Friedrich der Grosse Research Papers (original) (raw)

Sì, come si deve mai cominciare! Lo storico-e tanto più lo storico occasionale-è sempre esposto alla tentazione alla quale soggiacque Wagner in maniera assolutamente eccezionale quando, teso in verità soltanto a descrivere il declino del... more

Sì, come si deve mai cominciare! Lo storico-e tanto più lo storico occasionale-è sempre esposto alla tentazione alla quale soggiacque Wagner in maniera assolutamente eccezionale quando, teso in verità soltanto a descrivere il declino del suo eroe Sigfrido, si lasciò attirare da una pedanteria entusiasta sempre più indietro nel passato, nel mito, finché si trovò costretto ad accettare una parte sempre più grande di "preistoria", finché, alla fine, si fermò necessariamente all'inizio e all'origine di tutte le cose, alla più profonda essenza dell'antefatto dell'antefatto; da qui poi cominciò a narrare in maniera solenne e graduale. Poiché però tempo e spazio protestano a gran voce che noi, in questo saggio sulla genesi di una lotta, di una «guerra» europea di cui oggi viviamo la ripetizione e la continuazione, vogliamo incominciare dalle più profonde origini, diamoci una scrollatina e iniziamo dalla «grande diffidenza», la profondamente radicata e, se vogliamo esser giusti, abbastanza fondata diffidenza del mondo nei confronti di Federico II di Prussia. Si ricordi soltanto: il giovane uomo, quasi un ragazzo per i lineamenti, un po' grassoccio e delicato di struttura, «la più incantevole creatura del regno», come lo definiva uno straniero, dal colorito vivo e le gote infantili, dai grandi, lucenti e miopi occhi azzurri, con il naso che continua dritto la linea della fronte e presenta in punta un naturale arrossamento, secondo i ritratti dell'epoca-questo grazioso giovane uomo, di cui è conosciuto il passato in parte dissoluto, in parte terribile e talvolta tremendo di principe ereditario, libero pensatore, ostentatamente filosofo, letterato, autore dell'umanissimo Antimachiavelli, assolutamente privo di doti militari, almeno per l'impressione che aveva suscitato fino ad allora, gentile, indolente (so gentle and so sweet), femmineo, facile a commuoversi e a contrarre debiti, dedito anima e corpo ai divertimenti, al lusso e alla musica-«diventa re». Infatti il padre preoccupato non è riuscito a suo tempo, né con percosse umilianti né con qualche tentativo di strozzarlo, ad indurlo a spararsi un colpo alla testa o perlomeno a rinunciare al trono in favore del fratello; come re, invece, si comporta in modo tale che non si sa più cosa pensare. Da allora il giorno dell'incoronazione viene chiamato la journée des dupes: quasi tutto si svolse diversamente da come si era pensato. Coloro che avevano tremato al pensiero della vendetta del nuovo signore, non furono puniti; ma quelli che pensavano fosse giunta per loro l'occasione propizia, si videro delusi. Gli avventurieri ed i poeti che si accalcavano attorno al trono e non si accontentavano di evviva ebbri di speranza, ammutolirono ben presto. Un allegro compagnone di Rheinsberg, che ebbe l'ingenuità di intonare confidenzialmente la solita vecchia musica, ottenne uno scintillante sguardo azzurro e la tagliente frase: «Monsieur, à present je suis Roi!». Claris, apertis verbis: «Gli scherzi sono finiti». Di tutta l'opera di Shakespeare, il punto più bello è forse quello in cui uno, sotto un simile sguardo, dice ad un altro: «Non ti conosco, amico!».