T. Pedrazzi (2016), L'etá (non più) oscura dei commerci: riflessioni sugli scambi tra l'Oriente e il Mediterraneo centro-occidentale agli inizi del I millennio a.C., RSF 44, pp. 129-144 (original) (raw)

(con A.Pautasso) "Nothing to do with trade? Vasi configurati, statuette e merci dimenticate tra Oriente e Occidente", in Traffici, commerci e vie di distribuzione nel Mediterraneo tra protostoria e V secolo a.C. ( Atti Convegno Gela 2009), Caltanissetta 2009, pp.283-290

Vasi configurati, statuette e merci dimenticate tra Oriente e Occidente Nella lunga storia del viaggio di oggetti e merci tra Oriente e Occidente, la ceramica più di ogni altra classe di materiale riveste il ruolo di indicatore privilegiato. Tuttavia, categorie diverse di materiali, generalmente meno considerate, possono risultare utili per proporre alcuni spunti di approfondimento relativi alle modalità di diffusione e di circolazione di manufatti differenti dalla ceramica. In particolare, nel presente contributo, si intende puntare l'attenzione sulla coroplastica e sull'apporto che lo studio di tale materiale può offrire alla ricostruzione dei traffici commerciali nel Mediterraneo in epoca arcaica 1 . A questo scopo, si prenderanno in considerazione i votivi fittili provenienti da due tra i più importanti complessi votivi della Sicilia greca, la stipe di Piazza San Francesco a Catania 2 e quella del santuario di Bitalemi a Gela 3 , il cui studio, svolto in parallelo e secondo un approccio "comparativo", ha offerto l'opportunità di sviluppare alcune osservazioni relative in particolare alle dinamiche di diffusione e recezione delle terrecotte d'importazione e alle problematiche ad esse connesse 4 . In linea con il tema principale di questo convegno, all'interno del nucleo di materiale importato, presente in entrambi i contesti in esame, abbiamo selezionato alcune specifiche tipologie coroplastiche che offrono dati di un certo interesse sui quali puntare l'attenzione, e cioè le statuette di fabbrica greco-orientale e i vasi configurati, tra cui sono compresi quelli realizzati nella tecnica "à couleurs lustrées" e quelli in tecnica "terrecuite", secondo la terminologia e la classificazione del Ducat 5 . È forse opportuno riassumere brevemente quanto sappiamo circa la provenienza di questi manufatti, in modo da inquadrare il problema. È ormai superata la tradizionale attribuzione a fabbrica rodia di gran parte di queste terrecotte, attribuzione che risale ai lavori del Ducat e dell'Higgins 6 . Studi meno influenzati dal ruolo di Rodi e analisi archeometriche condotte sino ad oggi hanno messo in evidenza la significativa componente di altre fabbriche della Ionia del Sud nella produzione coroplastica di epoca arcaica, con particolare riferimento all'area di Mileto ma anche di altri centri produttori, da localizzare sempre nell'area centro-meridionale e insulare dell' Asia Minore, come Efeso e Samo 7 . Per quanto riguarda i depositi votivi occidentali che presentano un numero considerevole di esemplari d'importazione greco-orientale, è stata condotta finora solo un'osservazione macroscopica delle argille, che ha consentito tuttavia di isolare chiaramente gruppi distinti di impasti. Così, ad esempio, nella stipe di Piazza San Francesco a Catania, accanto alle importazioni generalmente ritenute milesie e caratterizzate dalla inconfondibile argilla beige-rosata, depurata, morbida e ricca di mica dorata, emerge un nucleo assai cospicuo di terrecotte plasmate in un'argilla simile alla precedente ma 283 Antonella Pautasso

A. Pautasso, M. Albertocchi, Nothing to do with trade? Vasi configurati, statuette e merci dimenticate tra Oriente e Occidente, in Traffici, commerci e vie di distribuzione nel Mediterraneo tra Protostoria e V secolo a.C., a cura di R. Panvini, C. Guzzone, L. Sole

Vasi configurati, statuette e merci dimenticate tra Oriente e Occidente Nella lunga storia del viaggio di oggetti e merci tra Oriente e Occidente, la ceramica più di ogni altra classe di materiale riveste il ruolo di indicatore privilegiato. Tuttavia, categorie diverse di materiali, generalmente meno considerate, possono risultare utili per proporre alcuni spunti di approfondimento relativi alle modalità di diffusione e di circolazione di manufatti differenti dalla ceramica. In particolare, nel presente contributo, si intende puntare l'attenzione sulla coroplastica e sull'apporto che lo studio di tale materiale può offrire alla ricostruzione dei traffici commerciali nel Mediterraneo in epoca arcaica 1 . A questo scopo, si prenderanno in considerazione i votivi fittili provenienti da due tra i più importanti complessi votivi della Sicilia greca, la stipe di Piazza San Francesco a Catania 2 e quella del santuario di Bitalemi a Gela 3 , il cui studio, svolto in parallelo e secondo un approccio "comparativo", ha offerto l'opportunità di sviluppare alcune osservazioni relative in particolare alle dinamiche di diffusione e recezione delle terrecotte d'importazione e alle problematiche ad esse connesse 4 . In linea con il tema principale di questo convegno, all'interno del nucleo di materiale importato, presente in entrambi i contesti in esame, abbiamo selezionato alcune specifiche tipologie coroplastiche che offrono dati di un certo interesse sui quali puntare l'attenzione, e cioè le statuette di fabbrica greco-orientale e i vasi configurati, tra cui sono compresi quelli realizzati nella tecnica "à couleurs lustrées" e quelli in tecnica "terrecuite", secondo la terminologia e la classificazione del Ducat 5 . È forse opportuno riassumere brevemente quanto sappiamo circa la provenienza di questi manufatti, in modo da inquadrare il problema. È ormai superata la tradizionale attribuzione a fabbrica rodia di gran parte di queste terrecotte, attribuzione che risale ai lavori del Ducat e dell'Higgins 6 . Studi meno influenzati dal ruolo di Rodi e analisi archeometriche condotte sino ad oggi hanno messo in evidenza la significativa componente di altre fabbriche della Ionia del Sud nella produzione coroplastica di epoca arcaica, con particolare riferimento all'area di Mileto ma anche di altri centri produttori, da localizzare sempre nell'area centro-meridionale e insulare dell' Asia Minore, come Efeso e Samo 7 . Per quanto riguarda i depositi votivi occidentali che presentano un numero considerevole di esemplari d'importazione greco-orientale, è stata condotta finora solo un'osservazione macroscopica delle argille, che ha consentito tuttavia di isolare chiaramente gruppi distinti di impasti. Così, ad esempio, nella stipe di Piazza San Francesco a Catania, accanto alle importazioni generalmente ritenute milesie e caratterizzate dalla inconfondibile argilla beige-rosata, depurata, morbida e ricca di mica dorata, emerge un nucleo assai cospicuo di terrecotte plasmate in un'argilla simile alla precedente ma 283 Antonella Pautasso

M. Botto, E. Madrigali, Nora e i commerci mediterrranei fra VIII e VI sec. a.C. Bilancio delle indagini precedenti e dati inediti, in S. Angiolillo - M. Giuman - R. Carboni - E Cruccas (edd.), Nora Antiqua, Perugia 2016, pp. 261-271

Research and recent studies have highlighted how Nora cannot be understood as being a real colonial foundation. In Phoenician times it must be seen as a settlement that was poorly oriented to the exploitation of the surrounding territorial resources and instead characterised by a strong predisposition for overseas trade. The following contribution, based on the published ceramic evidence recovered thanks to the systematic excavations of the inhabited site and to the territorial and underwater surveys, intends to outline an updated picture of the cultural and commercial relationships which were started from Nora with different regions of the central-west Mediterranean between the second half of the 8th and the 6th centuries BC. In order to increase our knowledge of the network of contacts developed at Nora this study integrates a review of the already known material with some material evidence recovered from the most recently excavated areas.

Il commercio nel Mediterraneo orientale nel III millennio a.C.

Intorno al Mediterraneo : identità e tracce della storia, tra città e paesaggio a cura di Alessandra Veropalumbo. Pp.15-28, 2024

New archaeological discoveries, among them new texts in hieroglyphic and cuneiform writings (especially the Ebla texts from Syria), advanced botanical and zoological analysis permitted in the last decades to reconstruct the commerce among the states of the Orient and Egypt and the goods exchanged already in the third millennium B.C. The most frequently exchanged goods were: lapis lazuli, tin, bitumen, cedar and fir wood, ivory of elephant and of hippopotamus, linen textiles, monkeys, equids.

Daniele Andreozzi, "Non desiderate da' Turchi". Talleri di Maria Teresa, finanzieri e mercanti lungo le rotte del Levante (XVIII secolo), in Megallànica. Revista de historia moderna, 5/9, 2018

Megallanica 5/9, 2018

From the mid-eighteenth century until the twentieth century, the Thaler of Maria Theresa of Hapsburg, or Levantiner Thaler, was one of the most important silver commercial or trade dollar coin. It was used in the Ottoman Empire, in the Levant, in Africa and in Asia up to China. It is estimated that at least 390 million thalers of Maria Theresa were produced from 1741 to today and of these at least three quarters were coined in Hapsburg mints. The idea of minting a commodity coin was born around the mid-eighteenth century within the Court of Vienna, the great imperial bureaucracy and of the 'international' financial circuits connected to them and became densely intertwined with the development of Trieste and its trades. In all this two men appear to be sure protagonists. One was a Bohemian, Count Rudolf Chotek, and the other was the Alsatian banker Johann Fries. According to the contemporaries, the superiority of Maria Teresa's thalers more than on the intrinsic, was based on the liking that met with the taste of the consumers "Ottoman subjects". In the Mediterranean circuits the thalers played a fundamental role in the mechanisms of trade with the Levant. In addition to allowing the movement of goods and people in the areas where they were used, the thalers, supporting commercial traffic, made possible the mobility of women and men along the sea routes and their settling in the junctions that linked these routes to each other. Some judicial disputes and some cases of 'black crime', which take on the appearance of international intrigues and real criminal actions, allow us to unveil the actors of this trade and some fragments of the 'cosmopolitan' chains which, through Trieste, they managed the traffic of the thalers. Dalla metà del Settecento fino al XX secolo il tallero di Maria Teresa d’Asburgo, o Levantiner Thaler, fu una delle più importanti monete commerciali o ‘trade dollar’ d’argento, utilizzata nell’Impero Ottomano, in Levante, in Africa e in Asia fino in Cina. Si calcola che dal 1741 a oggi siano stati prodotti almeno 390 milioni di talleri di Maria Teresa. Di questi almeno tre quarti furono coniati nelle zecche asburgiche. L’idea di coniare una moneta merce nacque attorno alla metà del ‘700 all’interno della Corte di Vienna, della grande burocrazia imperiale e dei circuiti finanziari ‘internazionali’ a esse connessi e si intrecciò densamente con lo sviluppo di Trieste e dei suoi traffici. In tutto questo due uomini appaiono sicuri protagonisti. Uno fu un boemo, il conte Rudolf Chotek, e l’altro il banchiere alsaziano Johann Fries. Secondo i contemporanei, la superiorità del tallero di Maria Teresa, più che sull’intrinseco, si basava sul gradimento che incontrava presso il gusto dei consumatori “sudditi ottomani”. Nei circuiti mediterranei i talleri ebbero un ruolo fondamentale nei meccanismi dei commerci con il Levante. Inoltre, consentendo il movimento delle merci e delle persone nell’aree in cui erano utilizzati, i talleri resero possibile la mobilità di donne e uomini lungo le rotte del mare e il loro insediarsi negli snodi che collegavano le varie rotte le une con le altre. Alcune vicende giudiziarie e alcuni ‘casi criminali’, che assunsero anche la dimensione di intrighi ‘internazionali’, ci consentono di svelare gli attori del traffico dei talleri e alcuni frammenti delle catene cosmopolite che attraverso Trieste ne gestivano il commercio.

GAMBARO L., BARATTI G., MONTINARI G., Approdi, insediamenti e circolazione di merci mediterranee nell'Imperiese in età antica, in Atti del congresso Internazionale (Livorno, 2009), a c. di M. PASQUINUCCI, A. FACELLA, Pisa 2023, pp. 331-341.

Instrumenta 6, 2023

Negli Atti del congresso internazionale “Porti antichi e retroterra produttivi: strutture, rotte, merci”, tenutosi a Livorno nel 2009, viene presentata una notizia preliminare della scoperta di un insediamento di età augustea alla foce del torrente Prino presso Imperia, che si qualifica come un approdo di primaria importanza, ubicato nelle immediate vicinanze della via Iulia Augusta, della quale è stato rinvenuto una porzione di tracciato (rifacimento adrianeo) nel corso dello scavo. Ulteriori ricerche effettuate in questi ultimi anni a Sanremo e alla foce del torrente Argentina permettono di ipotizzare l'esistenza di altri approdi attivi tra la seconda età del Ferro e l'età romana in stretta connessione con una fitta rete di insediamenti di crinale e litoranei, il cui studio ha permesso di ricostruire le dinamiche di circolazione e consumo di merci a diffusione mediterranea nel lungo periodo (dal IV sec. a.C. al VII sec. d.C.). L'opera è disponibile in modalità Open Access al seguente link: www.pisauniversitypress.it

Daniele Andreozzi,Tra centro e periferia. Pasquale Ricci e la Commissione sulle manifatture e fabbriche del Litorale (1763-1766) , in D.Andreozzi e C.Gatti (a cura di), Trieste e l'Adriatico: uomini, merci e conflitti, EUT, Trieste, 2006, pp. 117 - 141

e la Commissione sulle manifatture e fabbriche del Litorale (1763-1776)* daniele andreozzi 1 -Tra centro e periferia A partire dagli anni '70 del secolo scorso, le difficoltà vissute dagli Stati nazionali nel disciplinare spazi ed economie e nell'organizzare la società e la conseguente «crisi di quel quadro di valori che poneva al proprio vertice uno sviluppo industriale unilineare attuantesi nell'ambito dello Stato nazionale unitario» 1 , hanno trovato riflesso sul piano storiografico, e soprattutto tra quanti si occupavano dell'era moderna, in una profonda crisi, e revisione, del quadro concettuale cui fino ad allora erano state usualmente «ricondotte le dinamiche plurisecolari di trasformazione dell'autorità pubblica e il processo storico di formazione dello Stato» 2 .