Recensione: Anna Sarfatti, Pane e ciliegie. Israel Kalk, l’uomo che difendeva i bambini ebrei (original) (raw)
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Studi Slavistici, 2020
A. Salomoni, Le ceneri di Babij Jar. L'eccidio degli ebrei di Kiev, Il Mulino, Bologna 2019, pp. 350. Nell'agosto 2015, accanto alla Piazza Rossa di Mosca, dimostranti dell'estrema destra orto-dossa russa hanno distrutto alcune opere dello scultore Vadim Abramovič Sidur esposte nel Museo "Manež". Erano un oltraggio per la sensibilità dei fedeli, ha detto il leader della protesta. L'episodio, certo non l'ultimo né il primo di una lunghissima catena di atti simili, è una buona introduzione al volume di Antonella Salomoni Le ceneri di Babij Jar, che in copertina riporta proprio un'im-magine della scultura di Sidur La formula del dolore. Vi è ben riconoscibile l'impronta dell'artista, caratterizzata da una possente stilizzazione quasi grafica, che solo a un secondo sguardo rivela una figura umana sofferente. Sidur (1924-1986) era russo, era ebreo; soldato dell'Armata Rossa, era stato orribilmente sfigurato in guerra. Dal 1950 fino all'avvento della perestrojka le sue opere non sono mai state esposte e, una volta rese accessibili al pubblico, hanno suscitato (anche) scandalo e atti van-dalici. Quale migliore sintesi per questo volume che, dedicato come già altri studi di Salomoni alla rimozione della memoria ebraica dalla storia sovietica e russa, si caratterizza anche per la riflessione e l'accurata documentazione delle forme artistiche memoriali, che, dalla letteratura alla musica alle arti grafiche e scultoree, hanno sfidato l'oblio imposto e sono riuscite, almeno in parte, a "riconqui-stare" lo spazio contaminato, secondo la celebre definizione di Martin Pollack, di Babij Jar. Il volume è diviso in sei capitoli, con un'ampia Introduzione all'evento, e un breve, particola-re, Epilogo. Nell'Introduzione la documentazione sulla strage e sui suoi prodromi è confortata da una serie di testimonianze, come quella dell'artista ucraina Irina Chorušunova, che per la qualità della scrittura e dell'impegno etico ricordano le note diaristiche di Zofia Nałkowska di fronte alla catastrofe del ghetto di Varsavia. "No-scrive Chorušunova il 2 di ottobre 1941 (la strage fu com-piuta dal 29 al 30 settembre)-, non li uccidono, li hanno già uccisi. Tutti, senza distinzione, vecchi, donne, bambini. Anche quelli che lunedì sono tornati a casa, sono stati fucilati […] Siamo costretti a crederci, visto che la fucilazione degli ebrei è un fatto. Un fatto per il quale noi tutti cominciamo a uscire di senno. Non è possibile vivere nella consapevolezza di tutto questo. […] Ma noi viviamo ancora. E non capiamo perché" (pp. 36-37). Questi e altri scritti di testimoni sembrano indicare che, mentre in Polonia, con particolare vigore nel periodo fra le due guerre, l'antisemitismo aveva innalzato dei muri quasi invalicabili fra i polacchi e gli ebrei prima che lo facessero i nazisti, nella regione di Kiev l'antisemitismo e l'indifferenza nei confronti del destino ebraico si sarebbero diffusi e radicati in particolare negli anni successivi alla pur relativamente breve, ma rovinosa, occupazione nazista (dal 19 settembre 1941 al 6 novembre 1943). "Il bolscevismo ha gradualmente indebolito gli istinti antisemiti dei popoli dell'Unione Sovietica. Dobbiamo, per così dire, ricominciare da capo": così annotava nel suo Diario, il 19 ottobre 1941, Joseph Goebbels, che di antisemitismo se ne inten-deva (p. 39).
Gnilka Joachim, I nazareni e il Corano (Studi biblici, 168), Paideia, Brescia 2012, p. 153, ISBN 978-88-394-0824-2, € 16,50. La mole del libretto del noto neotestamentarista J. Gnilka è inversamente proporzionale all'interesse della tesi dell'autore. In questo studio egli intende dimostrare come le origini dell'Islam abbiano più legami con un certo cristianesimo delle origini di quanto comunemente si pensi. In particolare, studiando soprattutto le sure 2, 3 e 5 del Corano, che parlano di Gesù, della madre, la vergine Maria, e della "gente del Libro", con cui s'intendono i nasārā, cioè i nazareni o cristiani, Gnilka giunge ad una tesi di estremo interesse. Il Corano originario avrebbe tra le sue fonti l' Antico Testamento, la sua trasmissione in tradizioni giudaiche e in misura minore il Nuovo Testamento che si può far coincidere quasi esclusivamente con il vangelo di Matteo, cioè uno scritto giudeo-cristiano, con esclusione della letteratura paolina. Il Corano, quindi, e la fede islamica originaria si rifarebbero ad una corrente del cristianesimo primitivo che Gnilka pensa di poter identificare con un partito presente al raduno degli apostoli di cui parla Atti 15, che sarebbe stato ancor più rigido del "partito" di Giacomo e che in pratica avrebbe perso la battaglia in difesa della necessità di attenersi alla Torà giudaica e alla circoncisione pur professando la fede cristiana. I membri di tale gruppo minoritario sarebbero inoltre da identificare con quei falsi fratelli di cui Paolo parla nella lettera ai Galati (cf. 1,6-8) e nella seconda ai Corinzi al c. 11 (cf. v. 13). Ad ogni modo, essi nella loro dispersione avrebbero continuato la loro tradizione in certo qual modo settaria rispetto allo stesso giudeo-cristianesimo e si sarebbero stanziati in un territorio nel quale secoli dopo Maometto potrebbe aver avuto del cristianesimo una concezione proveniente dal gruppo in questione. In definitiva, la grossa domanda che Gnilka arrischia fin dall'inizio con molto pudore è la seguente: «L'islam è nato da ANTONIANUM 1-2015.indd 217 25/02/15 17.05 Recensiones 218 una scissione all'interno del cristianesimo?» (p. 15). Egli non risponde affermativamente, ma tutto il suo studio mira a mostrare e dimostrare che un filo rosso lega il movimento eterodosso giudeocristiano all'origine dell'Islam. A tal fine articola il suo lavoro in tre parti, anche se i capitoli di cui esse si compongono s'intersecano in qualche modo tra di loro. Nella prima egli analizza quel che il Corano dice circa Gesù e i "nazareni". Da sottolineare l'interessante secondo capitolo: nazareni, nazorei, cristiani, dove viene analizzato con chiarezza il rapporto tra questi tre termini. Nella seconda parte, invece, Gnilka pone l'attenzione su quelle parti della Bibbia che possono aver influenzato il Corano. Come si è detto, quel che si ricava è l'aggancio prioritario all' Antico Testamento e alle tradizioni giudaiche; per il Nuovo Testamento, il giudeocristiano vangelo di Matteo fa la parte del leone (cf. Mt 5,17-19). La terza parte dello studio, infine, che è in realtà la conclusione del libro, getta uno sguardo attento alle iscrizioni della Cupola della Roccia a Gerusalemme per ricavarne delle conseguenze nuove e sotto certi aspetti sorprendenti. Gnilka si rifà in particolare allo studio di C. Luxenberg, «Neudeutung der arabischen Inschrift im Felsendom zu Jerusalem», in K.-H. Ohlig-G.-R. Puin, Die dunklen Anfänge: Neue Forschungen zur Entstehung und frühen Geschichte des Islam, Berlin 2005, 124-147 e ne cita l'oggetto centrale del saggio. Là dove l'iscrizione sulla parete interna delle arcate viene letta come: «Muhammad è il servo di Dio e il suo inviato», si dovrebbe invece leggere come «Da lodare (sia lodato) il servo di Dio e il suo inviato».
La ricostruzione storica della persecuzione antiebraica nell’Italia fascista ha dovuto fare i conti sin dagli albori con una diffusa attitudine a minimizzare l’antisemitismo che, con gradazioni diverse, ha accompagnato il Ventennio. Nello specifico, la storiografia ha dovuto affrontare una tendenza a sottovalutare pregiudizi e orientamenti antiebraici nella società e nella cultura italiana; a oscurare il complesso percorso dell’antisemitismo fascista; a leggere l’alleanza con la Germania di Hitler come se quest’ultima non fosse costitutivamente votata alla persecuzione degli ebrei; a ridimensionare la collaborazione della Repubblica di Salò alla Shoah nazista. Ciò ha comportato l’insorgere di inciampi alla comprensione e deragliamenti nella ricostruzione. Il loro superamento ha costituito per gli storici un cimento suppletivo, tuttora in corso. Il libro ha per oggetto otto di questi inciampi e deragliamenti.
2016
Il contributo intellettuale di Gaetano Cipolla è unico e insostituibile, se non altro per via del suo instancabile lavoro sul siciliano, una lingua presa non molto in considerazione in Italia anche se non del tutto o non sempre sconosciutauna lingua che, fatta eccezione per alcuni importanti focolai di resistenza nell'Isola, è costretta a chiedere asilo altrove. Stabilitosi a New York da più di sessanta anni, Cipolla dirige da decenni la rivista Arba Sicula e si dedica alla stesura di varie pubblicazioni per la casa editrice Legas. Ora, sia che si tratti di testi accademici, di narrativa o di poesia, la rivista che Cipolla dirige, come anche buona parte delle opere che egli pubblica, presentano generalmente un testo in siciliano con la versione inglese a fronte. La semplice giustapposizione di questi due idiomi assume un significato politico non trascurabile, perché si salta a piè pari l'italiano, lingua cui è normalmente affidato il monopolio della mediazione tra lingue straniere e soggetti di origine italiana. Per certi versi, questa scelta si riallaccia alle pratiche ed esperienze di intere generazioni di migranti siciliani negli Stati Uniti, che imparavano l'inglese a partire dal siciliano scavalcando del tutto qualsiasi competenza formale dell'italiano standard: in questo senso, l'accostamento del siciliano all'inglese articola, riscatta e nobilita una storia multigenerazionale di diaspore la cui memoria, almeno in Italia, è relegata all'oblio più totale, e infatti non è un caso che iniziative come quella di Arba Sicula non esistano in territorio nazionale. Inoltre, io vedo in questa assenza dell'italiano un esempio di ciò che Walter Mignolo definisce epistemic delinking ("Epistemic Disobedience, Independent Thought and De-Colonial Freedom", Theory, Culture & Society 26:7-8, 2009), ovvero l'affrancamento da un ordito di presupposizioni culturali determinate da una situazione di subordinazione coloniale. Si può presumere, quindi, che la comunità siciliana negli Stati Uniti goda di una possibilità di disarticolazione dalla pressione discorsiva della nazione italiana, disarticolazione non sempre accessibile ai siciliani non diasporiciquesto, ovviamente, al netto del peso esercitato sui siculo-americani dall'identità nazionale statunitense e dall'inglese.
2021
EbErhard bons, Patrick PouchEllE, daniEla scialabba (eds.), The Vocabulary of the Septuagint and its Hellenistic Background, «Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament 2. Reihe», Mohr Siebeck, Tübingen 2019, ISBN 9783161530203, pp. 157.
Recensione di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano, Ebraico (EDB 2018)
Kervan, 2019
Recensione di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano, Ebraico, Fondamenta: Biblioteca di Scienze religiose, EDB, Bologna: Centro editoriale dehoniano, 2018, pp. 231, ISBN 978-88-10-43216-7, € 22,50, Kervan 23/1 (2019), 258-9