La collezione Ordoño de Rosales primi indizi per la ricostruzione di una quadreria tra Milano, Napoli e Genova (original) (raw)
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Raccolta Portiana, in ASCMi. Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza la facoltà accordatami dai coniugi Maurizio ed Elisa Enrico di studiare a lungo l'archivio privato di famiglia. A loro va la mia riconoscenza per la costanza con cui hanno seguito il mio lavoro. Un riconoscimento speciale intendo esprimere nei confronti del conte Giulio Durini, presidente della Fondazione Alessandro Durini, e del segretario Luciano Bordin, che mi hanno spalancato le porte del palazzo dove visse Giuseppe Bossi. Desidero ringraziare inoltre quanti hanno contribuito attraverso segnalazioni e considerazioni. Innanzitutto i professori L'allestimento della quadreria di Giuseppe Bossi nel palazzo milanese di via Santa Maria Valle secondo il primo inventario topografico 59 14 La corrispondenza del Cattaneo è per buona parte superstite grazie alla trascrizione nel copialettere del Gabinetto numismatico di Milano (CBANMi, Corrispondenza extra-ufficio del Gabinetto di medaglie e monete, 5 voll.) ed è regestata in R. LA GUARDIA, La «Corrispondenza extra-ufficio» del Gabinetto Numismatico di Brera (1805-1851), Milano 1985. È recente invece la pubblicazione del carteggio Cattaneo-Manzoni (in estratto quello con Goethe e Carlo Augusto di Sassonia-Weimar): Alessandro Manzoni. Carteggi letterari, a cura di S. Bertolucci e G. Meda Riquier, Ed. Naz. delle opere di A . Manzoni, 29, I, Milano 2010, in part. 3-154, 381 ss.). 15 Si capisce solo in questo modo perché Cattaneo gonfia a dismisura le stime dei quadri nel documento parigino, accreditando valutazioni fittizie senza paragoni con quelle reali registrate nell'Inventario, per le quali si veda la trascrizione in Appendice documentaria n. 2. 16 Riporto un passaggio: «se ben ricordo però, varj ancora dei quadri dei quali vi ho visto prendere nota trovansi ancora nelle mani degli eredi per la sospensione da essi data all'incanto di siffatti oggetti, sino al venturo maggio. Questi sono i due bellissimi Guercini, il grandioso Guido rappresentante la Liberalità e la Modestia, il Cristo morto del Mantegna e forse altri pure. L'Enea Salmeggia però fu venduto» (CBANMi, Corrispondenza…, IV, p. 100). Si è conserva-to il testo di una seconda lettera a Dillis del 3 luglio 1818 (CBANMi, Corri-spondenza…, IV, pp. 125-126).
Dallo scavo al Museo: l’esempio di Casal de’ Pazzi (Roma)
Vitullo E., Peretto C. (a cura di) Reti Museali e Preistoria, Archeomolise, 35, 2020
Riassunto La città di Roma è estremamente amata dal turismo stimolato soprattutto dall’importanza archeologica della città e dall'insieme delle emergenze storico-artistiche presenti nel suo centro storico, iscritto interamente nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La maggior parte delle persone però ignora che Roma è città importantissima anche per la gran quantità di rinvenimenti preistorici che, nel corso del tempo, sono stati effettuati nel suo territorio. Tra questi ultimi, vi è il sito di Rebibbia Casal de’ Pazzi, che si trova nella periferia Est della città. Fino alla metà del secolo scorso in questo territorio erano presenti molti altri siti riferibili al Pleistocene medio/superiore, ma oggi Casal de’ Pazzi è l’unico sopravvissuto all’espansione della città e per questo è stato conservato e musealizzato. Abstact The city of Rome is extremely loved by tourists, stimulated above all by the archaeological importance of the city and by the set of historical and artistic monuments present in its historical center, fully inscribed on the World Heritage List. However, most people are unaware that Rome is a very important city also for the large amount of prehistoric finds that, over time, have been made in its territory. Among the latter, there is the site of Rebibbia Casal de 'Pazzi, located on the eastern outskirts of the city. Until the middle of the last century in this area there were many other sites referable to the middle / upper Pleistocene, but today Casal de 'Pazzi is the only one that survived the expansion of the city and for this reason it has been preserved and transformed into a museum.
Bollettino Storico Vercellese, 2020
Tra Genova, Napoli e la Puglia Nuove rotte per la committenza e il collezionismo del Settecento
La prima e postuma edizione (1771) delle Deliciae tarantine di Tommaso Niccolò D’Aquino (1665-1721), poemetto di matrice virgiliana con descritta la città di Taranto, è dedicata al genovese Michele Imperiale “principe di Francavilla”. Un elemento così concreto della Taranto barocca introduce il tema di ricerca qui stesso proposto, vale a dire la ricognizione di nuove rotte per la committenza e il collezionismo del Settecento, muovendo dalla convinzione che la dedica rappresenti un inequivocabile segno delle strette relazioni, attraverso l’hub partenopeo, fra l’area apula e la Repubblica di Genova. Il personaggio oggetto della dedicatoria è Michele IV Imperiale (1719-1782), figura dal profilo intellettuale certo strutturato, come dimostra anche l’attenzione riservatagli da Benedetto Croce. Peraltro, l’Imperiale possedeva una dimora a Napoli (palazzo Cellamare), spazio privato per una raccolta d’arte dove si contavano, tra gli altri, dipinti di Tiziano e di Veronese; una quadreria aperta quindi a quelle istanze venete care alla proiezione adriatica pugliese e in sintonia con le linee di gusto espresse a Genova già dal collezionismo della sua stessa famiglia, in un orizzonte proprio degli Stati italiani e, pertanto, europeo. La condizione di oriundi genovesi non impedì agli Imperiale di mantenere forti legami con la madre patria, così come accadde per molti altri genovesi fuori di Genova. Una planimetria del quartiere di ville di Sampierdarena (1757), fornisce l’intensità del fenomeno, con indicate le proprietà del napoletano Imperiale “principe di Sant’Angelo” e quelle degli altri genovesi naturalizzati nel meridione, dai calabresi Grimaldi di Gerace, ai pugliesi De Mari “principi di Acquaviva”, seguiti dagli Imperiale “principi di Francavilla”. Insomma, una rappresentazione plastica, legata alla residenzialità aristocratica settecentesca, della politica di espansione feudale praticata dai genovesi sin dal Cinque e Seicento.
Sono ricordate dalle fonti le quadrerie Doria, Gentile, Franzone; cfr. quivi R. SANTAMARIA, Nel m erito d elle quadrerie, pp. 20-37. G. SERRA, M em orie p er la storia di G enova dagli ultim i d ecen n i d el sec. XVIII alla fin e d ell'anno 1814, a cura di P. NURRA, «Atti della Società Ligure di Storia Pa tria», LVIII Genova 1930; V . VITALE: Onofrio Scassi e la vita g en o v ese d el suo tem po,
2019
La pratica della copia era nel Seicento assai più frequente e "nobile" di quanto non sia nell'immaginario degli studiosi e del pubblico oggi 1 . Copiare era lecito, caldeggiato dai maestri agli allievi, come passaggio d'obbligo dell'iter formativo, praticato dai pittori agli inizi della carriera 2 , raccomandato dai mecenati ai loro pupilli, sostenuto dai mercanti ma anche dai collezionisti. Questi commissionavano o ricercavano sul mercato "doppioni", pur di avere fra le mani almeno il ricordo di un'opera collocata altrove, talvolta omaggiavano visitatori illustri con copie delle loro opere più pregiate o, ancora, facevano replicare a un pittore di casa un'immagine cara per ciascuna delle proprie residenze, o per sopperire ad alienazioni o divisioni ereditarie e così via. I medesimi collezionisti che ricercavano e offrivano copie erano però allo stesso tempo gelosi delle loro opere, talvolta celate agli sguardi da "cortine" di seta, e non sempre generosi nel concedere i propri quadri alla mercé di chi desiderasse copiarli, timorosi (o meglio consapevoli) che la reiterazione ne avrebbe diminuito il valore di mercato 3 . Un diverso atteggiamento pare ravvisarsi nel raffinato mecenate genovese a Roma Vicenzo Giustiniani, la cui celebre quadreria, che arrivò a contare quindici Caravaggio 4 , doveva essere frequentata dai pittori e fungere, almeno in certi momenti, come una sorta di accademia per i giovani artisti che là si potevano perfezionare e aggiornare, in particolare sulle novità del Merisi. Non è un caso, dunque se fra i soggetti di Caravaggio più replicati ci siano due opere Giustiniani, l'Incredulità di san Tommaso e l'Incoronazione di spine 5 (cfr. oltre). Il collezionista nel suo Discorso sopra la pittura pone «il copiare da altre pitture» al secondo «grado» dei modi di dipingere e scrive che «si può fare in molti modi: o con la prima, e semplice veduta, o con più longa osservazione, o con graticolazioni, o con dilucidazione, nel che si richiede molta diligenza e pratica nel maneggiare i colori, per imitar bene gli originali; e quanto più eccellente sarà il pittore, purché abbia pazienza, tanto migliore riuscirà la copia, a segno che talvolta non sarà conosciuta dall'originale, e talvolta anco la supererà; che, all'incontro, il copiatore sarà inesperto, e di poco spirito, sarà facilmente conosciuta la differenza dell'originale dalla copia» 6 . Se era importante per il buon successo della copia che la qualità fosse alta, non era però lecito spacciare una copia per originale, come attestano molti documenti processuali di grande interesse, noti anche nello specifico ambito genovese 7 . Perché il caso di Caravaggio, il «pittore più falsificato del primo Seicento» 8 , è tanto emblematico quanto di eccezionale portata? La questione delle copie negli studi critici su Caravaggio è centrale, già a partire dalla grande mostra milanese del 1951, dove se ne vollero espressamente esporre alcune 9 . L'esistenza di più versioni di un soggetto, spesso di alta qualità, mette gli studiosi davanti al nodo critico di capire quale sia l'originale e quale la derivazione; se la derivazione sia una replica autografa, o una copia di un seguace e in questo caso, vista la rinomata assenza di una bottega intorno a Caravaggio, se il Merisi si affidasse o meno a dei collaboratori. Occorre stabilire se si tratti di una copia coeva o tarda e delineare una sorta di genealogia delle varie versioni, nel tentativo a volte di immaginare un originale perduto e di mettere a fuoco il ruolo dei collezionisti nel divulgare certi soggetti attraverso l'autorizzazione di copie dalle proprie opere, di cui detenevano una sorta di copyright. La copia testimonia il successo di una composizione e spesso spiega la fortuna di certe iconografie in determinati ambienti, dovuta potenzialmente tanto alla presenza di originali, quanto di repliche ritenute autografe o per lo meno "buone". Roberto Longhi nel 1960 scriveva: «Nel caso di una pittura di spinta "veridica" come quella del Caravaggio, una copia, anche diminuita del ductus e impoverita nella materia in confronto all'originale, continua a trasmetter di esso la situazione mentale e quasi morale, il nocciolo di contenuto che si lascia poi rivestire mentalmente anche della sua integrità di aspetto formale; non dico grammaticale» 10 . Come a ricordarci che una copia antica di qualità ha potenzialmente il compito di riverberare l'arte del maestro, e può agire su più livelli, come spia per gli studiosi per ricostruire il tessuto connettivo, e ai tempi della sua creazione come cassa di risonanza di artisti e collezionisti. Nello specifico della copia da Caravaggio, la questione si complica anche per il dibattito sempre aperto su attribuzioni ancora vacillanti, come per il Narciso Barberini (Caravaggio o Spadarino?), o su esemplari discussi fra autografi o copie, che risentono anche della forte incidenza di aspetti legati al mercato. Gli studiosi da tempo dibattono sulla possibilità che Caravaggio replicasse le proprie composizioni: tra i "doppi" più celebri per i quali la critica ha tendenzialmente convenuto sull'autografia di entrambe le versioni, basterà ricordare il Ragazzo morso dal ramarro della National Gallery di Londra e della Fondazione Longhi di Firenze; il Suonatore di liuto dell'Ermitage e di collezione privata newyorchese; la Buona Ventura del Louvre e dei Musei Capitolini 11 . È certo invece che l'artista fosse replicato. Il Merisi è copiato da seguaci che ne ripetono o riprendono le composizioni, giovani artisti nell'esercizio tipico dell'apprendi-
MDCCC 1800, 2019
The present paper takes the cue from an anonymous letter sent in 1844 to the camerlengo Tommaso Riario Sforza to denounce the poor conservative conditions in which Veronese’s Rape of Europe, in the Pinacoteca Capitolina in Rome, was placed. Considered one of the gems of the Roman collections, as the contemporary sources attest, especially due to the scarcity of works by Venetian masters in Rome, the large canvas was important above all as a model for young artists to exercise on colouring. Following this complaint, the painting will be taken over by the under-inspector Filippo Agricola, who will make the design for a new frame and will entrust the restoration to Giovanni Regis.
Città mediterranee in trasformazione. Identità e immagine del paesaggio urbano tra Sette e Novecento, edited by C. de Seta and A. Buccaro (Naples, 2014): 447-457.
The urban history of the wide area located north of Naples old town center, over the Capodimonte hill, in 19th and 20th centuries was deeply influenced from the events of San Gennaro extra moenia complex. This one has a historic importance and urban and territorial significance, resulting also from the dimension and the tipological structure. However, although the iconographic fortune, culminated in Nicolas