Padova nel Cinquecento, pp. 4-6. (original) (raw)

Modica nel Cinquecento

1 In un recente e approfondito lavoro queste ragioni sono così espresse: «Ils en vient à appeler […] une histoire rapprochée, qui s'attacherait de près aux acteurs et à leurs parcours pour éviter tout regard globalisant, forcément trompeur», cfr: J. DUBOIS, J.M. GUILLOUËT, B. VAN DEN BOSSCHE, Le «déplacement» comme problème: les transfert artistiques à l'époque gothique, in Les transfert artistiques à l'époque gothique, Paris, Picard, 2014, pp. 9-34, alla p. 13. 7 2 P. NIFOSÌ, Mauro Galfo, la cappella Riva e alcuni grandi cantieri ecclesiastici di Modica del Cinquecento, consultabile on line in www.ragusanews.com, 12-8-2013. 3 I documenti sono stati individuati nell'ambito del progetto COSMED. Si ringrazia in particolare il dottore Maurizio Vesco per le trascrizioni.

Per una ricerca su carestia e trasformazione sociale nell'entroterra di Venezia. Il caso di Padova tra Quattro e Cinquecento

Il progetto riguarda una ricerca in corso sulla vicenda del sistema annonario di Padova tra Quattro e Cinquecento, quale indice della dinamica "città/campagna" nella cornice dello stato territoriale veneziano. L'ipotesi di lavoro e' che la vicenda annonaria, segnate dal trend ascendente della 'carestia', avessero a che vedere, oltreché con la variabile-clima, con dei processi quali la polarizzazione delle risorse agrarie e l'intensa commercializzazione delle stesse. Un'analisi insieme puntuale ed organica di tali processi può forse una chiave d'accesso alla sfuggente "transizione" della società' proto-moderna.

Edizioni virgiliane nel Cinquecento piemontese

Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, 2015

Since the invention of printing, Virgil's works were a remarkable publishing success and also in Piedmont, an isolated area of Northern Italy in the sixteenth century, they were printed several times in order to meet the demands of a public, which was always wider and more culturally prepared. As it is not yet available an exhaustive discussion on Virgil's books edited in Piedmont during the sixteenth century, this paper is an attempt to provide a preliminary survey on the spot occupied by the Latin poet in the Duchy of Savoy during the Renaissance.

Un museo di antichità nella Padova del Cinquecento. La raccolta Marco Mantova Benavides all'Università di Padova

Collezioni e Musei Archeologici del Veneto, 2013

https://www.bretschneider.it/libro/9788876892783 L’Antichità è una cosa sacra e venerabile ch’aggiongie dignità e veneratione ovunque ella si sia. Con queste parole il 10 aprile 1695 Andrea, pronipote di Marco Mantova Benavides fondatore della collezione, si accinse a stendere l’accurato Inventario grazie al quale abbiamo conoscenza della collezione di famiglia. In realtà la raccolta di Marco (1489-1582) non era semplicemente una collezione d’arte e di antichità, come si desumerebbe dalle parole introduttive di Andrea, ma in essa sculture, quadri, disegni, vasi, lucerne ed altre opere d’arte si trovavano insieme a conchiglie, minerali, fossili d’ogni genere, animali esotici, curiosità della natura o prodotti dalla mano dell’uomo. Il museo di Marco nel suo insieme non appariva lontano dalle «Kunst- und Wunderkammern» di stampo mitteleuropeo, anche se predominante era lo spazio lasciato agli oggetti d’arte antica o rinascimentale, che anzi da quel confronto diretto con il mondo della natura ne uscivano valorizzati come prodotti dell’umana capacità e sensibilità. Quanto di quel museo è giunto sino ai nostri giorni ed ora conservato all’Università di Padova, Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, è ora integralmente pubblicato in questo catalogo. Dopo una parte storico-introduttiva sul fondatore Marco, le opere sono raggruppate secondo categorie tipologiche e cronologiche (sculture antiche, sculture all’antica, sculture rinascimentali, ceramiche antiche e vasi rinascimentali) ciascuna della quali è introdotta da uno o più saggi di approfondimento. Nel catalogo, in testa a ciascuna scheda, ove identificata, è riportata la descrizione dell’opera tratta dall’Inventario del 1695, la quale funge da raccordo tra il passato ed il presente guidando, ove possibile, il lettore al riconoscimento di quanto, purtroppo poca parte, si è salvato dell’antica raccolta. Chiudono il volume una serie di saggi dedicati all’allestimento della collezione e ad interventi di conservazione e di diagnostica sulle opere.

Gli ebrei a Padova nel Settecento

Ramḥal: pensiero ebraico e kabbalah tra Padova ed Eretz Israel, a cura di Gadi Luzzatto Voghera e Mauro Perani. Padova: Esedra, 2010

GLI EBREI A PADOVA NEL SETTECENTO Il Settecento nella storia degli ebrei a Padova non costituisce un'unità cronologica a se. Si può dire che abbia una fine ma non un inizio. È parte del periodo del ghetto, nel quale furono costretti a vivere dall'inizio del secolo precedente e fino all'arrivo dei francesi nel 1797, periodo che fu in generale un capitolo amaro nella storia degli ebrei padovani. Vediamo alcuni esempi. Dal 1603 il loro quartiere era delimitato da quattro porte che di sera venivano chiuse con catenacci: una al termine di via dell'Arco su via Marsala, la seconda in via delle Piazze poco prima di S. Canziano, le ultime due in via San Martino e Solferino, una all'incrocio con via dei Fabbri, l'altra su via Roma. Uno spazio limitato ed angusto, uno spazio chiuso che costrinse gli ebrei ad elevare le loro case aggiungendo piani su piani come si vede ancora oggi in via dell'Arco. Dal ghetto gli ebrei uscivano di giorno, per lavorare sì, ma anche per recarsi ad ascoltare le prediche in chiesa, obbligo a cui continuarono ad essere sottoposti perlomeno fino al 1715. Nelle loro case non potevano lavorare cristiani o cristiane, come servitori o balie, anche se il divieto non era sempre rispettato. Quando moriva qualcuno, doveva essere sepolto nel cimitero di via Campagnola, tragitto non breve, durante il quale il cadavere rischiava di essere rubato dagli studenti di medicina che se ne impadronivano per effettuarne l'autopsia. E questo, nonostante la comunità pagasse ogni anno una tassa speciale agli studenti proprio per evitare il ratto e l'autopsia dei cadaveri. In caso che scoppiassero incendi in città, gli ebrei dovevano fornire secchi e coperte di lane, come contributo al lavoro di spegnimento 1 .

Falloppio & Guilandino: una liaison dangereuse nella Padova del Cinquecento

2006

Davvero ha ragione l'Amleto di Shakespeare quando dice che ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne immagini la nostra filosofia. Forse sarebbe il caso di tenerne conto nell'attuale infervorato dibattito sulla natura della famiglia, che continua ad ignorare un semplice dato di fatto: nel corso della storia dell'umanità sono emerse forme di convivenza molteplici. Da sempre la "norma" è rappresentata dalle famiglie al plurale, mentre la famiglia mononucleare così come la conosciamo noi oggi è nata nel XIX secolo per precise ragioni culturali ed economiche.

>Donatello e Padova<, in “Padova e il suo territorio”, XXXIV, 2019, 202, pp. 21-25

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