Divagazioni per Remo (original) (raw)
La strada che da Sora e dalla Val Comino, per il valico di Forca d'Acero, porta a Opi e Pescasseroli, sul versante abruzzese è fra le più belle dell'intera dorsale appenninica. Nella settimana di Ferragosto, anche fra le più affollate: a ogni spiazzo o slargo, una macchina parcheggiata; e accanto, famiglie con bambini, coppie giovani o anziane, perfino persone sole: con seggiole di plastica, sdraio, teli, tavolini da picnic -sfuggiti all'afa del frusinate, trascorrono la giornata estiva al fresco: nel rumore ininterrotto dei veicoli in transito; nel brivido del passaggio di torme di motociclisti insofferenti d'ogni limite; nell'odore dei gas di scarico che, in brusca accelerazione dopo ogni tornante, rilasciano copiosamente i troppi suv. Qualcuno tiene accesa la radio a forte volume; qualcuno abbandonerà, la sera, lattine e cartacce nella faggeta secolare. Ma il dettaglio più stupefacente e sottilmente sinistro-a essere un Roland Barthes, se ne potrebbe forse cavare un supplemento ciociaro per le Mythologies-è questo: che tutte le macchine, senza eccezione, hanno almeno una portiera aperta, rigorosamente côté bosco; e nessun gruppo si accampa a più di quattro metri di distanza dalla propria autovettura, dalla sua soglia spalancata e pronta in ogni momento a accogliere i gitanti, a sottrarli all'Unheimliche della foresta, a riavvolgerli nella sua placenta di lamiera plastica similpelle arbre magique. Di ritorno da una lunghissima escursione solitaria-imboccando uno degli impervi sentieri che penetrano nella faggeta, alla prima svolta scompare ogni rumore; e si può camminare per sei, otto, dieci ore senza incontrare nessuno (se non, a avere un po' di fortuna, qualche cervo, capriolo, volpe o lepre)-ci chiediamo, come ogni anno, che cosa significhi quella portiera aperta: rassicurante via di fuga in Pierluigi Pellini, Divagazioni per Remo 2 caso di improbabile comparsa minacciosa di una fiera (l'orso, il lupo, magari addirittura la lince)? o cordone ombelicale che inconsciamente avvinghia all'alienazione di una seconda natura (squallidamente) urbana e (mediocremente) tecnologica? La stessa sera, teatro all'aperto: sul sagrato della bella chiesa parrocchiale di Ortona dei Marsi (porta nord del Parco Nazionale d'Abruzzo: d'inverno, poche decine di anziani; d'estate, varie centinaia di villeggianti-in buona parte emigranti che rientrano al paesello), Mario Pirovano recita Mistero buffo. Il biglietto si vende a dieci euro. Da settimane mi sono premurato di prenotarlo telefonicamente: sono rare le occasioni culturali, in queste montagne; rarissime quelle di valore: mi figuro il pienone, il sagrato è piccolo. In tutto, siamo meno di trenta (di cui quattro noi; e altri quattro o cinque al seguito dell'organizzatrice, Dacia Maraini). Qualche imbucato si affaccia a un muretto, in altro; ascolta un po', distratto. Altri, sullo stesso muretto, o nella piazzetta vicina, parlano a piena voce, addirittura schiamazzano. Il sindaco del paese, in prima fila, si contorce un poco sulla seggiola, non interviene. È costretto a interrompersi Pirovano (bravissimo, fra parentesi: non fosse che sembra troppo-volutamente-il clone di Dario Fo), per chiedere silenzio con garbata ironia. La quiete dura poco: quando l'attore annuncia un nuovo episodio-il primo miracolo di Gesù bambino-un uomo sulla sessantina, esagitato (non uno squilibrato, però), dalla strada sovrastante reclama, urlando, «rispetto per la religione»; e dopo qualche minuto di scomposte contumelie, conclude con l'insulto sommo, riassuntivo, inappellabile, rivolto a tutti noi: «Comunisti!». Per tornare alla nostra macchina, passiamo davanti al bar: ci sono una cinquantina di persone, molti giovani. Vestiti firmati, telefonini e tablet, auto tirate a lucido. Dettagli che dicono il trascorrere dei decenni. Tutto il resto, anni Cinquanta. Il giorno dopo, riposo. In giardino, provo a scrivere qualche nota a Germinal. Mia figlia Irene è accanto a me: ma non attenta e eccitata come la sera prima (Pirovano addolciva garbatamente, per il pubblico