"Il desiderio schianta e brucia": versi di Saffo in "Schiuma d'onda" di Cesare Pavese (original) (raw)
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Saffo nella tradizione poetica italiana dal Sei all’Ottocento
2014
"La leggenda della Saffo abbandonata e del promontorio di Leucade ha generato (e ancora genera) un immaginario artistico senza confini. Il volume, con occhio alla tradizione letteraria italiana, attraverso un’inedita antologia di componimenti poetici illustra la fortuna moderna di un’icona il cui successo deriva dall’inalterata capacità di suggestionare autori e pubblico."
Eros dolceamaro. Saffo, Lacan e il fantasma del desiderio, in «Comparatismi», 6 (2021), pp. 216-230
Il saggio è incentrato sulla ricezione di Saffo e, in particolare, sulla tradizione che vede la poetessa antica morire suicida per l'amore non corrisposto di Faone. Dopo aver ricostruito i principali nuclei tematici della poesia saffica e le principali tendenze della sua ricezione, lo studio si concentra su due riscritture moderne: il dialogo Schiuma d'onda, all'interno dei Dialoghi con Leucò (1947) di Cesare Pavese, e Sappho, ou le suicide, ultimo componimento della raccolta Feux (1936) di Marguerite Yourcenar. In particolare, attraverso il confronto tra questi testi e la teoria del desiderio sviluppata da Jacques Lacan, si mostrerà in che misura il suicidio della poetessa diviene per i due autori l'occasione per una rappresentazione della natura negativa del desiderio, la cui caratterizzazione mostra un'evidente risonanza con la teoria lacaniana. Così, attraverso la comparazione tra quest'ultima e le due opere, verranno analizzati i più importanti nuclei simbolici condensati intorno alla biografia di Saffo e al suo suicidio.
Postfazione, in D. Campanella, Un re chiamato desiderio, Tabula fati, Chieti 2014, pp. 103-106
INDICE Presentazione di Hans von Steinberg ........................5 UN RE CHIAMATO DESIDERIO I. LA CITTÀ DELL’UOMO..................................................... 11 II. SCAMBIO DI PERSONA .................................................. 17 III. IL FILOSOFO E IL SUO MONDO................................. 23 IV. CAMBIO DI PROGRAMMA ............................................ 33 V. SUL TRENO........................................................................ 45 VI. LA PORTA D’ORIENTE................................................... 55 VII. VERSO ATENE ............................................................... 87 VIII. TROPICO DEL CANCRO ............................................. 91 IX. LA STRADA STRETTA .................................................... 95 Postfazione di Federico Sollazzo ................................103 L’Autore ........................................................................ 107
“Natar giova tra’ nembi”: lo spazio acquatico nell’Ultimo canto di Saffo
Declinazioni dello spazio nell'opera di Giacomo Leopardi. Tra letteratura e scienza, a cura di Antonella Del Gatto e Patrizia Landi, Milano, LED, Collana "Il Segno e le Lettere", 2021
Numerosi, e non affatto casuali, sono i riferimenti all’elemento liquido che punteggiano l’Ultimo canto di Saffo, tanto che Leopardi sembra presentare la dimensione liquida come parte integrante, e perfino necessaria, della bellezza della Natura dalla quale si sente esclusa la poetessa. Una rilettura del canto sotto il segno dell’acqua rivela la coerenza poetica della scelta leopardiana di rappresentare la sua Saffo in uno spazio liquido che si rifiuta a lei. Seppur tramite un gioco di ambiguità fondato su numerosi doppi sensi, l’insistenza del poeta equivale a nostro avviso alla costruzione di un ulteriore livello di significanza del componimento in cui il desiderio di Saffo nei confronti della Natura è espresso come desiderio ed aspirazione alla dimensione liquida. // The references to the liquid element in The Last Song of Sappho are numerous and by no means accidental, to the extent that Leopardi seems to present the liquid dimension as an integral, and even necessary, part of the beauty of Nature from which the poetess feels excluded. A rereading of the canto under the sign of water reveals the poetic coherence of Leopardi's choice to represent his Sappho in a liquid space that refuses to accept her. Even if through a game of ambiguity based on numerous double meanings, the poet’s insistence is equivalent, in our opinion, to the construction of a further level of meaning in the composition in which Sappho's desire for Nature is expressed as a desire and aspiration for the liquid dimension.
L’Ultimo canto di Saffo come risposta a Heroides 15 – Sappho Phaoni
Le mythe repensé dans l’œuvre de Giacomo Leopardi, 2016
come risposta a Heroides 15: Sappho Phaoni Nella breve premessa che precede il manoscritto dell'Ultimo canto di Saffo, oggi conservato nella Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" a Napoli (X. 5, 2), Leopardi designa l'epistola di Saffo a Faone, nelle Heroides di Ovidio, 1 come sua principale fonte d'ispirazione: "Il fondamento di questa Canzoneegli scrivesono i versi che Ovidio scrive in persona di Saffo, epist. 15 v. 31 segg. Si mihi difficilis formam natura negavit etc.". 2 Il poeta allude in particolare ai vv. 31-34, così resi nel 1989 da Gianpiero Rosati: "Se a me la natura ostile 3 negò la bellezza [forma], compensa [repende] la mancanza di bellezza col mio ingegno. Sono piccola [brevis], ma ho un nome che riempie ogni terra: la mia vera altezza [mensuram] è quella del mio nome". 4 Il rinvio a Ovidio può apparirci scontato, dal momento che l'eroide del poeta latino è l'unica fonte poetica antica a noi giunta che insceni l'amore di Saffo per Faone e la sua decisione di spegnere il fuoco della propria passione nelle acque di Leucade, gettandosi in mare dalla rupe che lo sovrasta. Ma può anche meravigliarci, e per due diversi motivi. In primo luogo, Leopardi non è un grande ammiratore di Ovidio, e potrà quindi sembrare strano che scelga una sua lirica come modello. Sin dalle prime pagine dello Zibaldone (p. 21), in un appunto che sarà sviluppato nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (TO, I, p. 936), e ripreso di nuovo più tardi, nel novembre 1821, Leopardi rimprovera al poeta latino una mancanza di naturalezza, una prolissità e un'"affettazione" di stile che tediano presto il lettore: Perché è debole lo stile di Ovidio, e però non molto piacevole, quantunque egli sia un ostinatissimo e acutissimo cacciatore d'immagini? Perché queste immagini risultano in lui da una copia di parole e di versi, che non destano l'immagine senza lungo circuito, e così poco o nulla v'ha di simultaneo, giacché anzi lo spirito è condotto a veder gli oggetti appoco appoco per le loro parti (Zib., p. 2042). Leopardi depreca la verbosità, o come lui dice, l'"intemperanza" di Ovidio. Con gesto longiniano, che Foscolo aveva recentemente reiterato commentando i Sepolcri, 5 le preferisce uno stile conciso e rapido, che concentrando in poche parole una molteplicità di pensieri,