Quella Bruna non più alpina (original) (raw)

2007

Abstract

Confinati in un ambito "specialistico", settoriale, sottoposti ai criteri di una falsa neutralità tecnica, i fenomeni relativi alla produzione agricola e zootecnica sono stati per troppo tempo trattati al di fuori del dibattito culturale, "desocializzati", "destoricizzati". Una condizione che non ha favorito la giusta attenzione nei loro confronti e che ha consentito, in forza della "delega" ad organismi tecnoburocratici, l'assunzione di scelte con grandi ricadute socioterritoriali, nell'interesse di precisi gruppi sociali egemoni. La storia della "Bruna non più alpina" vuole portare all'attenzione di chi è attento alla storia del territorio le implicazioni socio-territoriali della scelta di conservare o sostituire una razza fortemente radicata nella storia locale. Viene esaminato il caso della Brown swiss, nuova razza sintetica ottenuta begli Usa a fine XIX secolo a partire da un numero limitatissimo di capi di Braunvieh importati dall'Europa, insufficienti ad impedire gli effetti dell inbreeding in assenza di apporti di altre razze. Agli allevatori italiani la nuova razza venne surrettiziamente presentata come un nuovo ceppo della Bruna alpina (Bruna originale) determinando l'incrocio di sostituzione (a partire dagli anni Settanta del secolo scorso) della Bruna originale con la Brown Swiss, una razza non adatta alle condizioni della montagna e che si sarebbe dimostrata fattore di destabilizzazione dei sistemi d'alpeggio e più in generale dei sistemi zootecnici montani legati al territorio. Una destabilizzazione che, attraverso processi di concentrazione dell'allevamento e del conferimento del latte alle grandi centrali cooperative, nonché attraverso la necessità di un maggior ricorso agli input tecnici (seme congelato, mangimi, integratori) ha chiaramente favorito gli interessi industriali.

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