Che cosa resta dei metri per musica nella poesia italiana del Novecento (original) (raw)
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Lingue “petrarchesche” nel Novecento poetico italiano
Lingue “petrarchesche” nel Novecento poetico italiano, in Un’altra storia. Petrarca nel Novecento italiano. Atti del convegno di Roma, 4-6 ottobre 2001, a cura di Andrea Cortellessa, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 89-99
In prima battuta mi pare necessario operare una delimitazione che restringa il largo campo referenziale del titolo di questo intervento: lingue "petrarchesche". Non sembra innanzitutto utile realizzare una mappa lessicologica delle presenze petrarchesche, perché è perfettamente evidente come la lingua -in particolare il lessico -di Petrarca è a tal punto insita nella tradizione del linguaggio poetico italiano, con un ruolo fondante, che è impossibile districarsi tra l'originale e i suoi emulatori; tra Petrarca stesso, i petrarchisti, Tasso, Foscolo, Leopardi: tenendo soprattutto conto di quanto il primo Novecento, e non solo quello, abbia subito un acuto e perdurante influsso leopardiano. Sarebbe poi perfettamente inutile, almeno dal mio punta di vista di storico della lingua, usare la definizione «lingua "petrarchesca"» a livello di metafora: metafora che denoti un uso aristocraticamente selettivo del lessico secondo quanto stabilito da Contini nel celebre saggio pubblicato nel 1951 su «Paragone», Preliminari sulla lingua del Petrarca. Sarebbe inutile perché tale griglia interpretativa presume non un rapporto diretto con l'ipotesto petrarchesco, bensì un generico impiego dei Fragmenta come emblema di una lingua dal vocabolario ristretto ed esclusivo. L'impiego di un figurante così ambiguo può essere forse utile come exemplum critico 1 , ma non dà indicazioni probanti sul piano storico-linguistico. Ne era ben consapevole Dante Isella quando scriveva, a proposito di Sereni:
Sull’oscurità della poesia italiana del Novecento
Edito in in "La lirica moderna. Momenti, protagonisti, interpretazioni" (atti del xxix Convegno Interuniversitario del Circolo filologico-linguistico padovano, Bressanone/Brixen - Innsbruck, 7-10 luglio 2011), a cura di F. Brugnolo e R. Fassanelli, Esedra, Padova, 2012, pp. 413-28.
Su alcuni aspetti della musica nel Novecento e dell'attività di Alfredo Parente
Il Giornale di Kinetès, 2017
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«Quelle cose che han nome poesia» Metrica e stile nella librettistica pucciniana
2021
Alla morte di Giacosa, nel 1905, il compositore sentì la necessità di aggrapparsi a Simoni 29 , con il quale Illica riuscì a trovare subito una sintonia 30 , al fine di ripristinare la precedente situazione di equilibrio professionale che tanto aveva dato all'universo operistico. La nostalgia di Puccini si può leggere chiaramente in una lettera a Ricordi datata 4 febbraio 1915 quando confessa: «Mi era sembrato di rivivere un po' del connubio giacosiano 31 ». L'autore lucchese riponeva grande attenzione all'aspetto prosodico, a differenza delle norme operistiche precedenti, che si preoccupavano molto dell'aspetto melodico e musicale, in generale, non curandosi del libretto, considerato da molti autori un semplice canovaccio. L'idea musicale pucciniana richiedeva un determinato metro poetico, per il quale si affidava in modo particolare a Giacosa, versificatore eccellente, al quale venne assegnato il compito di seguire la trama di Illica e la tessitura di versi e di accenti, estremamente rigidi, dello stesso Puccini. Il rigore ritmico è chiaro, poiché quasi la totalità di versi analizzati rientra nella categoria degli imparisillabi (endecasillabi, settenari e quinari, elencati in ordine di frequenza), che-a giudizio di Dante 32-sono ritenuti particolarmente adatti per lo stile elevato; non mancano però le eccezioni, dettate da esigenze metrico-musicali, di sequenze ritmiche anomale ma particolarmente adatte all'idea compositiva (esempio indiscutibile e tanto amato è senza dubbio la successione di quinari tronchi). Ci si riferisce, senza dubbio, a Manon, dove Puccini aveva assegnato a Illica un modello per «sei versi tronchi» 33 in corrispondenza di un a parte, poiché il tema rimico era «talmente efficace da non poterlo cambiare 34 ». Analizzando nel dettaglio, il tema era in 6/8 e la partitura si sarebbe sposata perfettamente con i quinari tronchi, caratterizzati dagli ictus di seconda e quinta, in corrispondenza dei due accenti previsti dalla battuta.