L'autorità della morale (original) (raw)

Autonomia moralità autorità

Secondo l’interpretazione comune della filosofia morale moderna il principio kantiano dell’autonomia ha trasformato radicalmente il modo di concepire la moralità. A questa interpretazione si oppone il realismo morale che pone l’accento sull’obbligazione morale. In questo saggio si propone la tesi della centralità del concetto di autonomia a partire dall’interpretazione di J. B Schneewind secondo cui, nella modernità, la moralità è concepita prima come moralità dell’obbedienza, poi della self-governance ed infine dell’autonomia. Nel suo processo di affermazione, il principio di autonomia ha gradualmente modificato il principio di autorità. Se le relazioni tra individui si costituiscono sia in base al principio di autorità che a quello di autonomia, l’autore ritiene che con l’affermarsi del principio di autonomia si possa parlare di relazioni di autorità non solo di tipo asimmetrico ma anche di tipo simmetrico. In questo senso l’autonomia può essere intesa non solo come l’origine dell’obbligazione (C. Korsgaard), ma anche come una relazione normativa basata sul mutuo riconoscimento di pari autorità (C. Bagnoli). L’autonomia, nel suo significato di autolegislazione, può essere meglio compresa come co-legislazione.

L'autorità degli affetti

Etica & Politica / Ethics & Politics, XVI, 2014, 1, pp. 220-236, 2014

This article takes into account Iris Murdoch’s complex critique of the Kantian conception of moral authority as based on the authority of reason. While this critique fails to rule out Kantian rationalism, it nonetheless points to an alternative account of moral authority, which is grounded on the independent authority of emotions. This alternative conception of moral authority shares some important features of Kantian accounts of the moral feeling of respect as reverence for the moral law, but it also suggests a radically different interpretation of practical reflection, and of its distinctive modes and moral achievements.

Ordinamento morale del Purgatorio

Note sull'ordinamento morale del Purgatorio, 2021

Come è noto, i vizi capitali sono trattati da Dante in maniera alquanto originale: essi infatti sono collegati al processo stesso di purgazione, in modo che alla salita di ogni cornice del sacro monte corrisponde l'eliminazione di un vizio: nell'ordine, superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola e lussuria. Per Dante, i vizi sono le basi dei peccati, per cui rappresentano le scorie che restano nel penitente dopo aver conseguito l'assoluzione; tali scorie sono eliminate tramite l'ascesa purgatoriale, in cui le sofferenze si accompagnano ad un processo rieducativo ed alla gioia per sapersi finalmente liberi e infine degni di salire in Cielo. Pur fungendo da scaturigini profonde quali sono i vizi, i peccati non sono equiparabili ad essi: infatti l'ordinamento infernale si distingue nettamente da quello del secondo regno. Come notato da Alison Morgan[1], la prassi ha qualche corrispondenza con la struttura dei manuali coevi di confessione, ma la base teologica della procedura dantesca non è stata debitamente messa in luce. Tuttavia Alberto Magno, identificati i vizi quali cause di ogni peccato, afferma: «vocatur paenitentia exterior illa quae iniungitur agnitis peccatorum causis […]» (De ordine, q. 5, a. 2). Il duplice aspetto dell'opera rieducativa (dissuasiva dal male e stimolatrice al bene) che va eseguita in Purgatorio si connette al fatto che «satisfacere est causas peccatorum excidere»: infatti, scrive Alberto Magno, «causae peccati intelliguntur pronitates ad malum et difficultates ad bonum, quae sunt causae moventes per modum inclinantis ad modum peccati, et illas excidit homo per satisfactionem» (De paenitentia II, q. 3, a. 1). A loro volta tali cause hanno due «radices», nelle quali risiede il «vulnus»: tali radici sono la superbia, per l'aspetto della «aversio a bono incommutabili», e la cupidigia «ex parte conversionis ad bonum commutabile». Ricordiamo che, come la superbia in quanto «inizio di tutti i peccati» (Ecclus. X 15) va distinta dalla superbia o vanagloria come peccato capitale[2], così l'avarizia o cupidigia come «radice di tutti i mali» (I Tim. VI 10) va distinta dall'avarizia come vizio capitale. Siccome peccare ha due fondamentali aspetti, ossia l'aversio da Dio e la conversio ai beni terreni, superbia e cupidigia, in senso lato, sono il fondamento di ogni peccato. Così Alberto Magno sintetizza la questione: «Species peccatorum multae sunt, capita septem, ut dicit Gregorius [Moralia XXXI 45], et duae radices, ut dicit Augustinus, scilicet superbia, quae est apostasia a deo, et cupiditas, quae est libido in bonum commutabile» (De paenitentia II, q. 3, a. 1). Tommaso d'Aquino parla al riguardo di «radices vel initia vitiorum» (De malo, q. 8, a. 1). Ad ogni modo-come si vedrà-il fine ultimo di tutti i vizi è «il proprio bene» in quanto è desiderato disordinatamente (inordinate appetitur), cioè in quanto va contro l'ordine della legge divina. Ora, la giustificazione elimina l'aversio (indebolendo l'attrazione disordinata per i corruttibili beni terreni), ma di per sé non determina la completa sottomissione a Dio; di conseguenza la satisfactio

Deontica del potere

Il presente saggio "Deontica del potere" si propone di offrire un frammento d’analisi dei fondamenti filosofici e filologici del verbo modale “potere” così come espresso nel linguaggio giuridico tedesco; in particolare, saranno illustrati alcuni casi peculiari in cui è paradossalmente invertito il significato primo e principale dei verbi modali tedeschi ’sollen’ e ’dürfen’. Proprio questa paradossale inversione giustifica il paradossale titolo del presente saggio: "Deontica del potere."

Il disciplinamento morale della vendetta

Il disciplinamento morale della vendetta. Percorsi agiografici, in La vengeance en Europe (XIIe –XVIIIe siècle, sous la dir. del Claude Gauvard e Andrea Zorzi, Paris, Publications de la Sorbonne, 2015, pp. 31-44 , 2015

Il saggio esamina l'evoluzione del costume giuridico sociale della vendetta partendo dal noto caso di san Giovanni Gualberto, e seguendone la trasformazione dall'XI al XIV secolo. L'autrice presenta una panoramica agiografica da san Francesco d'Assisi a san Giovanni Colombini, evocando infine il paradigma dantesco.

Il senso morale

Il senso morale, 2017

Si tratta di un manuale universitario che illustra in modo chiaro e semplice il rapporto tra l'intuizione originaria dell'ordine morale (riconducibile alle cinque certezze incontrovertibili e sempre attuali del "senso comune") e la riflessione critica e sistematica operata dalla filosofia, sulla scorta del metodo propriamente metafisico, capace di passare in ogni momento "dal fenomeno al fondamento". L'etica filosofica riconosce così il dinamismo teleologico dei fenomeni fisici e degli atti liberi delle singole persone, ed è in grado di giustificare scientificamente il carattere originariamente teonomico dell'ordine morale. Dopo aver precisato su queste basi lo statuto epistemologico dell'etica filosofica, il manuale espone sinteticamente le nozioni e le leggi dell'ordine morale come è percepito dalla coscienza di ogni persona (legge morale naturale) e come si riflette (o dovrebbe riflettersi) negli ordinamenti giuridici della società civile (diritto positivo). Al termine dell'esposizione viene anche precisato il rapporto intrinseco che lega la legge morale naturale alla legge soprannaturale introdotta da Cristo con la Redenzione. Il manuale è corredato di Appendici su temi di attualità e di un'ampia Bibliografia. Rendo disponibile l'introduzione di Antonio Livi e la premessa.

Moralità del Momus

Nuova Corvina, 2004/16, pp.31-37, 2004

DEI CITTADINI. Nel plasmare la società civile, Alberti, con il suo romanzo satirico, trovò una soluzione geniale, pur non sempre originale, se pensiamo a qualche predecessore classico, tra cui Luciano: la satira, l'approccio umoristico-satirico, infatti, permette di interpretare la pressante realtà con allusioni o con riferimenti che hanno sempre connotazioni filosofiche e soprattutto morali. Le favole mitologiche o pseudomito-logiche non solo rappresentano le divinità in composizioni poetiche, ma, come ha dimostrato ormai Garin, contengono le più profonde considerazioni etico-esistenziali dell'umanista: bisogna quindi sottolineare il profondo significato filosofico del Momus e degli altri scritti morali dell'Alberti, i quali, per la poliedricità dell'autore, esprimono e trasmettono una multiforme visione allegorica della realtà. Il suo modo di filosofare incentrato sulle metafore, sulle favole e sui miti, non mira tanto alle ca-tegorie logico-razionali quanto piuttosto alla forza della parola suasiva la quale ov-viamente deve divertire e insegnare. Anche il nostro autore era profondamento con-vinto del fatto che gli stessi Antichi avevano usato le divinità per simboleggiare le più diverse «inclinazioni dell'animo che ci spingono a questo o a quall'altro com-portamento». Il ragionamento morale dell'Alberti si sviluppa attraverso percorsi intuitivi in cui le analogie si verificano anche nelle tante potenzialità visive delle immagini.

Quando il diritto diventa morale

Etica & Politica, 2018

This paper is divided in two parts. In the first one Damiano Canale's description of practical conflicts between law and morality is revisited and some criticisms proposed. The second part is devoted to a short exploration of the varieties of ways of understanding morality particularly in relation with the moral nature of law itself.