Traduzione, imitazione e riscrittura nei “Canti” di Leopardi (original) (raw)
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Osservazioni sui "Canti" di Giacomo Leopardi
2016
Il libro analizza i Canti di G. Leopardi, soffermandosi sui nessi tra la sua poetica, le riflessioni dello Zibaldone e la sua biografia, tratta principalmente da un'analisi dell'epistolario.
Commento ai Canti di G. Leopardi.pdf
Ad Angelo Mai, quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica 11 Bruto minore 21 Alla primavera, o delle favole antiche 30 Ultimo canto di Saffo 36 Il primo amore 42 Il passero solitario 47 L'infinito 53 La sera del dì di festa 63 Alla luna 67 Il sogno 70 La vita solitaria 77 Alla sua donna 83 Il risorgimento 87 A Silvia 95 Le ricordanze 103 Canto notturno di un pastore errante dell'Asia 115 La quiete dopo la tempesta 126 Il sabato del villaggio 131 Il pensiero dominante 138 Amore e morte 147 A se stesso 153 Aspasia 155 Palinodia al marchese Gino Capponi 164 Il tramonto della luna 176 La ginestra o il fiore del deserto 180 Bibliografia 197 Premessa Queste riflessioni sui Canti di Giacomo Leopardi non hanno pretese di scientificità, né intendono porsi quale meditato e maturo contributo critico. Esse nascono da una mia personale lettura dei Canti (o meglio, di alcuni di essi), e si pongono perciò come contributo individuale, ma sentito, alla conoscenza di questo autore. È un tentativo di dar voce a Leopardi stesso, sia leggendo le sue poesie, sia le sue opere, tra le quali spicca lo Zibaldone, che è il contraltare degli altri scritti da lui composti. Per questo, alla riflessione sui Canti accompagnerò spesso ampi stralci dello Zibaldone e, in misura minore, delle Operette morali; non si tratterà di citazioni estrinseche, bensì della volontà di dar conto del continuo gioco di rimandi tra i testi in versi e quelli in prosa. Sovente, infatti, le pagine del "diario" di Giacomo contengono, in forma più ampia ed esaustiva, temi e pensieri che sono alla base delle sue composizioni poetiche. Naturalmente ho cercato di tenere presenti alcuni contributi critici di rilievo, per evitare il rischio di "lanciarmi" in interpretazioni azzardate e senza senso. Credo infatti sia impossibile trascurare del tutto tali studi, peraltro sterminati, sulla poesia e sul pensiero di Leopardi. Tuttavia, come ho accennato all'inizio, non sarebbe stata possibile, né era mia intenzione condurla a termine, una ricognizione di tale immensa mole di analisi letterarie. Spero che chi leggerà potrà gradire la genuinità delle parole, l'abbondanza di citazioni in versi e il continuo gioco di rimandi con lo Zibaldone. Qualunque inesattezza e imprecisione non sarà dovuta alla volontà di affermare qualcosa di inedito sulla poesia di Leopardi, bensì solo a disattenzione e umana distrazione. Non ho commentato tutti i Canti, ma ho cercato di scegliere quelli che, per tradizione e conoscenza consolidata, risultano i più rappresentativi della sua produzione poetica. Si tratta perciò di una scelta personale, tesa a mostrare quale sia stata l'evoluzione della poesia di Leopardi, sia in relazione alla sua autobiografia, 11 W. Binni, Leopardi. Scritti 1964-1967 Durante il soggiorno romano, Leopardi scrive una lettera al fratello Carlo il 15 febbraio 1823, dove dice: "Venerdì … fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e unico piacere che ho provato in Roma. … Tu comprendi la gran folla di affetti che nasce dal considerare il contrasto tra la grandezza del Tasso e l'umiltà della sua sepoltura". Cfr. altresì lo Zibaldone a p. 141. 13 Nella lettera a Pietro Giordani del 21 marzo 1817 per esempio si legge: "Io ho grandissimo, forse smoderato e insolente desiderio di gloria".
Letteratura italiana Einaudi Canti di Giacomo Leopardi
Il conte Giacomo Leopardi (al battesimo Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi; Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837) è stato un poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle principali del romanticismo letterario; la profondità della sua riflessione sull'esistenza e sulla condizione umana – di ispirazione sensista e materialista – ne fa anche un filosofo di notevole spessore. La straordinaria qualità lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto oltre la sua epoca. Leopardi, intellettuale dalla vastissima cultura, inizialmente sostenitore del classicismo, ispirato alle opere dell'antichità greco-romana, ammirata tramite le letture e le traduzioni di Mosco, Lucrezio, Epitteto ed altri, approdò al Romanticismo dopo la scoperta dei poeti romantici europei, quali Byron, Shelley, Chateaubriand, Foscolo, divenendone un esponente principale, pur non volendo mai definirsi romantico. Le sue posizioni materialiste – derivate principalmente dall'Illuminismo – si formarono invece sulla lettura di filosofi come il barone d'Holbach[4], Pietro Verri e Condillac[5], a cui egli unisce però il proprio pessimismo, originariamente probabile effetto di una grave patologia che lo affliggeva[6][7][8] ma sviluppatesi successivamente in un compiuto sistema filosofico e poetico: « Questo io conosco e sento, / Che degli eterni giri, Che dell'esser mio frale, / Qualche bene o contento Avrà fors'altri; a me la vita è male » (Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, vv.100-104) Il dibattito sull'opera leopardiana a partire dal Novecento, specialmente in relazione al pensiero esistenzialista fra gli anni trenta e cinquanta, ha portato gli esegeti ad approfondire l'analisi filosofica dei contenuti e significati dei suoi testi. Per quanto resi specialmente nelle opere in prosa, essi trovano precise corrispondenze a livello lirico in una linea unitaria di atteggiamento esistenziale. Riflessione filosofica ed empito poetico fanno sì che Leopardi, al pari di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche e più tardi di Kafka, possa essere visto come un esistenzialista o almeno un precursore dell'Esistenzialismo.