M. Sonnino: intervista al "Messaggero" 22-06-2012 (original) (raw)

C. Miglio intervista M. Sonnino: Il teatro di Aristofane tradotto in romanesco da Maurizio Sonnino

◾ ◾ Chi siamo ◾ TRAdurre Spazi ◾ Transcodificazioni ◾ Traduzione e ricerca (teoria, storia) ◾ Archivi di traduzione ◾ Riscritture ◾ Schede e letture critiche dal mondo ◾ Articoli, seminari, materiali, convegni da segnalare ◾ Tutte le rotte Cerca Vai Login 25.07.2013 Formato pdf Autore: Maurizio Sonnino Le rotte seguite da questo scritto ◾ TRAdurre Spazi ◾ Decostruzioni e adattamenti ◾ Dislocamenti ◾ Riscritture tra antico e moderno Il teatro di Aristofane tradotto in romanesco da Maurizio Sonnino Maurizio Sonnino (Roma, 1971) è ricercatore di Lingua e Letteratura Greca presso l'Università di Roma 'Sapienza'. Ha studiato il teatro attico del V sec. a.C., con particolare attenzione per i comici greci e per Euripide. Tra i suoi lavori si ricorda l'edizione critica con commento dei frammenti dell'Eretteo di Euripide (M. Sonnino, Euripidis Erechthei quae exstant, Firenze 2010). E' in procinto di pubblicare l'editio princeps di un manoscritto settecentesco contenente la più antica e inedita traduzione di parte del teatro di Aristofane. Si legga QUI l'incipit de La Pace di Aristofane, traduzione in romanesco di Maurizio Sonnino, testo greco a fronte Intervista di Camilla Miglio a Maurizio Sonnino: C.M. Maurizio Sonnino: sei un filologo classico, ti occupi di letteratura greca di solito con taglio scientifico, insegni alla "Sapienza" di Roma. Cosa ti ha spinto a tradurre Aristofane in romanesco? M.S. Si tratta di un esperimento, nato quasi per gioco, alcuni anni fa. Mi ero trovato dinanzi a un'espressione di un comico greco (si trattava di Menandro) che non riuscivo a tradurre in italiano, ma soltanto in romanesco. Mi sono detto allora: "Perché non tutto Aristofane?"Così tradussi il principio della Pace di Aristofane in dialetto romanesco. Tengo a precisare, comunque, che non era mia intenzione né deridere Aristofane, né farmi beffe del dialetto di Roma. Può darsi, certamente, che la mia traduzione faccia ridere e sorridere, ma non ha alcuna finalità triviale, quale si attribuisce purtroppo al dialetto romanesco, che è invece lingua fantasiosa e ricchissima. Io ho usato il romanesco come una lingua, senza finalità maliziose, non diversamente da come avrei fatto se avessi dovuto tradurre Aristofane in italiano o in qualsiasi altra lingua moderna. Per questo anche le didascalie sceniche sono scritte in dialetto. La traduzione del prologo della Pace è poi rimasta 'nel mio cassetto' (in realtà in un file del mio pc) per alcuni anni. Frattanto avevo scoperto che già nel 1794 il giureconsulto romano Filippo Invernizi (benemerito editore di Aristofane) aveva auspicato che un giorno si traducesse Aristofane nella lingua di Roma.

La Repubblica Romana su «MicroMega», 22 febbraio 2018

Lo storico Roberto Carocci ricostruisce nel suo ultimo lavoro -La Repubblica romana. 1849, prove di democrazia e socialismo nel Risorgimento -fasi e passaggi della più grande insorgenza rivoluzionaria nella città di Roma in età contemporanea.

Costanza Lindi intervista Maurizio Soldini

Maurizio Soldini è nato nel 1959 a Roma, dove vive tutt'ora. Insegna Bioetica presso l'Università la Sapienza di Roma. Scrittore, medico e filosofo ha pubblicato numerosi saggi ed articoli scientifici su riviste internazionali. Ha collaborato con il Messaggero, collabora tutt'ora con il quotidiano Avvenire e con diversi blog e riviste letterarie online. Tra le raccolte di poesie abbiamo: Frammenti di un corpo e di un'anima (Aracne, 2006), In controluce (LietoColle, 2009), Uomo. Poemetto di bioetica (LietoColle, 2010, La porta sul mondo (Giuliano Ladolfi Editore, 2011) e Solo per lei. Effemeridi baciate dal sole (LietoColle, 2013).

Sidney Sonnino e la politica estera italiana durante la prima guerra mondiale

La fatalità della guerra e la volontà di vincerla, 2019

La Grande Guerra fu una questione di vita o di morte per la classe politica liberale. Sia al momento dell'ingresso dell'Italia nel conflit-to, sia dopo Caporetto il 'mondo liberale' si divise, ma la spacca-tura tra giolittismo e antigiolittismo non è sovrapponibile a quella tra neutralismo e interventismo: quest'ultimo rappresentò un nuo-vo cleavage che passò non solo all'interno della classe politica, ma nell'intera società italiana. La guerra, inoltre, portò per la prima volta a una nazionalizzazione delle masse, contribuì a innescare un processo di 'emancipazione' delle donne, un grande take over industriale e un significativo pro-gresso tecnologico e realizzò quell'unità territoriale che era un'a-spirazione dei padri fondatori del Risorgimento. Furono risultati che ebbero tuttavia un prezzo molto alto. Le fratture dell'unità na-zionale, che già durante la guerra si erano manifestate, deflagraro-no subito dopo, prendendo forma sociale, politica ed istituzionale. E mutati erano anche i rapporti di forza internazionali. Solo alcuni settori minoritari della classe dirigente liberale avevano presagi-to questi esiti, ma una consapevolezza dei problemi da affronta-re non era maturata. Cosicché, attraverso un complesso processo storico, già avviato dalle vicende della guerra, che sono oggetto delle pagine di questo libro, invece del passaggio dallo Stato libe-rale alla democrazia liberale, si ebbe l'avvento del fascismo. € 20,00 La fatalità della guerra e la volontà di vincerla La fatalità della guerra e la volontà di vincerla Classe dirigente liberale, istituzioni e opinione pubblica a cura di Rossella Pace

Intervista a Franco Fortini

Quaderni d'italianistica, 1990

Questa intervista a Franco Fortini fa parte di una serie di interviste che appariranno nel volume: Di critica di scrittura e. .. Dalla Neo-avanguardia ad oggi (Lecce: Manni, 1990).

Interview in IO DONNA/Corriere della Sera

Biologi in Amazzonia, geologi in Lapponia, ingcgncri chc a 22 anni progettano oleodotti ai confini del pianeta. C'é chi difende le tribü dei Mari del Sud e chi vive nella Cajcnna dellc piattaformc petrolifcre. Sono gli espatriati off limits, giovani professionisti in fuga davvero spericolata ALESSANDRO SANDRIN. Nella foto durañte una spedizione in Lapponia. Lavora all'lstiluto geoiogico danese.

Intervista a Leo Ortolani

Between, 2016

Intervista a Leo Ortolani A cura di Andrea Bernardelli e Marina Guglielmi A.B.-Iniziamo con una domanda facile, facile-come diciamo agli esami, mentre lo studente pensa "sarà facile per te, bastardo!"-, come le è venuto in mente di disegnare una serie di storie incentrate su di "un povero deficiente che va in giro in calzamaglia e con delle orecchie da topo in testa"? O, più seriamente, quale è stato il percorso che l'ha portata a costruire un vero e proprio mondo narrativo seriale, popolato di personaggi ed eventi specifici, intorno a quel personaggio? L.O.-Ah, ma allora non mi leggete Rat-Man Gigante! Male! Che su Rat-Man Gigante ci sono le schede e gli articoli di approfondimento, proprio su questo tipo di argomenti! (pubblicità mode: off) Ma siccome sono un uomo buono, se visto da lontano e di spalle, vi dirò che la serialità di Rat-Man nasce passo, passo, grazie a tutta una serie di eventi fortunatissimi, riducibili sostanzialmente a una sola causa: il fumetto ha avuto successo e ha venduto. E quando un fumetto vende, un fumetto nato con una serie di piccole storie autoconclusive, viene spontaneo chiedersi come continuare a sviluppare questa situazione felice. E dal momento che per me non è reiterando una formula, che si può continuare all'infinito (anche se fior, fiore di serie mi danno allegramente torto, scherzandomi), ho iniziato a sviluppare storie più complesse, a creare un passato, a dare tridimensionalità ai personaggi attraverso storie particolari. In poche parole, a creare un universo, all'interno del quale si potesse sviluppare la vita. E quando hai creato un universo coerente e tridimensionale, ci puoi andare a passeggio tutte le volte che vuoi. Ci puoi vivere dentro. Ti puoi fare raccontare cosa succede dagli stessi personaggi. Con un universo così, la serialità è assicurata. CORE Metadata, citation and similar papers at core.ac.uk Provided by UniCA Open Journals

Intervista ad Angelo Morino

Artifara: Revista de lenguas y literaturas ibéricas y latinoamericanas, 2008

Intervista ad Angelo Morino ILIDE CARMIGNANI Pubblicata per gentile concessione di Alice.it (http://www.alice.it) Com'è nato in lei questo grande interesse per la traduzione, insolito in un accademico? Non lo definirei "grande" e, forse, non si tratta neppure di un "interesse". È stato il frutto di una serie di coincidenze, anche se, negli ultimi anni, mi è tornato il ricordo di un momento che avrà sicuramente avuto la sua importanza, una specie di pezzo di mia preistoria. Ero ragazzino, vivevo in provincia di Torino, negli anni Sessanta, ero piuttosto solitario e leggevo molto. La lingua straniera per me era il francese, ma era anche una lingua familiare: pochi chilometri mi separavano dalla frontiera francese e il dialetto-che non parlavo, ma che sentivo parlare intorno a me-aveva suoni molto vicini al francese, talvolta quasi gli stessi. Ultimamente mi è tornato questo ricordo, il ricordo di un quaderno su cui mi era accaduto di tradurre testi di autori francesi che leggevo in lingua originale e di cui non esisteva la traduzione italiana, oppure, se esisteva, era per me irreperibile. Ricordo di aver pasticciato sul primo capitolo di due romanzi di Emile Zola-Le ventre de Paris e La faute de l'abbé Mouret-e su qualcosa di Violette Leduc. Ovviamente, l'avevo fatto perché questi erano scrittori che amavo molto e tradurli per me significava avvicinarsi un po' a loro. Ma poi, il vero inizio è stato anni dopo. Mi ero trasferito a Torino, studiavo, all'università, non disponevo di molto denaro. Per una serie di circostanze troppo lunghe da riassumere, ancora studente, mi sono ritrovato a poter tradurre un libro dietro compenso. Avevo conosciuto un traduttore dallo spagnolo molto noto allora, adesso scomparso: Enrico Cicogna, nel cui curriculum c'era la versione italiana di Cent'anni di solitudine. Era uno strano personaggio, con certi baffoni da ussaro e un carattere molto difficile, ma era una persona che sapeva fare bene il suo mestiere, anche se ogni tanto-traducendoinseriva pezzi inventati da lui. Comunque, ad affidarmi il primo lavoro fu Enrico Filippini, che allora era da Bompiani e a cui arrivai come uno sprovveduto, sapendo poco del suo importante passato. Ho cominciato a tradurre allora e ho continuato a farlo per molti anni, soprattutto perché avevo bisogno di soldi e quello era un lavoro che non mi costava troppa fatica. Né, del resto, mi allontanava molto dalle mie incombenze di ricercatore all'università, presso la sezione di ispanistica. Dicevano che sapevo farlo bene e, quindi, me lo proponevano spesso. Tutto qui. Quanto al fatto che io lavorassi all'interno dell'università, tradurre è un'attività che non mi ha giovato affatto. Me lo sono sentito dire più volte: sprechi tempo, dovresti fare ricerca, studiare, non sarai mai un vero accademico. Comunque, la ricerca l'ho sempre fatta: ho un fitto elenco di pubblicazioni, fra cui qualche libriccino di cui posso andare abbastanza

Intervista a Taormina Today del 30 ottobre 2016

Intervista sulla candidatura a sindaco di Palermo. Il "possibile" candidato del titolo era dovuto alla volontà di stringere alleanze con movimenti della società civile, che avrebbero potuto portare alla scelta di un nome condiviso. Così non è stato.