Il paesaggio urbano veneto in pittura e fotografia. Ritratti di città 1852-1877 (original) (raw)
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Le ville venete touring photo exhibition, which opened in Treviso in 1952 with the curatorial support of Giuseppe Mazzotti, was transferred to Paris in 1954, where it was curated by Michelangelo Muraro and was given a new format and a new title: Les villas de la Vénétie. Both exhibitions aimed to demonstrate the importance of ancient villas, by highlighting their original characteristics and the territorial value they had not only for Veneto, but also for Italy. Although it was used for quite different purposes, photography played a central role in both exhibitions. By drawing on a number of sources, primarily those found in the Fondazione Giuseppe Mazzotti per la civiltà veneta (the Giuseppe Mazzotti's Foundation for Venetian Civilization) and in the Treviso State Archives, it was possible to provide a more accurate and clearer understanding of the works of the two different photo series featured in those exhibitions, of the different venues where they were made available for circulations and of the goals of the two curators.
A partire dal 1868: nota sulla nuova pittura a Venezia
Storie dell’arte contemporanea, 2018
Even 19th century had its '68, particularly in Venice, where, without sensational episodes but with as much relevance, as regards the artistic situation, as what happened a century later, a series of events, if seen even if only in their apparently casual consequential and then overlapping, attests to a total value objectively unusual and rich in subsequent implications, ordered in the direction of a general renewal. Two years after the plebiscite that sanctioned the entry of Venice and Veneto into the Kingdom of Italy, many signs provide the clarification of an overall picture of great momentum due in large part to the contribution of a new generation of Venetians. The establishment of the Royal Higher School of Commerce at Ca' Foscari, a prelude to the establishment of one of the major university centres of research and higher education, contributed to the rebirth and revival of Venice and its image, in stark contrast with the myth, never extinguished, of a city 'inevitably' linked to its never-ending end, to its endless twilight.
Il 19 febbraio 1701 Scipione ed Enea Repeta inoltrano una supplica al Senato veneziano: chiedono, in virtù dei privilegi derivanti dalle proprietà nel territorio di Campiglia dei Berici, di potersi fregiare del titolo marchionale. Nella zona era già esistito un castello, sulle rovine del quale avevano edificato "Fabriche non disdicevoli"; i possedimenti in zona garantivano, in forza di antichi diritti feudali, sia la qualifica comitale -di cui già potevano gloriarsi -che quella di marchesi. Nel settembre dello stesso anno, per mano del "nodaro ducale" Giacinto Fiorelli, il Senato dà risposta positiva 1 . L'episodio, peraltro marginale, è indicativo del rapporto tra la nobiltà locale e la Dominante, un rapporto sempre più sbilanciato a sfavore di Vicenza, in particolare dopo la ben nota riapertura del 'libro d'oro' che permetteva, dietro l'esborso di 100.000 ducati, l'acquisto del patriziato veneto. La questione, come noto, non era di poco conto. Dopo la 'dedizione' del 1404 Vicenza si era trovata costretta nelle maglie di una sudditanza ambivalente rispetto a Venezia: priva di un reale peso politico, sotto il controllo di "capitani" e "podestà" provenienti dalla Dominante, ma garantita negli antichi titoli e diritti feudali di cui l'aristocrazia locale si fregiava. La 'diluizione' del privilegio nobiliare portava con sé conseguenze sia sul piano sociale che politico, e le sempre più stringenti regole per poter sedere nel Consiglio Cittadino svilupparono esiti paradossali, tanto che nel 1733 i Provveditori sopra Feudi si trovarono costretti a mettere argini al "pernicioso abuso introdotto dalla troppo licenziosità de' sudditi nell'arrogarsi alcuno d'onorifici Titoli di Marchese, Conte, Cavalier e d'altra simile qualità" 2 . Il problematico rapporto tra 'centro' e 'periferia' nella Repubblica Veneta, oggetto di attente indagini in tempi recenti 3 , trova riflessi anche nel campo artistico; la produzione indigena alla fine del Seicento -dopo la stagione aurea di Francesco Maffei e Giulio Carpioni, protagonisti eccellenti anche nell'esigente mercato lagunare -si era presto inaridita e seccata, non avendo i due pittori lasciato eredi in grado di tenere alto il loro magistero 4 , e
Il primo contatto di Carlo De Paris con la Congregazione del Pantheon risale al 9 maggio 1838 quando Giovanni Silvagni, al tempo Segretario del Consiglio e Censore, propose il pittore quale nuovo confratello, definendolo «paesista» (APAVP, Pantheon, Proposte a Virtuosi di Merito e di Onore dell'anno 1838, fasc. 13). L'8 luglio avvenne la presa del possesso congregazionale (APAVP, Verbali, aa. 1837-1840. A quella data è registrato il dono dell'artista alla Congregazione, con il quale sanciva, come da prassi, la sua ammissione nel "virtuoso" consesso, consistente in un dipinto ad olio «con un paese la cui scena si figura nell'epoca de' bassi tempi» (si intende del basso medioevo), abbellito da una cornice dorata e destinato, secondo i verbali, alla cappella della Confraternita (APAVP, Verbali, cit., c. 241 r.; GIANFRANCESCHI, in TIBERIA 2015, p. 376. Inoltre il dono di un paesaggio da parte del pittore, corrispondente con probabilità a questo dipinto, è citato in ibid., p. 444). L'opera tuttavia già nel 1862, all'epoca dell'inventario redatto da Filippo Martinucci, non si trova nella cappella, ma viene citata nel gruppo di quattro paesaggi presenti nella seconda sala del Pantheon (Inv. Martinucci, n. 54); e ancora nella seconda «saletta« è indicata da Gagliardi trent'anni dopo, e così descritta: «un Castello fra roccie con figure di Cavaliere e della Castellana il cui cavallo è guidato da un Paggio» (Inv. Gagliardi, n. 7).
Il volume raccoglie una serie di saggi sul fondamentale tema del paesaggio veneto e della sua importanza nella più vasta dimensione del Rinascimento europeo, indagati attraverso approcci disciplinari diversi. Un tema che ha alle spalle una lunga tradizione di studi, e che è qui ripercorso nei suoi snodi emblematici, con una novità di approccio che tiene conto di aspetti storici, storico-artistici, letterari ed economici. A partire dalla riflessione sull'eredità del mondo antico e di qui sul recupero rinascimentale del termine paesaggio, i testi affrontano il fenomeno eminentemente veneziano della riscoperta della natura, e della sua rappresentazione, prima ancora della codificazione come genere che avverrà soltanto a fine Cinquecento. Sono protagonisti in questa parte del libro Giorgione, Tiziano giovane e Giulio Campagnola e i loro interlocutori in campo letterario: Pietro Bembo, Jacopo Sannazaro e Andrea Navagero. Negli anni centrali del secolo, a seguito della riconversione produttiva della terraferma, il paesaggio veneto muta significativamente aspetto, sia per l'introduzione di nuove colture e tecniche agricole, sia per la reinvenzione della villa ad opera di Andrea Palladio e dei pittori che collaborano alla decorazione. Al tempo stesso le reti mercantili e le nuove vie di traffico instauratesi tra Venezia e l'Europa generano flussi di opere d'arte e di informazioni sugli artefici che alimentano la fama del paesaggio veneto oltralpe, in particolare nella formulazione della pittura di Tiziano. I curatori Andrea Caracausi, storico moderno, Marsel Grosso, assegnista di ricerca e Vittoria Romani, storica dell'arte moderna, lavorano presso l'Università di Padova e sono stati impegnati nel progetto di ricerca strategico European and Venetian Renaissance-EveRe, di cui questo libro raccoglie alcuni risultati. www.officinalibraria.net 30,00 € IL PAESAGGIO VENETO nel rinascimento europeo IL PAESAGGIO VENETO nel rinascimento europeo il paesaggio veneto nel rinascimento europeo La ricerca e la realizzazione dell'opera hanno beneficiato dei fondi del Progetto di ricerca strategico 'European and Venetian Renaissance (EVeRe)', STPD11LHT4.
M. Grosso, G. Guidarelli, Tintoretto: architettura, veduta e scenografia
Storia di VC_Il paesaggio urbano in età moderna
Storia di Vercelli in età moderna, 2011
1.1 L'assetto territoriale e l'ambiente naturale Durante la prima metà del Cinquecento l'Italia fu il terreno di scontro tra le monarchie di Fran-cia e Spagna. Anche il Vercellese subì il duro impatto degli eserciti stranieri di passaggio nella Pe-nisola e fu immiserito sia dall'incapacità del potere centrale di contenere i soprusi dei feudatari locali sia dalle continue battaglie e dai ripetuti saccheggi delle truppe francesi e spagnole. Se il Pie-monte era «il tavolero sul quale ognun zoga», come aveva affermato Giangaleazzo Visconti, si-gnore di Milano, questo era tanto più vero per il territorio circostante Vercelli 1. La situazione di degrado perdurò fino alla pace di Cateau-Cambrésis del 1559, quando il duca Emanuele Filiber-to, con il suo programma di riorganizzazione dello Stato sabaudo, s'impose come sovrano auto-revole, deciso a ostacolare qualsiasi forma di autonomia locale. In particolare, il duca rafforzò il ruolo difensivo di una città di frontiera come Vercelli, avviando importanti opere di fortificazio-ne che la resero una delle più considerevoli piazzeforti dei suoi domini, a difesa del confine orien-tale segnato dal fiume Sesia. A metà Cinquecento la provincia vercellese confinava a nord con la Valsesia e col Biellese, a sud-ovest con le province di Torino, di Casale e d'Ivrea, a est con lo Stato di Milano. Nel corso della storia, sempre e ovunque i fiumi contribuirono a definire la geografia di un territorio, poi-ché rappresentavano tangibili e materiali linee di demarcazione che segnavano i confini tra i di-versi paesi e, soprattutto, si potevano sorvegliare con maggiore facilità rispetto a limiti tracciati su terreni uniformi. Nel caso del Vercellese,