Il vangelo secondo Yong Sheng di Dai Sijie (original) (raw)
2021, Archivio Teologico Torinese
A distanza di vent’anni dal primo romanzo a cui deve l’inizio della propria popolarità, Balzac e la piccola sarta cinese (Adelphi, 2000), Dai Sijie mette al centro una figura che in quel primo testo appariva come una meteora, quasi nel finale: un pastore protestante, nel bel mezzo della Cina della rivoluzione culturale. E se il pastore della Piccola sarta arrivava come una possibilità di salvezza per i giovani protagonisti, allontanati dalle famiglie borghesi e in rieducazione sui monti, ne Il vangelo secondo Yong Sheng la figura di un pastore assume la statura di protagonista. Nel primo non ha nome né ruolo alcuno nella vicenda principale, perché i giovani lo cercano troppo tardi, quando egli è ormai in fin di vita. Ma di lui si dice l’essenziale: era stato condannato a pulire tutto il giorno la stessa strada dopo il rinvenimento nella sua casa di un libro scritto in una lingua straniera. E poiché il libro in questione era la Bibbia, l’uomo viene costretto a svolgere quel lavoro forzato, anche aggravato dal dileggio dei passanti, bambini compresi. I giovani in rieducazione invece, sebbene non fossero stati iniziati a una formazione religiosa, vedendone qualche tempo dopo la lapide anonima, si ripromettono di ritornare nel cimitero in clima di libertà «per innalzare sulla sua tomba un monumento in rilievo e a colori sul quale sarebbe stato rappresentato un uomo dai capelli argentei sormontati da una corona di spine, come Gesù. Ma le mani, anziché essere inchiodate sulla croce, avrebbero stretto il lungo manico di una scopa» (p. 168).