Histoire du droit Research Papers (original) (raw)
Il 26 aprile 1771 Francesco III promulgava il primo volume del Codice di leggi e costituzioni per gli Stati di S.A.S., una delle raccolte legislative più avanzate negli anni del riformismo settecentesco. Frutto di due giuristi di statura... more
Il 26 aprile 1771 Francesco III promulgava il primo volume del Codice di leggi e costituzioni per gli Stati di S.A.S., una delle raccolte legislative più avanzate negli anni del riformismo settecentesco. Frutto di due giuristi di statura e carriera molto diversa – Bartolomeo Valdrighi e Giuseppe Gallafasi –, il c.d. Codice estense si pone tra le “consolidazioni” (per usare la datata terminologia di Marco Viora) più avanzate certamente in Italia (dopo quella piemontese del 1723-29), ma capace di reggere confronti con altre raccolte normative europee (ad es., i Codices bavaresi). Pur in un contesto di conservazione del grande patrimonio del diritto comune come fonte di ultima istanza in caso di lacuna, il Codice del 1771 si segnala per aver ridotto al minimo il ricorso ad altri diritti, se non, appunto, al diritto romano, da utilizzare però come norma “positiva”, non manipolata dall’interpretazione dottrinale. Un meccanismo di interpretazione autentica affidato al Supremo Consiglio di Giustizia completava il disegno di forte accentramento delle fonti normative presso l’autorità sovrana.
Il Codice, così come altre iniziative riformistiche di questi anni, ha come fonte ispirativa diretta Ludovico Antonio Muratori, e in particolare I difetti della giurisprudenza (1742) e La pubblica felicità oggetto de’ buoni principi (1748). Muratori è la personalità che a Modena era stato capace di dialogare con esponenti del più vario mondo culturale europeo, da Gottfried Wilhelm Leibniz a Johann Burchardt Mencke, da Joseph de Bimard La Bastie a Gisbert Cuper, da John Hudson a Eusebius Amort e Gregorio Mayans. L’orizzonte è vastissimo e comprende il rinnovamento della storiografia, delle lettere, della filosofia, nonché una nuova sensibilità religiosa, aperta alle sofferenze sociali e ostile alle vuote ostentazioni rituali, culturalmente avvertita e tollerante.
Il duca estense che ebbe proprio il Muratori come precettore, Francesco III, durante gli anni del suo lungo governo (1737-1780) seppe interpretare, con qualche lungimiranza ma non senza contraddizioni, quel riformismo dai mille volti che vide impegnati quasi tutti i sovrani italiani ed europei della seconda metà del XVIII secolo e, con essi, una classe dirigente dai tratti culturali e sociali parzialmente nuovi. Tale élite in ascesa si forma nelle università, che proprio in quegli anni sono investite da un processo di svecchiamento che interessa non soltanto i programmi didattici, ma anche la governance. Così avviene a Modena nel 1772, ad opera del già ricordato Valdrighi, che sulle tracce di quanto era stato fatto a Torino, Gottinga, Lipsia, Vienna e Parma pone mano a quelle Costituzioni per l’Università di Modena ed altri studî negli Stati di Sua Altezza Serenissima, che rappresentano una delle riforme più legate al Codice promulgato appena l’anno prima. E non soltanto per il suo autore, che fu subito posto a capo della facoltà giuridica, ma perché in essa confluiva un’apertura di vedute e di prospettive che al Valdrighi derivavano dal viaggio a Lipsia; una trasferta che, dando seguito a un’intuizione a suo tempo espressa dal Muratori della Pubblica felicità, il giurista garfagnino era stato indotto a intraprendere tra il 1764 e il 1766 per seguire i corsi di quel diritto pubblico e delle genti di cui fu primo docente a Modena.
Il rinnovamento non coinvolse solo il diritto e i giuristi. Il letterato e storico Agostino Paradisi, ad esempio, già distintosi nel 1767 per aver difeso la cultura italiana dalle accuse di decadenza avanzate dal francese Alexandre Deleyre, oltre a presiedere la facoltà filosofica nell’Università appena riformata veniva designato quale titolare della neo-istituita cattedra di Economia civile (o politica), che, sulla scia della “ricchezza delle nazioni” di Adam Smith per un verso e la “scienza del buon governo” di Joseph von Sonnefels, arrivava terza in ordine cronologico dopo quella di Antonio Genovesi a Napoli (1754) e quella milanese di Cesare Beccaria a Milano (1768).
Non va poi dimenticato che nello stesso 1772, oltre a scienziati come il medico e astronomo croato Ruggero Boscovich e il chimico e botanico francese Robert de Laugier, venne chiamato a insegnare anatomia il grande medico e chirurgo veneto Antonio Scarpa, il quale, qualche anno dopo (1775), fece allestire un teatro anatomico in legno tra i più suggestivi e ben conservati insieme a quelli di Bologna, Padova e Pavia.
Sul piano dell’arte, invece, nonostante il nome di Francesco III d’Este rimanga associato alla clamorosa vendita di Dresda del 1746 – quando un centinaio dei quadri più belli della collezione estense (e tra i più significativi in assoluto della pittura italiana tra Quattro e Cinquecento) furono venduti all’Elettore di Sassonia e Re di Polonia Augusto III –, negli anni immediatamente successivi lo stesso Francesco insieme al figlio Ercole III furono artefici della progressiva ricostituzione della quadreria estense, di cui resta testimonianza grazie ai cataloghi compilati da Gian Filiberto Pagani e Giuseppe Amici.
A questa sintesi vanno aggiunte le tante riforme attuate in quegli anni, molte delle quali ispirate senz’altro al Muratori, ma soprattutto messe a punto da uomini di respiro culturale europeo come Salvatore Venturini e Ludovico Ricci, che da un lato avevano nella Francia un riferimento per le “lettere” e il dibattito illuminista ma che dall’altro guardavano all’Austria asburgica per la politica di riduzione del privilegio nobiliare ed ecclesiastico: certamente tra le più importanti spiccano quelle sul fedecommesso e sulla manomorta ecclesiastica, che inseriscono i governi di Francesco III ed Ercole III nell’alveo del giurisdizionalismo italiano ed europeo.