Abitare, spazio pubblico e welfare nella città che si contrae e si trasforma. Interrogativi e riflessioni a partire dal caso torinese (original) (raw)
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Abitare Temporaneo: Luoghi e Transizione Del Bisogno Sociale
2015
Negli ultimi anni il fenomeno della contrazione delle citta ha prodotto aree e fabbricati abbandonati. Oggi, la ricerca di spazi in economicita e in continuo aumento: la crisi del settore edilizio ha creato un surplus di offerta di immobili, circa mezzo milione di invenduto in Italia (Finizio, 2014), lasciati al degrado e all’incuria. Contestualmente la crisi economica ha generato nuove fasce di poverta, a cui si aggiunge il progressivo invecchiamento della popolazione italiana, che determina un incremento della richiesta di servizi socio-sanitari e assistenziali. Diventa necessario abbandonare i “vecchi” sistemi ed individuare nuovi modelli di sviluppo: la riappropriazione di spazi inutilizzati attraverso un’architettura temporanea diventa strategia possibile per trovare risposte ai nuovi bisogni sociali. Parole chiave: temporaneo, abitare, sociale
Negli anni recenti anche in Italia si sono rese esplicite le tendenze verso una concezione privatistica e mercificata dello spazio pubblico, che inclinano a cancellare tutto ciò che risulta estraneo al puro valore di scambio. La stessa involuzione si ritrova nell'idea più generale dei rapporti umani, nella chiusura e frammentazione della famiglia, dell'impresa, della corporazione, e si manifesta vistosamente nelle discussioni sulla privatizzazione dell'acqua o sul valore relativo dei poteri regolatori dello Stato. E' possibile interrompere questa deriva reazionaria che sta progressivamente restringendo un diritto essenziale, storicamente legato all'esercizio stesso della democrazia? Studiosi di discipline sociali e territoriali, amministratori, sindacalisti, rappresentanti della società civile analizzano la questione, iniziando a delineare un progetto per restituire alla comunità i luoghi deputati alla socialità.
Derive ed erranze nella città contemporanea. Riflessioni a partire da alcune esperienze torinesi
Barbara A., Ceresoli J., Chiodo S., Interni inclusivi. Dialoghi trasversali, 2016
Nel saggio si propone una revisione critica delle politiche di rigenerazione urbana sperimentate nel corso degli anni Novanta, sottolineando per converso la rilevanza di pratiche alternative di analisi e intervento sulla città, a partire da un approccio relazionale che valorizza lo sguardo e l'azione di soggetti non "esperti". All'interno di queste pratiche alternative, l'arte pubblica può giocare un ruolo centrale.
COSTRUIRE L'ABITARE CONTEMPORANEO Nuovi temi e metodi del progetto, 2020
L’uomo conosce lo spazio attraverso l’abitare, azione imprescindibile capace di definire i confini stessi della Terra. I greci utilizzavano il termine “ecumene” per designare la porzione di terra abitata e nota all’uomo. Il termine ecumene starebbe a indicare “la casa dove abitiamo”. Nel tempo con questa parola si sono indicate parti sempre più ampie senza perdere, tuttavia, l’idea di unità. La caratterizzazione degli spazi necessari alla vita avviene per mezzo della cultura di chi li abita. In questo modo, l’ecumene si differenzia in tanti luoghi, diversi e unici. Ognuno di essi è una dimora, un ambito esistenziale in cui l’uomo raduna i significati delle cose che lo circondano. Da un’unica casa, l’uomo ne abita diverse e molteplici. È il mito della distruzione di Babele che si realizza nei modi in cui l’uomo concepisce gli spazi tanto della vita in comunità che della propria intimità. Ciò che ha sempre legato queste differenti declinazioni culturali, è il processo stesso dell’abitare. Qualunque sia la forma che ne consegue, questo si riconosce come la costruzione di un legame tra essere umano e spazio, attraverso azioni di identificazione e orientamento. A partire dagli anni Ottanta del XX secolo, il complesso fenomeno della globalizzazione contribuisce a definire una cultura globale; laddove «una cultura nasce e si sviluppa sempre [...] localmente, in una prossimità e in un contesto», la cultura globale mette in crisi questa proprietà affermandosi in un’area estesa al mondo intero. Ciò che accade con la globalizzazione è l’ampliamento dei confini della casa dell’uomo, un’immagine che si concretizza in una «prospettiva di urbanizzazione destinata ad abbracciare il pianeta, perdendo il senso sia della città che del globo. Un mondo come immensa città». Se il mondo si riconosce come lo spazio di azione naturale dell’uomo, allora si può affermare che esso diventa, nella sua totalità, noto e abitabile. Si tratta di un allargamento della sfera intima, per cui l’uomo riconosce se stesso attraverso il confronto con il mondo intero. Nell’espansione massima dell’ecumene, egli trasforma la Terra in un’unica casa. Ma mentre conosce il mondo, il luogo viene perduto.
Contesti. Città Territori Progetti, 2023
I robusti processi di riposizionamento economico che vive l’Occidente negli ultimi decenni del Novecento con la transizione dall’economia industriale alla cosiddetta “economia dell’arricchimento” fanno emergere nuovi temi di progetto all’interno delle discipline territoriali. La dismissione di ampie aree industriali è vista dalla cultura del progetto come opportunità di rifondare le città attraverso nuove politiche e nuovi dispositivi progettuali. Il caso di Torino è esemplare di questo processo in Italia. Città simbolo del fordismo italiano, a partire dagli anni '80 viene investita da un processo incrementale di dismissione di ampie aree industriali a causa della crisi della produzione di massa. A partire da quegli anni Torino prova a reinventarsi proprio nei suoi ex spazi produttivi, rinnegando la sua immagine industriale e rivolgendosi ad altri immaginari egualmente evocativi che segneranno fortemente politiche e progetti negli anni a venire. La crisi iniziata nel 2008 segna uno spartiacque in questo processo. E paradossalmente fa tornare protagonista il sistema manifatturiero torinese, quella parte del sistema economico locale che meglio reagisce negli anni più difficili della crisi economica. Un sistema manifatturiero fortemente ridimensionato rispetto alla stagione fordista ma ancora centrale e capace di creare effetti virtuosi sugli altri comparti economici del territorio. Con questo rinnovato protagonismo del sistema produttivo torinese molte imprese manifatturiere “tornano in città” radicandosi sovente in ex spazi produttivi fordisti, proprio quegli spazi dove negli ultimi vent’anni si era provato a rifondare la città postindustriale. Questo testo si propone di parlare di come, dopo la fine del primo ciclo postfordista, gli spazi della dismissione accolgano non solo pratiche abitative o terziarie come nel trentennio neoliberale, ma anche nuove funzioni produttive. Lo fa con un approccio descrittivo raccontando il mutamento del sistema produttivo torinese e descrivendo tre casi esemplari della nuova Torino produttiva: la nuova Pirelli di Settimo Torinese, Lavazza e il nuovo Manufacturing Center di Mirafiori. Tutti nuovi spazi industriali legati a un modello produttivo radicalmente diverso da quello novecentesco, modello che genera spazi nuovi, corrompendo, riscrivendo e mutando il vecchio capitale fisso della passata stagione industriale fordista. In questo processo pare si possa cogliere un cambiamento di paradigma nel progetto della città contemporanea, che non nega ma accoglie le pratiche produttive. Tuttavia questo nuovo modello di città produttiva in Occidente necessita con urgenza di ridefinire visioni, immaginari e pratiche del progetto contemporaneo. The strong processes of economic repositioning that the West experienced in the last decades of the 20th century with the transition from the industrial economy to the so-called "enrichment economy" led to the emergence of new project themes within the territorial disciplines. The decommissioning of large industrial areas is seen by the design culture as an opportunity to re-found cities through new policies and new design devices. The case of Turin is exemplary of this process in Italy. A city that symbolises Italian Fordism, from the 1980s onwards it was invested by an incremental process of large industrial areas abandonment due to the crisis of mass production. Starting in those years, Turin tried to reinvent itself in its former manufacturing areas, denying its industrial image and turning to other equally evocative imaginaries that would strongly affect policies and projects in the years to come. The crisis that began in 2008 marks a divide in this process. And paradoxically, it makes Turin's manufacturing system, that part of the local economic system that reacts best in the most difficult years of the economic crisis, the protagonist again. A manufacturing system that has been strongly downsized compared to the Fordist period but is still central and capable of creating virtuous effects on other economic sectors in the area. With this renewed prominence of Turin's manufacturing system, many manufacturing companies are 'returning to the city', often taking root in former Fordist manufacturing spaces, precisely those spaces where attempts had been made to re-found the post-industrial city over the last twenty years. This paper aims to discuss how, after the end of the first post-Fordist cycle, decommissioned spaces accommodate not only residential or tertiary practices as in the thirty-year neoliberal era, but also new productive functions. It does so with a descriptive approach, recounting the change in Turin's production system and describing three exemplary cases of the new productive Turin: the new Pirelli in Settimo Torinese, Lavazza and the new Manufacturing Centre in Mirafiori. All of them are new industrial spaces linked to a radically new productive model, a model that generates new spaces, corrupting, rewriting and mutating the old industrial capital of the past Fordist industrial season. In this process we seem to be able to discern a paradigm shift in the design of the contemporary city, which does not deny but welcomes productive practices. However, this new model of the productive city in the West urgently needs to redefine visions, imaginaries and practices of the contemporary project.
Aperture urbane. Racconti di spazi aperti per comunità resilienti
A partire da una serie di osservazioni e riflessioni, sviluppate nell’ambito di una borsa di studio – presso il Dipartimento di Architettura, Università degli studi di Napoli Federico II – con oggetto usi condivisi degli spazi aperti per comunità resilienti; l’articolo prova ad indagare il ruolo del progetto urbano – come dispositivo, nella sua possibile e necessaria dimensione strategica – per la costruzione di luoghi urbani contemporanei, con particolare attenzione alle questioni della rigenerazione urbana sostenibile. Il contributo ri-cerca e descrive progettualità contemporanee che hanno trasformato spazi in attesa – espressione delle condizioni post globali che influivano in modo negativo sul benessere delle comunità e sul paesaggio urbano – in luoghi catalizzatori di processi virtuosi.