Agnese Portincasa, Scrivere di gusto. Una storia della cucina italiana attraverso i ricettari, Bologna, Pendragon, 216 (original) (raw)

I. Forino, La cucina racconta: Utopie, eterotopie e altre storie, in V. Trapani, S. Del Puglia, eds. Design e narrazioni: Spazi fisici e concettuali per il progetto della conoscenza, 21-73, LetteraVentidue, Siracusa 2022.

Design e narrazioni: Spazi fisici e concettuali per il progetto della conoscenza, 2022

Durante il Novecento il progetto della casa è stato spesso offerto come “utopia” – un luogo ideale o reale, in quest’ultimo caso da perfezionare –, mentre la cogenza lo sviluppava come “eteropia” – riprendendo i termini fondati da Michel Foucault (1967) – all’interno dell’istituzione familiare e della società: un “contro-luogo” o una sorta di utopia realizzata. Incrociando le fonti letterarie di manuali e testi specialistici con alcuni progetti abitativi, realizzati e non, e tenendo presente l’analisi storica dei ruoli di genere, è possibile leggere lo spazio domestico come luogo eterotopico. In particolare lo sguardo critico si focalizza sull’ambiente della cucina quale centrale mise-en-scène delle esistenze umane, non solo perché deputato alla necessaria sussistenza alimentare, ma perché ripetuto oggetto di sperimentazione, in cui si sono inverate norme moralizzatrici, innovazioni scientifiche, stereotipi di genere. Se la cucina narra la storia dell’umanità, l’attenzione che progettisti e riformatori le hanno dedicato racconta la sua importanza politico-sociale in un periodo di trasformazioni, in cui l’utopia auspicata e immaginata si risolve sovente in contro-utopia. Al pari degli spazi collettivi indagati da Foucault, è quindi possibile riflettere sull’evoluzione del progetto domestico, attraverso il “tassello” della sua cucina, come un dispositivo strategico, ordinatore e disciplinante, della vita privata.

Petronilla e le altre. La stampa gastronomica come strumento di modernizzazione, in Raimonda Riccini (a cura di), Angelica e Bradamante le donne del design, Il Poligrafo, Padova 2017, pp. 271-284, ISBN 978-88-7115-986-7

Nel periodo fra le due guerre mondiali, in Italia l’editoria di cucina o, più propriamente, la stampa gastronomica, ha coinvolto molte autrici femminili. Ada Boni, Lidia Morelli (alias Donna Clara), Amalia Moretti Foggia Della Rovere (alias Petronilla), solo per citare le più note, si sono confrontate con un periodo storico di complessi cambiamenti politici e sociali, con nuove tecnologie di conservazione e cottura dei cibi, con inedite concezioni degli spazi della casa e con una figura femminile sempre più indipendente. È nato così un tipo di pubblicistica – ufficiale, propagandistica, pubblicitaria e periodica – che, attraverso sia le variazioni contenutistiche e linguistiche sia le scelte grafiche, ha inciso su diversi aspetti, come la veicolazione di principi di educazione alimentare ed economia domestica, l’introduzione dei prodotti industriali nella preparazione dei piatti, l’organizzazione pratica e razionale della cucina e l’utilizzo di attrezzature ed elettrodomestici, rivelando il contributo di tali autrici alla modernizzazione della condizione femminile.

STANO, S. (2012) Review of “Marrone, Gianfranco and Alice Giannitrapani (eds.) (2012) La cucina del senso, Mimesis, Milano”, in Lexia 11-12: 675-684.

La cucina del senso Mimesis, Milano ,  pp. S S È con un aneddoto agreste che si apre La cucina del senso. Gusto, significazione, testualità, il nuovo libro a cura di Gianfranco Marrone e Alice Giannitrapani pubblicato da Mimesis per la collana Insegne. Lo studioso palermitano apre l'introduzione con un ricordo d'infanzia, legato a una "gita in campagna" e ai momenti di convivialità trascorsi con "un'immensa famiglia di contadini ormai benestanti, parecchio simpatici e accoglienti" (Marrone , p. ), ricollegando in seguito l'episodio al "complesso dispositivo di impliciti sociali, presupposti etnici e strutture culturali soggiacenti" (ibidem) che lo regge. Ecco dunque che si rende manifesto l'intento dell'opera: analizzare dal punto di vista semiotico l'alimentazione e il gusto, indagando in particolar modo i modi e i tempi della commensalità.

STANO, S. (2012) “Siamo noi questo piatto di grano… L’immaginario gastronomico italiano tra seduzione e incontro amoroso”, in D. Mangano e B. Terracciano (a cura di) Passioni collettive. Culture, politica, società - Atti del XXXIX Congresso AISS, E|C, pp. 70-75.

2012

“Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone. Io me te magno, ahmm”. Con queste celebri parole Nando Moriconi, l’“americano a Roma” del film di Steno rinuncia temporaneamente alla propria infatuazione per lo stile di vita americano per riscoprirsi pienamente italiano nel proprio rapporto con il cibo. Proprio il cibo, in effetti, è generalmente considerato dagli italiani come uno degli aspetti più rappresentativi della propria identità nazionale, sentimento che arriva talvolta a sfociare in vere e proprie forme di convinto patriottismo quando non addirittura di aperto sciovinismo. Se però, da un lato, l’universo gastronomico italiano si articola in numerose varianti regionali e locali irriducibili a un’unica tradizione e a pochi piatti stereotipati, dall’altro, la passione collettiva degli italiani per la “propria” cucina sembra fare riferimento a un immaginario ben preciso e circoscritto, che trova nella pasta il suo elemento più rappresentativo. Perché? In che modo la pasta emerge come Oggetto di Valore in grado di sedurre il Soggetto (“gli italiani”), instaurando il processo amoroso (“amor di patria”)? E quali sono i valori di cui è investito tale Oggetto? Al di là delle variabili di matrice storico-materiale che hanno portato alla creazione di un determinato immaginario culinario italiano, è interessante osservare ciò che avviene sul piano della significazione, analizzando il modo in cui la pasta giunge ad incarnare i valori dell’“italianità”, postulando così quella “conformità di essenza” tra Soggetto e Oggetto della passione che Roland Barthes descrive come centrale nel discorso amoroso: “io voglio essere l’altro, voglio che lui sia me, come se fossimo uniti” (1977, trad. it. 1979, 15). In una simile prospettiva, assume particolare importanza il linguaggio pubblicitario, specchio e insieme generatore di simili valori. Si tratta, quindi, di analizzare come, nell’ambito del discorso pubblicitario, a diverse forme di rappresentazione e valorizzazione della pasta vengano a corrispondere particolari messe in scena dell’italianità. In particolare, l’attenzione sarà rivolta alle campagne audiovisive di Barilla, leader mondiale nel mercato della pasta: dal primo Carosello del 1958, che vedeva Giorgio Albertazzi recitare un sonetto dantesco per poi cedere la parola alla “nuova pastina glutinata”, ai recenti spot marchiati dalla voce di una delle icone del panorama musicale e culturale italiano, l’advertising communication della celebre azienda parmense rappresenta un repertorio di notevole interesse che permette di cogliere e analizzare il potenziale seduttivo della pasta nei confronti del pubblico italiano, prefigurando il momento dell’incontro amoroso: “una scoperta progressiva (quasi una verifica) della affinità, complicità e intimità”, in cui “ad ogni istante, [si] scopr[e] nell’altro un altro [s]e stesso” (ivi, 110)."

58. La lingua del cibo e della gastronomia nel più antico ricettario culinario italiano in volgare fiorentino

in: «Onorevole e antico cittadino di Firenze». Il Bargello per Dante, Catalogo della Mostra (Firenze, Museo Nazionale del Bargello, 21 aprile-31 luglio 2021), a cura di Luca Azzetta, Sonia Chiodo e Teresa De Robertis, Firenze, Mandragora, 2021

Trasporti e montaggio Arterìa s.r.l. Assicurazioni Willis Towers Watson comitato nazionale per le celebr azioni dei settecento anni dalla morte di dante alighieri musei del bargello università degli studi di firenze, dipartimento dilef dipartimento sagas In collaborazione con Con il patrocinio di Con il patrocinio e contributo di Nell'ambito di Promossa e organizzata da Con il contributo di www.bargellomusei.beniculturali.it

[ 2017] L’Ultima cena nei dipinti della chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos a Bosa: cibo e utensili in un dipinto del XIV secolo in Sardegna, pp. 191-228.

L’alimentazione nel Mediterraneo dalla Tarda antichità al Medioevo. Dalla Sardegna alla Spagna, 2017

La chiesa dedicata a Nostra Signora de Sos Regnos Altos si trova entro la cerchia del castello di Serravalle a Bosa, centro ubicato sulla costa nordoccidentale della Sardegna. All’interno della cappella si conserva uno dei cicli pittorici di maggior rilevanza nel panorama del Me- dioevo sardo, oggetto di una nutrita serie di studi che hanno cercato di de nirne i caratteri formali e la cronologia, fissata alla metà del XIV secolo, non trascurando di evidenziare la complessità iconogra ca di queste pitture murali, composte da una serie di riquadri ap- parentemente slegati tra loro ma coevi. Tra questi pannelli spicca, nella parete destra, la monumentale “Ultima Cena” ricchissima di dettagli nelle sionomie dei personaggi, ma soprattutto nella serie di alimenti e utensili che fanno bella mostra sulla mensa. Nel pre- sente contributo si prenderanno in esame i cibi e le stoviglie utilizzate dal pittore bosano, utili indicatori della cultura del tempo e, forse, specchio della vita quotidiana all’interno del castello di Serravalle.