Paolo Desogus, L'infenlice antitesi. Pasolini e de Martino nei primi anni Cinquanta, in De Martino e la Letteratura. Fonti, confronti e prospettive, a cura di P. Desogus, R. Gasperina Geroni e G. L. Picconi, Carocci, 2022 (original) (raw)
Questo scarso interesse sembra del resto motivato da un'impostazione molto diversa, per certi versi agli antipodi. In un articolo pubblicato su "Società" nell'ottobre del 1954 e intitolato Storia e folklore de Martino (1954c, p. 944, corsivo mio) condanna «la mania di considerare i dialetti come abissi di potenza espressiva, sino al punto di provarsi a introdurre nella lingua nazionale la frantumazione della sintassi dialettale o popolare». L'articolo, che avrebbe poi avuto importanti ripercussioni sulla ricerca degli anni successivi, nasceva da una polemica interna al dibattito sugli studi sul folklore e sulla loro valenza scientifica (Testa, 2015, pp. 216-7). Solo tangenzialmente sembra prendere in considerazione le tendenze letterarie dell'epoca, come il neorealismo, a cui può essere fatta ricondurre, seppure in modo problematico, una parte della produzione pasoliniana in friulano-di cui proprio nel 1954 usciva La meglio gioventù-e in romanesco, di cui ricordiamo il Ferrobedò, pubblicato nel 1953 e due anni dopo confluito in Ragazzi di vita. Pare dunque poco plausibile che la polemica demartiniana avesse tra i bersagli proprio Pasolini. Qualche dubbio tuttavia rimane, soprattutto per l'uso del sintagma «potenza espressiva» che anche lo scrittore friulano impiega riferendosi proprio al dialetto in due scritti di poco precedenti all'articolo demartiniano. Uno di questi è l'introduzione alla Poesia dialettale del Novecento-che come si vedrà era nota a de Martino-in una pagina dedicata al poeta napoletano Ferdinando Russo 3. Al di là di qualsiasi congettura, il breve brano di de Martino è comunque indicativo della forte divergenza, maturata in quella fase, sul rapporto tra dialetti e lingua, soprattutto se si considera che Pasolini già nel 1950, con il suo arrivo a Roma, inizia a pubblicare una serie di racconti in cui sperimenta l'integrazione di lemmi e stringhe sintattiche del romanesco. In stretta continuità con il lavoro precedente si ripropone infatti di adattare al nuovo contesto della capitale quello stratagemma espressivo da lui chiamato «regresso nel parlante», usato per descrivere l'esperienza letteraria di conoscenza dell'alterità subalterna in un'ottica in cui dimensione estetica, sociale e persino antropologica si compenetrano 4. In racconti come Il Ragazzo e Trastevere o La bibita, entrambi del 1950, la scoperta di Roma e del-3. Nel corpus pasoliniano il sintagma «potenza espressiva» figura inoltre in un breve saggio su Gadda uscito alla fine del 1953 sull'"Approdo letterario" (Pasolini, 1999a, p. 1052), dunque poco prima della pubblicazione di Storia e folklore su "Società". Sebbene de Martino ne faccia uso solo in quella circostanza si tratta in ogni caso di un sintagma non raro, presente anche negli scritti di Benedetto Croce. Su questo tema cfr. inoltre il saggio di Antonio Fanelli in questo volume. 4. Sulla nozione di «regresso nel parlante» mi permetto di segnalare Desogus (2018).