Quanto è bello Raffaello? Comprensione storica, giudizio estetico e crisi del canone (original) (raw)
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2020
Exhibition review: Raffaello (1520-1483 ), Roma, Scuderie del Quirinale, 5 marzo-2 giugno 2020. before COVID-19 lockdown
I Virtuosi al Pantheon, Raffaello e il suo Sepolcro: ricordi, equivoci, precisazioni
About Artonline, 2022
Di Vitaliano TIBERIA Durante le celebrazioni per il V centenario della morte di Raffaello, per precisare se ci sia stato un rapporto culturale fra i Virtuosi e l'Urbinate ho scritto questo testo, che è una sorta di epitome concettuale, un minuscolo corollario ad altri miei interventi sull'argomento in varie sedi e ai cinque volumi della storia dei Virtuosi al Pantheon; una storia, che, per motivi storiografici e non confessionali, è stata da me periodizzata per pontificati dal 1542 al 1877, in pratica da Paolo III alla morte di Pio IX, avvenuta nel febbraio 1878, e dunque alla fine del potere temporale dei papi. Come ho già avuto modo di dire in questa stessa sede pubblicistica, il ricordo di Raffaello è inevitabilmente condizionato da due date, distanti fra loro più di un ventennio, ma idealmente collegate, come lo sono nella simbologia cristiana gli estremi dell'A e dell'Ω, la nascita e la morte: si tratta del 6 aprile 1520, anno della morte di Raffaello, che ebbe sepoltura nel Pantheon, e del 1542, anno della nascita, sempre nel Pantheon, della Compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta (fig. 1). 1-Il Pantheon, Stamperia E. Alberti a La Haye, XVIII secolo.[/caption] Era dunque inevitabile che il legame, puramente ideale e distante nel tempo, fra l'Urbinate e il Sodalizio giuseppino, costituito solo di artisti, denominati per questo ma anche per motivi morali ne o Art about nli Virtuosi al Pantheon, si mantenesse vivo nei secoli, nel segno della comune fede cattolica, dell'arte e dell'amore per l'antichità classica, ma desse anche luogo a fraintendimenti. Il Pantheon, infatti, era il tempio di Roma simbolico quant'altri mai. Fatto costruire dal genero di Augusto, Marco Agrippa, che coronava così il suo terzo mandato consolare, e dedicato per volere dell'imperatore a tutti gli dei, mutò destinazione nel 606, quando, per iniziativa del papa Bonifacio IV, che ne ottenne la concessione dall'imperatore bizantino Phocas, divenne chiesa intitolata ai santi martiri cristiani e successivamente a Maria; così che il suo titolo ancor oggi vigente è Santa Maria ad Martyres. Il Pantheon dunque rappresentava il simbolo della religiosità dal mondo pagano all'era cristiana, nonché il sigillo glorioso e tutelare, oltre la morte, della convivenza in esso degli ideali di bellezza classica e di fede[1]. La neonata Congregazione del Pantheon confermava, sia pure con un'originalità tutta particolare perché costituita di artisti, il successo delle associazioni confraternali dedite alla pratica delle opere pie a Roma, il cui numero, fra il 1515 e il 1599, raggiunse il numero ragguardevole di settantaquattro[5]. Ma, diversamente da altri Sodalizi finalizzati alla cooptazione settoriale di soggetti attivi nelle varie pratiche artigianali (fabbri, falegnami, sarti etc.), la Compagnia dei Virtuosi raccolse artisti di ogni livello qualitativo e quindi non solo i vertici dell'arte, perché divenissero la testimonianza pubblica di quanta vitalità tutto il mondo artistico potesse trarre dalle lodi di Dio attraverso la pratica delle virtù della fede cattolica, soprattutto la carità, ed anche attraverso la preghiera e le riunioni spiritualmente edificanti. Emblematicamente ne fecero parte fin dalla fondazione i pittori, gli scultori, gli architetti, gli ingegneri e gli artigiani che avevano lavorato alla manutenzione del Pantheon, come si legge nella Supplica rivolta nel 1543 da Desiderio d'Adiutorio a Paolo III.[6] Anche se in seguito, per motivi pratici, vi furono cooptati anche medici, avvocati e notai, oltre che musicisti, come il polifonista e tenore tiburtino Giovanni Maria Nanino, un ex allievo di Giovanni Pierluigi da Palestrina, quindi maestro della Cappella di Santa Maria Maggiore e della Cappella Pontificia, dopo essere stato eletto il 12 gennaio 1597 dai congregati del Pantheon loro Reggente.[7] Nello stesso tempo, dando ai confratelli di San Giuseppe di Terrasanta una sede nel Pantheon, si ribadiva il valore di tutta l'ortodossia cattolica: Desiderio, infatti, fondando la sua Congregazione sulle basi dottrinali e teologiche cattoliche, favoriva oltre all'attività caritatevole, condivisa dai Protestanti, anche la pratica delle indulgenze, il culto delle reliquie, di tutti i martiri ma anche di Maria e di s. Giuseppe; in sostanza, tutto quanto era invece avversato dai Protestanti e da un umanista di spicco come Erasmo di Rotterdam, il quale, rigorista neoplatoneggiante contrario all'arte, respingeva l'idea stessa di pittura, che non poteva interpretare i sentimenti degli uomini. Lo stesso Lutero, che aveva apprezzato gli ospedali, ritenne le associazioni cattoliche caritative una realtà negativa, dando questo tagliente ed eccessivo giudizio: «Se ci fosse una fratellanza che raccogliesse denaro per dar da mangiare o aiutare i bisognosi, certo sarebbe un'ottima cosa. Troverebbe favore e si guadagnerebbe il paradiso. Ma oggi non viene altro da queste aggregazioni che ingordigia e ubriachezza…Dovrebbero essere soppresse ed eliminate»[8].
RAFFAELLO E GLI ALTRI. Declinazioni del 'neo' classicismo all'ombra della corte borbonica (2024)
RAFFAELLO 500 ANNI DOPO, 2024
3. È stato supposto che il disegno fosse derivato proprio dalla Madonna napoletana e poi utilizzato per altre due versioni dell'opera, tuttora disperse: la prima per il conte Litta di Milano, nota perché pubblicata in incisione in «Gemme d'arti italiane», 1, 1845, p. 149 (l'incisione è di Achille Mauri, identica alla versione napoletana) e la seconda per un non meglio identificato committente prussiano. Quest'ultima potrebbe corrispondere all'incisione a stampa, di cui un esemplare è custodito a Mantova, con il titolo di Mater laetitia (l'incisione reca in basso a sinistra l'indicazione «F. Podesti dis. e M. Danesi lit.»), il cui sfondo appare ancora diverso rispetto alle versioni precedentemente citate; a conferma che Podesti ne realizzò più di una replica, variandone di volta in volta alcuni dettagli. Non si ha notizia invece della «ripetizione» della Mendicante, una cui versione è custodita, come il disegno della Madonna, alla Pinacoteca Civica di Ancona. L'opera proveniva dal mercato antiquariale e fu acquisita dalla Pinacoteca nel 1989. Podesti realizzò più di una replica del dipinto, una delle quali fu presentata all'Esposizione di Belle Arti di Milano del 1842, accompagnata da un saggio di presentazione di G. Savonarola (M. Massa, in Francesco Podesti 1996, p. 183, n. 36).
Il mezzo millennio di Raffaello
MicroMega, 2020
Esattamente cinquecento anni fa, nel giorno della passione di Cristo, nel pieno di una carriera artistica irresistibile come una religione rivelata e lasciando anch’egli apostoli e devoti, moriva Raffaello, uno dei nomi piu luminosi della storia dell’arte italiana. Qui un piccolo viatico per questo anno di celebrazioni, con l’auspicio di non fare di questo idolo profano circonfuso di caratteri cristologici un santino.
Le Veneri di Raffaello (Tra Anacreonte e il Magnifico, il Sodoma e Tiziano)
In the first part of my article I show how the title “Fornarina” (first used by engraver Domenico Cunego in 1772) is rooted in a linguistic tradition, documented, among others, by the Greek poet Anacreon in the 6th century BCE and found in numerous literary texts from antiquity to the modern period. In this tradition, “forno” (“oven”) and its cognate “fornaia” (“woman baker”) etc. metaphorically indicate the female sexual organ and the woman prostitute. In the second part of my article I discuss “what” the Fornarina represents as opposed to “who she is”, and I advance the hypothesis that Raphael, drawing his inspiration from Marsilio Ficino and Pietro Bembo, portrays in the “Fornarina” the celestial Venus, namely the type of love that raises the soul toward the search for truth by means of the “celestial” beauty. This Venus differs from the other Venus, the “terrestrial” Venus, namely the generating power of nature, who is connected with the terrestrial beauty and has procreation as her goal (the same interpretation for Titian, L’amor sacro e l’amor profane, Rome, Galleria Borghese). From this viewpoint, the “Fornarina” is interconnected with the “Velata”, whom I identify as the terrestrial Venus, the bride, the mother.