Entre-deux-guerres Research Papers - Academia.edu (original) (raw)

Emerge, da parte della storiografia artistica più recente, nazionale e internazionale, dedicata all’arte italiana del primo e ancor più del secondo Novecento, la domanda di modelli interpretativi nuovi e di più dettagliati approfondimenti... more

Emerge, da parte della storiografia artistica più recente, nazionale e internazionale, dedicata all’arte italiana del primo e ancor più del secondo Novecento, la domanda di modelli interpretativi nuovi e di più dettagliati approfondimenti storico-culturali, ad oggi mancanti. In particolare è evidente, da parte di studiosi di lingua non italiana, la difficoltà a accedere a fonti non tradotte e a misurarsi con una più ampia pluralità di testi e voci, primarie e secondarie; giungendo così a un’articolata ricostruzione di contesti.

In assenza di un rinnovamento degli studi storico-artistici, intesi questi ultimi anche nel senso di una più ampia e aggiornata storia culturale, si rischia di avanzare interpretazioni arbitrarie o di radicare l’intera ricostruzione del Novecento italiano, dal periodo entre-deux-guerres alle neoavanguardie almeno, a un’antitesi “fascismo|antifascismo” che, pur importante, non sembra storiograficamente risolutiva per un ampio numero di artisti, critici etc.; ed è divenuta da decenni oggetto di discussione da parte di storici politici, scienziati sociali e giuristi delle più diverse tendenze. Soprattutto si è incapaci di cogliere determinate continuità esistenti, nella storia dell’arte, tra la prima e la seconda metà del Novecento; e di misurarsi così con una domanda che la comunità degli storici si è invece posta da tempo. E cioè: quali sono, se esistono, le continuità sociali e culturali, in Italia, nel passaggio tra fascismo e Repubblica; in un momento dunque di profonde discontinuità politico-istituzionali? E come si collegano tra loro, oppure si disgiungono, la prima metà del primo e del secondo Novecento; gli anni Trenta, poniamo, e gli anni Cinquanta o Sessanta? Quali le «rimozioni» della storiografia postbellica o successiva con cui una nuova generazione di studiosi è oggi chiamata a confrontarsi?

Si è scritto che «l’idea del fascismo come parentesi, di una cesura netta tra periodo fascista e Italia repubblicana è errata. O meglio, corrisponde più a un bisogno dei contemporanei di stabilire una distanza tra il fascismo e se stessi, che alla realtà dei fatti». In che modo, e con quali esiti, lo studio di determinati documenti figurativi, o la storia della critica d’arte o (ancora) delle istituzioni e delle politiche culturali e del patrimonio può contribuire a un dibattito che si è fatto via via più ampio a partire dagli anni Sessanta, finendo per coinvolgere le discipline più diverse?

Si tratta oggi, o così almeno sembra, di muovere oltre la fedeltà a autodichiarazioni, memorialistica e testimonianze (“egodocumenti”) per avvicinare le opere in modo più avvertito e critico, riconoscendo che possono esistere, e sono ampiamente documentate, amnesie, autostilizzazioni retrospettive, distorsioni; e che gli “egodocumenti” con cui si ha a che fare, anche alla luce di drammatici mutamenti politici e sociali e delle più urgenti esigenze di riposizionamento individuale, possono essere reticenti. Si è spesso osservato che la storia culturale italiana del Novecento, segnata da profonde cesure politiche, economiche, ideologiche e militari, ha caratteri come di palinsesto: ogni generazione la riscrive mutando “paradigmi” e dizionari. Questo rende più difficile, ma forse anche più affascinante, l’esercizio di ricomposizione e scavo. E’ tuttavia evidente che punti di vista riduttivamente monodisciplinari, considerazioni limitate a una semplice storia dello “stile” e pratiche storiografiche avulse non riusciranno mai a scendere al di sotto della superficie degli eventi o delle circostanze considerate.

Per ragioni storico-sociali, ideologico-politiche e culturali insieme, il gioco tra «resistenza» e «assimilazione», «identità» e internazionalismo è drammatizzato nella storia culturale italiana come mai altrove, tra le due guerre e ancora nel secondo dopoguerra. Ecco che si tratta di interrogarsi in profondità, con strumenti quanto più possibile fini e insieme molteplici e con prospettive anche di lungo periodo, sui temi del «consenso», della «nazione», dell’«identità», dell’«eredità», del «popolo», dell’«impegno» etc. lasciando se possibile da parte posizioni precostituite e cercando invece di ricostruire l’evolvere di inquietudini, miti, “autorappresentazioni nazionali” nel loro rapporto a contesti continentali o planetari di volta in volta diversi - l’Europa del primo dopoguerra, ad esempio, disegnata dalla Società delle nazioni; il «nuovo ordine» negli anni Trenta e primi Quaranta; il contesto atlantico del secondo dopoguerra; la Guerra Fredda; gli anni della contestazione.