto. Non si esclude un qualche apporto progettuale da parte di Caula, consulente di Cesare Bassoli, il quale, verso l'artista, ha un rapporto amichevole e di mecenatismo. Superato il cortile e proseguendo il percorso dell’androne, si accede allo scalone monumentale, con struttura a forbice, presente in Modena in palazzi come quello dei marchesi Tacoli di piazzale San Domenico, databile alla seconda metà del Settecento. Il prototipo è tuttavia seicentesco, individuabile nello scalone del Collegio San Carlo realizzato su idee progettuali di Bartolomeo Avanzini, l’architetto di Francesco I d’Este. In quanto agli interni, l’inventario del 1719 offre, tra le righe, un ausilio per la ricostruzione dei vani del palazzo e la loro distribuzione, essendo i beni mobili suddivisi per stanze: si schiude così una collezione di dipinti e opere d'arte fra le più sontuose della Modena estense.

Profezia e alchimia alla corte di Gregorio XIII e Sisto V: un carteggio dall'Accademia Carrara di Bergamo_Aevum 89.3 (2015)

2015

SUMMARY: The work focuses on a group of letters held in the archives of the Accademia Car-rara of Bergamo, written from 1578 to 1587 by some familiares of the cardinal Giovanni Giro-lamo Albani (1509-1591). The correspondence shows a deep interest in esoteric matters, such as alchemy and prophecies. At first, the essay deals with the issue of an alchemical recipe. Then, it offers an interpretation of the meaning and the uses of an unpublished prophecy that foresees the imminent death of the pope, nurturing among Albani's entourage the desire to see their master elected. At last, a letter of 1587 mentions two «ancient prophecies», hitherto known as having been published at the end of 16 th century. Thus, the article backdates these texts, and especially reconsiders the hypothesis about the redaction of the famous St. Malachy's Prophecies of the Popes. In general, these letters represent an inner and vivid cross section of the beliefs that characterised the life of the papal court.

'Le cianze de la venuta de l'imperatore'. Tracce, silenzi e fraintendimenti del rito nei carteggi diplomatici e nelle cronache cittadine dell'Italia settentrionale (Studi Trentini di Scienze Storiche - atti convegno 2008)

Il 14 febbraio 1512 la rappresentanza consolare della fidelissima civitas Tridentina indirizzava all'imperatore Massimiliano una supplica per ottenere l'esonero dalle nuove regolari contribuzioni prefissate dal Landlibell del 1511, quelle steore ordinarie e straordinarie che avrebbero poi caratterizzato il vincolo politico-finanziario tra principato vescovile trentino e contea tirolese per tutta l'età moderna. 1 L'atto, sottoscritto da Pietro Alessandrini e Giovanni Costede ("Civitatis et Tridentini populi nuntii") richiedeva, in considerazione delle spese onerose già sostenute, l'esonero dalla nuova steora da 20.000 fiorini, imposta nel novembre 1511 dalla dieta di Innsbruck. Oltre ai gravamina ordinaria, cioè le 'collette' da pagarsi al vescovo due volte l'anno, il mantenimento delle "Custodie Civitatis circa portas et muros et Turrim", la "murorum pontium et viarum reparatio" e la "fluviorum Fersine et Avisii defensio", i rappresentanti del magistrato consolare trentino denunciavano l'impossibilità di assolvere ai gravamina extra ordinaria dilatati dalla lunga guerra e dai flagelli della carestia e della peste. Pur attenuando i toni enfatici di tale tipologia