Le prime storie del cinema (muto) italiano [2013] (original) (raw)

Il mito del volo nel primo muto italiano [2009]

2009

La messa in scena dell'umana conquista dell’aria da parte del cinema muto italiano. Dalla mitologia greca al grande trasvolatore Francesco De Pinedo. Paragrafi: *Il cinema volante delle origini in Italia, i film “dal vero” *Robinet per aria, Yambo cosmonauta *Guerre volanti sul grande schermo *La grande guerra *La diva alata ovvero “Giurami che rinuncerai all’aviazione!” *Da Icaro a De Pinedo

Primi approcci al documentario italiano

Si potrebbe cominciare dicendo: il documentario italiano non esiste. Nella patria del neorealismo, le riflessioni critiche e storiche 1 e le esperienze pratiche in questo campo hanno lasciato tracce scarsissime. Nessuna "scuola" è emersa e sono molto pochi gli autori di cui si ricordi il nome. Se poi si considera la televisione, che dovrebbe incentivare la realizzazione di documentari, bisogna constatare che essa, da questo punto di vista, è troppo spesso in mano a incompetenti. Il documentario è in Italia un'attività marginale e marginalizzata. Chi fa comunque del documentario sembra lavorare in una "terra di nessuno", senza esperienze e tradizioni alle spalle. Vengono subito alla mente due ragioni per spiegare questa strana "assenza" del documentario: da una parte la riluttanza a usare il suono in presa diretta che caratterizza il cinema italiano dai primi anni quaranta ai primi anni ottanta (oggi, almeno nel campo del lungometraggio, la situazione è un po' diversa, grazie alle abitudini della televisione, ad alcuni attori-registi e un po' anche all'ostinazione di alcuni critici isolati); dall'altra l'assorbimento delle pratiche realistiche da parte del cinema di finzione, a cominciare dal neorealismo.

6.I - Note sul Frankenstein “muto” tra teatralità e primi paratesti cinematografici [Massimo Bonura]

Ultracorpi. Il fantastico nelle arti dello spettacolo, 2023

NOTES ON THE FRANKENSTEIN FROM THE SILENT CINEMA BETWEEN THEATRICALITY AND IMAGINARY This essay focuses on the first three films with Frankenstein as main character (1910, 1915, 1920), through their interconnections, the theatrical aspects and the references with the source of the time. In particular, this essay focuses on the paratexts of the Italian movie Il mostro di Frankestein ([sic] E. Testa, 1920). *** NOTE SUL FRANKENSTEIN MUTO TRA TEATRATRALITA' E PRIMI PARATESTI CINEMATOGRAFICI Il saggio si propone di analizzare i primi tre film adattati dal romanzo Frankenstein (1910, 1915, 1920) attraverso le interconnessioni degli aspetti performativi della teatralità e i riferimenti critici delle fonti dell'epoca. Un'analisi particolareggiata verrà effettuata in merito ai rari paratesti del film Il mostro di Frankestein ([sic] E. Testa, 1920). Notes on the Frankenstein from the silent cinema between theatricality and imaginary

Fame di film. Cibo e generi nel cinema muto italiano

L’ipotesi di partenza di questa ricerca è che l'analisi delle rappresentazioni cinematografiche della sfera alimentare, attraverso gli studi degli antropologi presi in considerazione, permetta di cogliere alcune strutture sociali dell'epoca che le ha prodotte. Lo studio antropologico del cinema di finzione, affrontato in particolare attraverso lo studio della messinscena della cultura del cibo, permette di scoprire che l’approccio sociale al film è in grado di avanzare proposte di ricerca dotate di tesi coerenti e pertinenti in merito alle dinamiche culturali e sociali di una data comunità. Il cinema è infatti un’istituzione che da una parte rappresenta la società e dall'altra ne alimenta l’immaginario collettivo, interpretando i fenomeni sociali e fornendo indicazioni sugli spettatori. Come ogni altra produzione culturale, anche quella cinematografica si crea e si mantiene viva all’interno di uno spazio liminare che vede la dimensione dell’immaginario e quella del reale entrare strettamente in connessione, al punto da sovrapporsi e confondersi, permettendo di estrarre informazioni sulla società mediante un’analisi del film di matrice socio-antropologica.

Aprà - Primi approcci al documentario italiano

Si potrebbe cominciare dicendo: il documentario italiano non esiste. Nella patria del neorealismo, le riflessioni critiche e storiche 1 e le esperienze pratiche in questo campo hanno lasciato tracce scarsissime. Nessuna "scuola" è emersa e sono molto pochi gli autori di cui si ricordi il nome. Se poi si considera la televisione, che dovrebbe incentivare la realizzazione di documentari, bisogna constatare che essa, da questo punto di vista, è troppo spesso in mano a incompetenti. Il documentario è in Italia un'attività marginale e marginalizzata. Chi fa comunque del documentario sembra lavorare in una "terra di nessuno", senza esperienze e tradizioni alle spalle. Vengono subito alla mente due ragioni per spiegare questa strana "assenza" del documentario: da una parte la riluttanza a usare il suono in presa diretta che caratterizza il cinema italiano dai primi anni quaranta ai primi anni ottanta (oggi, almeno nel campo del lungometraggio, la situazione è un po' diversa, grazie alle abitudini della televisione, ad alcuni attori-registi e un po' anche all'ostinazione di alcuni critici isolati); dall'altra l'assorbimento delle pratiche realistiche da parte del cinema di finzione, a cominciare dal neorealismo.

Memorie mute. Egodocumenti come fonti per la storia del primo cinema italiano [2019]

L’avventura. International Journal of Italian Film and Media Landscapes, 2019

Silent Memories. Egodocuments as Sources for Early Italian Cinema History The written memories of authors, directors, actors, stars – published or not – are useful sources, that serve to clarify the obscure sides of cinema history. Autobiographies bring us to the middle of that world, re-constructed through the lens of the writers’ ego, demonstrating that some protagonists are a primary historic source. Frames of a past to which we do not belong rise through the words of memories. Interviews with the actors of silent cinema are just as useful, as they carry facts that only witnesses could know, despite the difficulties arising from dialogical structure of interviews that differentiate them from written memories. This study examines, in particular, Italian sources from the silent cinema period. Keywords: Memory, Egodocument, Source, History, Silent Cinema

Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano [2016]

Un’esplorazione approfondita del divismo cinematografico maschile nella produzione nazionale, resa finalmente oggi possibile grazie ai recenti restauri delle pellicole del muto. Il fenomeno divistico maschile, accanto a quello femminile, ha attraversato i drammatici cambiamenti culturali e sociali del nostro Paese a cavallo della Grande guerra, dall’epoca giolittiana sino all’avvento di Mussolini. Il libro ne ripercorre le varie fasi: da quelle aurorali legate al teatro, sino alle interpretazioni cinematografiche più consapevoli. Dal protodivismo dei mattatori, passando per la nascita del tipo elegante — spalla della diva —, sino ai forzuti più o meno muscolosi. Si giunge, infine, al confronto con modelli e stereotipi che influenzano fortemente l’immaginario dello spettatore italiano, anche politico. Il percorso si presenta come una parabola che, di schermo in schermo, collega il vate e il duce alla storia del primo Novecento italiano.

L'ombra del 'capitano'. Tracce salgariane nel cinema muto italiano di avventura

Clara Allasia, Laura Nay (a cura di), La penna che non si spezza. Emilio Salgari a cent'anni dalla morte, 2012

Gli eroi del cinematografo van cercati nel romanzo d'avventura. Goffredo Bellonci, 1917 1 L'avventura nel primo cinema italiano Prima di proporre un contributo, necessariamente parziale, alla ricerca delle presenze salgariane nel cinema muto italiano, può essere opportuno chiedersi quale sia stato il ruolo dell'avventura nella produzione cinematografica nazionale del primo Novecento. A complicare una possibile risposta, intervengono almeno due difficoltà. La prima è legata alle fonti: il 90% dei circa 10.000 film realizzati in Italia tra il 1905 e il 1931 sono considerati perduti, e quindi la ricerca deve misurarsi spesso con le cosiddette fonti «extra-filmiche»: in particolare, con le recensioni d'epoca (spesso condizionate da interessi di parte o di pubblicità), le sinossi delle brochure (non sempre dettagliate), le fotografie di scena, i materiali pubblicitari, i documenti archivistici (sceneggiature, fogli di lavorazione, corrispondenza ecc.). La seconda difficoltà è invece di natura più teorica, e chiama in causa la definizione stessa di avventura». Nel cinema italiano degli anni Dieci e Venti le distinzioni di genere erano elastiche, imprecise, aperte alle ibridazioni. Questa dinamica è evidente proprio nel film d'avventura, tra tutti i generi il più accogliente e meno ipocodificato: solo per fare un esempio tra i tanti possibili, L'isola del mistero, dato in preparazione dalla torinese Cinegraf nel 1921, è pubblicizzato sulle riviste di settore come un film «grottesco, passionale, comico, avventuroso, emozionante» 2 . Per tentare di rispondere all'interrogativo di partenza, da un lato è quindi necessario tenere ben presente lo statuto indiretto delle fonti a disposizione, dall'altro occorre invece partire da un'accezione il più possibile generale e generica di cinema avventuroso. Se si aderisce a questa accezione estensiva e feuillettoniste, tipica del cinema del primo Novecento, allora diventa lecito ricondurre alla categoria dell'avventura qualsiasi film in cui vi siano delle azioni genericamente avventurose e rocambolesche (un delitto da risolvere o da commettere, un documento da trafugare o recuperare, un'ingiustizia da sanare, una fanciulla da salvare, una vendetta da compiere, e così via): alla luce di questa nozione allargata, l'analisi delle fonti rivela un risultato sorprendente, ossia che il cinema muto italiano, almeno in un certo periodo della sua complessa storia produttiva, è stato egemonizzato non tanto dal dramma passionale o dal film in costume, quanto proprio dal macro-genere dell'avventura. Questa egemonia dell'immaginario avventuroso sul primo cinema italiano non è un fenomeno immediato. Gli emergenti apparati produttivi cercarono prima di tutto, almeno fino al 1914, -l'anno di Cabiria -di stabilire un rapporto strategico con tutto ciò che poteva agevolare la legittimazione culturale del nuovo medium: questo sforzo ha espresso un genere cinematografico peculiare, riconosciuto sui mercati esteri come tipicamente italiano, il kolossal storico. Un altro esito di questa tendenza., solo in apparenza lontano dal precedente, è stato, soprattutto nella seconda metà degli anni Dieci, il cosiddetto «cinema in frack», ossia il dramma passionale di ambientazione aristocratica o alto-borghese, centrato sul fascino delle dive e largamente debitore nei confronti del teatro, in particolare francese. Queste schematizzazioni non devono ovviamente essere recepite in termini troppo rigidi, per più di una ragione. In primo luogo, kolossal e dramma moderno non esauriscono l'eterogeneità del nostro cinema: si pensi alla rilevanza del genere comico e poi, dal 1912-1913, della commedia, ma anche all'importanza, decisiva soprattutto subito dopo il 1911, nel periodo di affermazione del lungometraggio, del film «dal vero». In secondo luogo, non si deve pensare a una rigida separazione di culture. Cabiria, ad esempio, il film-simbolo della legittimazione estetica e del richiamo alla tradizione culturale alta della letteratura (D'Annunzio) e dello spettacolo (il melodramma), porta in realtà visibili i segni di un fecondo 1 G. Bellonci, Gli "eroi" del cinematografo, in «Giornale d'Italia», 20 febbraio 1917, p. 3. 2 Cfr. «La Vita Cinematografica», XII, 1-2, 7-1n 5 gennaio 1921, pp. 42-43. compromesso tra cultura popolare e cultura di élite: il plot del film ripropone lo stereotipo della fanciulla perseguitata, largamente sfruttato dalla narrativa avventurosa, mentre le auliche didascalie dannunziane, le raffinate melodie di Pizzetti per la sequenza di Moloch e le magniloquenti scenografie coesistono, com'è noto, con le tracce, variabilmente nascoste, di Cartagine in fiamme 3 . Il capolavoro di Pastrone, per altro, dà il battesimo a Maciste, che non è solo la futura icona di un fortunato sotto-genere del cinema d'avventura italiano ma anche un personaggio ispirato agli erculei e fedeli compagni degli eroi salgariani (dal Moko di Il corsaro nero al Rocco di I predoni del Sahara). In terzo luogo, infine, le cronologie che scandiscono la storia di questi generi, si intersecano e si sovrappongono. I primi segnali di esistenza del cinema avventuroso italiano, soprattutto nella sua variante più nera e criminosa, sono già ben visibili a partire dal 1909. Il 1911 è l'anno di lancio dei primi lungometraggi storici, ma è anche la data di uscita di uno dei film-chiave del cinema avventuroso italiano, il Pinocchio prodotto dalla Cines e interpretato da Ferdinand Guillaume, un adattamento incentrato proprio sull'estensione in chiave avventurosa del romanzo di Collodi 4 . Il genere del kolossal storico, inoltre, continua a produrre opere importanti, o quanto meno ambiziose, ancora nella prima metà degli anni Venti, pure a fronte di una sua chiara obsolescenza. Al di là di queste avvertenze, non si può comunque negare l'esistenza, nella politica dei generi del primo cinema italiano, di linee di tendenza di volta in volta prevalenti. Non c'è dubbio che a partire dal 1913 il cinema si orienti con crescente intensità verso il cinema d'avventura e i suoi innumerevoli sotto-generi: film di spionaggio, polizieschi, film neri, drammi criminali, film atletico-acrobatici, esotici, drammoni ricavati da serratissimi feuilleton d'oltralpe ecc. «Un fatto è indiscutibile», osserva nel 1922 il giovane critico (e futuro lessicografo) Aldo Gabrielli, «la folla corre serrata alle films di avventura e diserta metodicamente il così detto dramma borghese» 5 . La tendenza avventurosa, in effetti, diventa dominante a partire dai primi anni Venti, in un'interconnessione -ancora in buona parte da studiare -con lo sviluppo dell'editoria popolare, ma anche sotto la pressione della formula del film a serie e, soprattutto, di un fenomeno solo in parte correlato a quest'ultimo: l'invasione dei film americani. Di fronte a questa sensibile crescita del cinema avventuroso, ci si potrebbe aspettare che il corpus narrativo salgariano attiri l'interesse dei produttori romani e torinesi, e invece il saccheggio non si compie. Giovanni Bertinetti, molti anni dopo, scriverà che «i padroni d'allora delle sorti cinematografiche italiane sorridevano di compatimento all'offerta fatta loro di scegliere soggetti nella vasta produzione salgariana» 6 . Possiamo, per altro, anche ipotizzare chi fossero i latori di questa offerta tutt'altro che disinteressata, considerando che gli animatori del primo cinema italiano furono in molti casi proprio scrittori di romanzi di avventure, da Vittorio Emanuele Bravetta a Giovanni