Le trasformazioni del racconto (original) (raw)
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Petite Plaisance, 2022
Perché è necessario il dialogo? Partendo da Socrate e Platone e arrivando al dibattito contemporaneo sull’epistemologia delle virtù, passando per Giordano Bruno, Minna Specht e Luce Irigaray, Laura Candiotto sostiene che senza il dialogo non si possa cambiare, né a livello individuale, né collettivo. Affinché il cambiamento sia positivo, il dialogo mette in atto una trasformazione che purifica non solo gli errori di giudizio ma anche lo stile di vita. Il dialogo tende così alla creazione di spazi per una relazione con la differenza dove l’intreccio continuo di gesti, emozioni e parole si coniuga con la fiducia nelle capacità di miglioramento di sé stessi, degli interlocutori e del contesto che si abita. Ma come è possibile trasformarsi grazie al dialogo? Attraverso lo studio di una dialettica incarnata e situata nel contesto relazionale, Candiotto offre strumenti concettuali ed esempi concreti che spingono il lettore a sperimentare una dialogica appassionata in prima persona plurale.
51. Narrativa di trasformazione e trasformazioni narrative:“La segunda parte de Lazarillo de Tormes”, in “Quaderni del Dipartimento di Linguistica” - Università della Calabria, 9, Serie Letteratura 5, 1993, pp. 65-86.
Analisi traduttiva dei racconti.
Analisi traduttiva dei racconti Ma'…¥if qal †lah l… tu|addiÅ e al-Masr™qah. 4.1 Traduzione e caratteristiche del linguaggio letterario. La traduzione è un compito di problem solving, ossia un problema da risolvere che richiede la realizzazione di un progetto, sulla base del quale si decide cosa e come tradurre, eliminando ogni alternativa incompatibile con le finalità stabilite 1 Il traduttore si trova davanti a delle scelte importanti sulle diverse varietà lessicali e morfosintattiche da adottare e, a tal proposito, si può notare come più un testo è simbolico e rappresentativo, più possibilità c'è di non riproporre esattamente lo stesso significato. Il traduttore, come sostiene Borges, deve saper leggere, interpretare, riscrivere, copiare oltre a saper tradurre, tutti aspetti complementari di un progetto che li ingloba assieme 2 . Il linguaggio che caratterizza i racconti analizzati nel capitolo precedente è altamente simbolico, ricco di immagini poetiche e di allegorie che trasportano il lettore dal visibile, definito da al-R…w † al-©…hir, al profondo, all'intimo e al sommerso, chiamato al-Ð…tis 3 . Ciò comporta difficoltà nella traduzione, poiché questa implica la trasposizione del significato metaforico e figurativo del testo. A tal proposito, il linguista Said el-Shyab afferma che un testo letterario, attraverso l'utilizzo di simboli, metafore, immagini e artifici retorici vari, richiede non solo la trasposizione di un testo da una lingua ad un'altra, ma 1 L. Salmon, Teoria della traduzione. Storia, scienza e professione., A.Vallardi, Milano 2003, p. 197. 2 A. De Laurentis, "Il compito del traduttore secondo Borges" in AA.VV., I saperi del tradurre. Analogie, affinità, confronti., a cura di C. Montella e G. Marchesini, Franco Angeli, Milano 2007, p. 245.
Texto Digital, 2015
Il concetto di "scrittura" fa riferimento non solo alla trascrizione alfabetica, ma all'intera attività umana di "inscrivere" il mondo con segni. Parole, immagini, numeri, racconti, testi: la scrittura è fatta di una materia composita che tocca tutti i nostri sensi. Oggi più che mai, la letteratura e le immagini, le parole e I corpi, le forme tradizionali della scrittura e le più avanzate tecnologie testuali si combinano tra loro quali espressioni della "scrittura" nel senso filosofico più profondo.
e canonicità: l'ossimoro della narrazione 3.3 Intenzionalità: le spinte propulsive della narrazione tra diversità e identità 3.4 "Composizione pentadica": l'organizzazione sintagmatica degli elementi del racconto 3.5 Opacità referenziale: mondi possibili e mondi al congiuntivo 3.6 Componibilità ermeneutica: aperture e limiti dell'interpretazione 3.6.1. Intentio auctoris: le radicali ambiguità della letteratura e dell'io 3.6.2. Intentio operis: il rischio dell'autofondazione del testo 3.6.3. Intentio lectoris: il destinatario tra cooperazione interpretativa e costruzione del testo 3.7. Appartenenza ad un genere: la "circolarità" dei modelli narrativi e mentali p. p. p. p. p. p. p. 4. La categoria di intenzionalità: riflessioni sulla relazione tra pensiero paradigmatico e pensiero narrativo p. Capitolo II -Pensiero "poetico" e valore cognitivo della metafora 1. La metafora da evento del linguaggio a struttura del pensiero p. 2. La verità "tensionale" della metafora p. 3. La metafora come trait-d'union tra pensiero p. logico-paradigmatico e pensiero simboliconarrativo PARTE II AUTOBIOGRAFIA E RIFLESSIVITÀ: RISVOLTI IN EDUCAZIONE Capitolo III -Raccontare, raccontarsi 1. L'autoriflessività in educazione dalla prospettiva sistemica a quella narrativa p. 2. Il sé narrativo: percorsi di ricerca e di interpretazione p. 2.1. Coscienza e memoria: dall'identità come "sapere di sé" all'identità come narrazione 2.2. L'io multiplo della psiche e l'io "integro" dell'etica p. p. 3. Il filtro della voce narrante: le ambiguità del racconto autobiografico p. 4. La narrazione tra rappresentazione e presentazione: tempo e morte nel racconto di sé p. Capitolo IV -La ricerca in educazione e il metodo autobiografico 1. Nuovi orientamenti epistemologici e ricerca educativa p. 2. La questione della validità della ricerca: l'emergere del concetto di validità come "resoconto riflessivo" p. 4 3. Il metodo autobiografico nella ricerca e nella formazione p. PARTE III RIFLESSIVITÀ E RACCONTO: PER UNA RIDEFINIZIONE DELLA PROFESSIONALITÀ EDUCATIVA Capitolo V -La scuola dell'autonomia come comunità di apprendimento narrativa e autoriflessiva 1. L'autonomia delle istituzioni scolastiche tra localismo e universalismo p.
Incontri. Rivista europea di studi italiani, 2013
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La complessità della narrazione e della narratologia
Enthymema, 2018
Negli ultimi cinque anni vi è stata un'attenzione crescente per le teorie della complessità da parte di narratologi. La recente summa della narratologia mondiale Emerging vectors of Narratology (Hansen et al. 2017) contiene due saggi dedicati a questo tema e due volumi collettivi sono in pubblicazione. Questo articolo presenta le motivazioni di tale interesse per la complessità e traccia alcuni percorsi intorno a concezioni sistemiche della narrazione, dal Formalismo russo, ad una recente proposta di John Pier, fino a giungere alla narratologia cognitivista di seconda generazione. /// In the last five years the attention of narratologists for complexity theory has been growing. The recent most comprehensive collection of narratology, Emerging vectors of Narratology (Hansen et al. 2017), includes two essays on the topic and two other collective books are forthcoming. This article explores the motivation of such interest in complexity and puts forth some reflections on systemic conceptions of narrative, from Russian Formalism, to a recent proposal by John Pier, ending with second generation cognitive narratology.
Di quale materiale è fatta la società? Che cosa la rende un oggetto di studio così particolare, onnipresente e insieme evanescente, intorno a noi (forse anche dentro di noi, come voleva Durkheim e molti dei sociologi del passato e del presente) eppure così difficile da definire? Si tratta di domande banali e insieme complesse. La banalità dipende dal fatto che a noi tutti sembra possibile, intuitivamente, definire il concetto di società, tant'è che utilizziamo correntemente il termine, ad esempio nel linguaggio quotidiano, giornalistico, politico. La complessità deriva invece dal fatto che non c'è accordo, neppure tra gli specialisti, sulla sua definizione. Il dibattito sociologico sul rapporto tra individuo e società, processo e struttura, micro e macro, e la conseguente nascita di tradizioni teoriche tra loro fortemente conflittuali, deriva prioritariamente dalla difficoltà di definire con accuratezza l'oggetto. Il problema ontologico è stato spesso avvertito dai sociologi come il segno dell'incompiutezza scientifica della loro disciplina. Memori delle critiche loro rivolte da Kuhn, che sottolineava l'assenza, nelle scienze sociali e nella sociologia in particolare, di un paradigma unitario, i sociologi hanno avvertito come deminutio la preparadigmaticità del loro sapere (Corbetta, 1999, pp. 17-20). 1 Per rispondere a queste critiche, si sono rafforzate due linee di sviluppo della disciplina, presenti già nelle diverse posizioni della sociologia francese (Durkheim) e tedesca (Simmel, Weber) tra Otto e Novecento: da un lato, si è cercato di individuare metodi e tecniche scientificamente rigorose, capaci di estrarre dai fatti dati empirici insieme validi e attendibili; dall'altro, si è sottolineata la sostanziale incommensurabilità della realtà sociale con qualunque altro oggetto di studio, e si è dunque rivendicata una forte specificità metodologica della disciplina (Statera, 1997, pp. 228-229). Confrontandosi con la coerenza (almeno apparente) di altri ambiti disciplinari, il dibattito sociologico ha tentato a livello teorico e insieme metodologico, di proporre approcci unitari, in cui far convergere la complessità del sociale, la sua capacità di abbracciare tutto, dal dato infinitamente piccolo delle micro relazioni (ad esempio l'indifferenza civile tra estranei di cui parla Goffmann) all'infinitamente grande delle interdipendenze tipiche della società globalizzata. Basterebbe citare autori come , Habermas (1986), basterebbe ripensare in maniera né polemica né celebrativa a sociologi del calibro di Elias (1990) e di Luhmann (1990), per evidenziare come la sociologia contemporanea si fondi, soprattutto a livello teorico, sullo sforzo se non di costruire una scienza unitaria, di proporre almeno modelli integrati in cui perdono di significato le differenze poste a spartiacque tra tradizioni teoriche e di ricerca differenti.