Intellettuali in cucina (BVS, novembre 2018) (original) (raw)

La cucina delle streghe (BVS, ottobre 2021)

In this article, the author analyses, through the reading of various historical texts, the meanings of the expression 'witches' kitchen'. There are at least three objects that the definition includes: first the generally ordinary foods that were consumed during the Sabbath; then those based on disgusting, sacrilegious and monstrous ingredients that witches were accused of preparing and consuming; finally, the 'kitchen' of filters, potions and ointments.

Robert Valgenti e il cucinare come interpretazione

2020

Robert Valgenti e il cucinare come interpretazione: la cucina è arte perché rompe con i codici moderni della percezione visiva? ABSTRACT: In questo paper analizzeremo l'idea della cucina come interpretazione. Cercheremo di mostrare come l'atto del cucinare non si limiti solamente alla preparazione del cibo tramite strumenti o tecniche, ma riguardi da vicino anche questioni temporali, geografiche, storiche e persino politiche. Infine analizzeremo le visioni di due filosofi continentali come Heidegger e Ranciere sull'arte e come le loro idee possano permettere la collocazione della cucina tra le forme artistiche. In questo elaborato cercheremo di analizzare come nel pensiero di Robert Valgenti il cibo possa essere una forma di arte. L'idea che "ogni Chef abbia una impronta digitale culinaria inimitabile e che il cibo da lui preparato costituisca un indice che risale verso il passato" (Druckman 2008 : 15) è il tema che sta alla base della concezione di Valgenti sul cucinare come una forma interpretativa. Che cosa significa riflettere sull'arte della cucina come un atto di interpretazione? E soprattutto come è possibile comprendere tale forma di arte come un atto interpretativo? Robert Valgenti inizia il suo saggio "Cucinare come interpretazione" (2008) proponendoci una definizione della cucina come una "applicazione ai prodotti alimentari di tecniche e procedimenti per renderli più commestibili, nutrienti e gradevoli agli esseri umani" (Valgenti 2014 : 57). Il termine applicazione ci permette di stabilire come il cucinare sia dunque un atto intenzionale di trasformazione di materie prime. L'atto del cucinare di per sé, però, non si limita solamente alla preparazione del cibo tramite strumenti o tecniche, ma si aggancia anche a questioni geografiche, temporali, politiche. Il come, però, il cibo possa entrare a far parte della categoria delle belle arti rimane ancora oggi una incognita pressante e questo perché anche nella contemporaneità permane quella gerarchia tradizionalmente istituita che intende porre una distinzione tra i sensi di distanza come l'udito e la vista e i sensi di prossimità come il gusto e l'olfatto. Inoltre, viste le enormi possibilità nate negli anni circa il dove poter mangiare il cibo, dai ristoranti stellati alle osterie, dalle bancarelle in una fiera ai supermercati, diviene ancora più problematico affermare che tutte queste esperienze possano essere esperienze artistiche senza far cadere il concetto di arte in un vuoto di senso. La domanda che Valgenti si pone e che noi cercheremo di analizzare in questo paragrafo riguarda il "cosa è che distingue l'arte dalle altre forme di produzione umana?" (Valgenti 2014 : 58). Questa domanda sarà fondamentale per capire quando sia possibile, secondo questa teoria della cucina come atto interpretativo, conferire lo statuto di arte alla produzione alimentare. Per rispondere a questa domanda ci serviremo di due filosofi fondamentali nella tradizione continentale: Martin Heidegger e Jacques Ranciere. Heidegger nel suo "L'origine dell'opera d'arte"

Cucinare senza senso. Spazialità e passioni in Masterchef

Studi culturali, 2013

A Masterchef 1 non si mangia, non si sta a tavola, non si beve un bicchiere di vino. In una tale tripla negazione, tanto taciturna quanto essenziale, è inscritto il senso di questa macchina da guerra gastronomico-spettacolare, il cui successo è inversamente proporzionale alla perdita di cultura del cibo che caratterizza, nel bene come nel male, la nostra epoca. Vorrei esser chiaro: a me la trasmissione piace, mi ci diverto, e credo che tecnicamente sia, appunto, un meccanismo mediatico perfetto. Da una parte dribbla con astuzia le centinaia di trasmissioni sulla cucina che popolano i palinsesti televisivi di mezzo mondo, puntando su quei generi pop che sono il reality e il talent show (l'opposizione Cracco vs Parodi è stata colta lo scorso anno da Fabio Fazio, che li ha invitati insieme a Che tempo che fa). Dall'altra fornisce a questi format ipersperimentati tutto quell'insieme eteroclito di contenuti che proviene dal mondo della gastromania contemporanea: dall'esaltazione eroica dei cuochi al principio un po' nerd del piatto assoluto, dalla retorica kitsch della presentazione pseudoartistica delle pietanze all'ideologia becera del rimboccarsi le maniche pur di far strada fra le stelline delle Michelin e dei loro avatar (ballare è come cucinare, cantare è come impiattare). D'altra parte ancora, seguendo le strategie del marketing crossmediatico, questo prodotto televisivo riesce perfettamente a declinarsi su numerose altre piattaforme, dalle varie trasmissioni di supporto alle app per telefonini, dai ricettari che invadono gli scaffali delle librerie alle biografie dei giudici/cuochi che ne glorificano le gesta, giù giù sino al più banale merchandising griffato. MC è un brand, ed è felice di esserlo. 1 Il talent show Masterchef [d'ora in poi: MC] circola nelle televisioni di tutto il mondo ormai da più di vent'anni, ma è in questi ultimi che si è diffuso quasi capillarmente per ogni dove, arrivando da un paio di stagioni anche in Italia. Notizie sul programma possono trovarsi facilmente in rete, già a partire da Wikipedia, in cui viene illustrata la sua diffusione nelle varie nazioni [http://it.wikipedia.org/wiki/Master-Chef ] e le regole fondamentali del gioco [http://it.wikipedia.org/wiki/MasterChef\_Italia\]. Nel sito di sky. it tutte le informazioni necessarie per l'edizione italiana [http://masterchef.sky.it/\].